- Questo giornale ha dedicato due inchieste a Claudio Durigon, sottosegretario al ministero dell’Economia, esponente di spicco della Lega di Matteo Salvini, padre di quota 100.
- La vicenda di Durigon, quindi, diventa emblematica non solo del sistema di potere che localmente costruiscono i capataz leghisti, ma anche di come il dibattito politico sia attorcigliato attorno a parole fuori luogo più che alla sostanza, fatta di relazioni pericolose documentate da Domani.
- Conta più qualche parola in libertà che circostanze evidenti e documentate di chi e come ha contribuito all’elezione di Claudio Durigon.
Il M5s ha presentato alla Camera dei deputati una mozione di sfiducia contro Claudio Durigon, sottosegretario leghista, a seguito di un fuorionda pronunciato dall’esponente del carroccio. Una vicenda che apre un conflitto nel governo Draghi tra i vecchi alleati M5s e Lega, protagonisti del primo esecutivo Conte. Il testo della mozione ricorda che «riferendosi all'indagine sui presunti fondi occulti della Lega e sui 49 milioni di rimborsi elettorali frutto di truffa», il sottosegretario «parlando con un conoscente afferma: “Quello che indaga della Guardia di finanza.... il generale... lo abbiamo messo noi”». Il ministro leghista Giancarlo Giorgetti, solitamente silente, interviene a sostegno del collega di partito parlando, in merito alla richiesta di sfiducia, di un’inutile perdita di tempo. Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, ribatte spiegando che ha inutilmente chiesto a Durigon di chiarire e, in assenza di chiarimenti, il gruppo parlamentare alla Camera ha presentato «legittimamente una mozione di sfiducia».
Le frequentazioni pericolose
Questo giornale ha dedicato due inchieste a Claudio Durigon, sottosegretario al ministero dell’Economia, esponente di spicco della Lega di Matteo Salvini, responsabile di Quota 100. Oltre al M5s anche Sinistra italiana è intervenuta sul caso presentando una interrogazione parlamentare. Tutti, però, si concentrano sul fuorionda contenuto nella corposa inchiesta realizzata da Fanpage, ma trascurano il resto. La vicenda di Durigon, quindi, diventa emblematica non solo del sistema di potere che localmente costruiscono i capataz leghisti, ma anche di come il dibattito politico sia scosso più dalle parole fuori luogo che dalla sostanza, fatta di relazioni pericolose documentate da Domani.
Fin dalla nostra prima inchiesta, a fine marzo, abbiamo raccontato il “sistema Latina” dove voti, attacchinaggio dei manifesti, costruzione dei consensi, hanno fatto incrociare più volte gli interessi dei partiti di centro-destra con quelli del clan di zona, i Di Silvio, imparentati con i Casamonica, formazione criminale spietata e in grado di ridurre gli spazi di libertà personale e democrazia di quel territorio. Durigon è entrato in parlamento grazie anche ai voti ottenuti in quel collegio e, nelle due inchieste, abbiamo ricostruito, pubblicando i messaggi scambiati via WhatsApp, il rapporto del sottosegretario con Natan Altomare, professionista locale.
Sono rapporti confidenziali, che risalgono al 2018 e che il futuro deputato stringe con un soggetto che, a quel tempo, era già stato coinvolto nell’inchiesta Don’t touch. Inchiesta dal quale Altomare è uscito a testa alta, assolto, ma dalla quale emergevano contatti e telefonate con Costantino Di Silvio, detto cha cha, capo dell’omonimo clan. Quei contatti erano noti alla città. Altomare aveva necessità di ripulire la sua immagine dopo quell’inciampo e ha incrociato il suo percorso con quello della Lega. Come? Altomare ha pagato almeno due feste elettorali a Durigon, ha pagato la musica, ha messo a disposizione il suo locale, lo Chalet Cafè, ha pagato il buffet.
Perché Claudio Durigon si è fatto pagare le feste da un soggetto coinvolto in un’inchiesta che ha sconvolto la città? Un’inchiesta dalla quale è uscito pulito, ma che aveva reso evidenti i contatti con i Di Silvio? Perché ha sentito la necessità di anticipare ad Altomare, in uno dei loro scambi di messaggi telefonici, che Giancarlo Giorgetti sarebbe diventato sottosegretario alla presidenza del Consiglio? Perché gli ha promesso biglietti per andare allo stadio? Perché Durigon ha incontrato Altomare, appena eletto, negli uffici della Lega?
Corrispondenza via sms
Domani ha pubblicato i messaggi tra i due. Alcuni di questi mostrano un rapporto piuttosto intimo. Nel maggio 2018 Lega e M5s sognano il governo insieme. Altomare, incuriosito, scrive: «Ma Giorgetti niente ministero?». E Durigon anticipa scelte future: «Sottosegretario alla presidenza». Il 31 maggio Durigon svela ruoli e incarichi all’amico, che chiede: «Ma in quale segreteria mi metti?». Il leghista ribatte: «A te ti metto nel gabinetto, o meglio nel cesso».
A sostenere la campagna elettorale di Durigon c’è anche Luciano Iannotta, presidente della locale Confcommercio. Oggi Iannotta e Altomare sono nuovamente coinvolti in un’inchiesta giudiziaria e indagati, entrambi, per sequestro di persona. Altomare si considera una vittima ed è convinto di dimostrare la sua estraneità. Ma questa storia racconta altro. Le frequentazioni di Durigon sembrano marginali, insignificanti, residuali, così come la macchina di costruzione del consenso rispetto a quel fuorionda dove l’esponente leghista si vanta palesemente raccontando, forse mentendo per darsi un tono, che la Lega avrebbe il controllo di un generale della finanza che indaga sul partito.
Di certo la Guardia di finanza ha indagato senza sconti sugli uomini di Salvini. Ma più di qualche parola in libertà, a pesare sono le circostanze, evidenti e documentate, che mostrano chi e come ha contribuito all’elezione di Durigon. Relazioni con una criminalità feroce, che dovrebbero spingere il sottosegretario a fare un passo indietro. Ma in questo paese un tema come quello della mafia sembra diventato irrilevante.
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