- Due donne al vertice dei due partiti più forti: una novità per il mondo maschile della politica italiana
- Enrico Letta ha vinto la sua scommessa contro i suoi numerosi detrattori
- Elly Schlein dovrà gestire dei territori riottosi e ridare uno spirito coalizionale al Pd
L’ascesa di Elly Schlein alla segreteria del Pd rappresenta un’indubbia novità. Il fatto che oggi due donne dirigano i più importanti partiti è cosa notevole per un mondo maschile come quello della politica italiana.
È da qui che parte la sfida di Elly Schlein tra i democratici: come gestire il partito in modo da non perdere ciò che esiste ed acquisire nuove forze? Il processo l’ha già iniziato Enrico Letta con il rientro di Articolo 1. Non si tratta –come è stato detto- di un’Opa di quest’ultimo sul Pd, ma della ricomposizione di una ferita lacerante.
Letta ha vinto la sua ultima battaglia contro i propri detrattori: una scommessa legata al rinnovamento potenziale che Elly Schlein – così diversa e così indipendente – potrà rappresentare. Su questa pagine avevo sostenuto che il problema per la neo segretaria sarebbero stati proprio i capi corrente – forti e meno forti – che l’avrebbero condizionata: non è andata così ed è certamente una sorpresa ed una buona notizia.
Tuttavia resta il problema della gestione di un corpo complesso come quello rappresentato dalla “federazione dei Pd locali”: cosa succederà nelle regioni e sui territori? Non è una questione di colorazione più o meno “a sinistra” ma di rapporti di forza con i poteri regionali. I grandi partiti hanno sempre a che fare con tali realtà, dove si radica la parte più problematica ma anche più vitale della struttura che ancora raccoglie un voto organizzato e che conseguentemente non vuole mollare.
Il Pd non è soltanto un partito urbanizzato e di opinione ma anche di radicamento territoriale e provinciale. Non è credibile che le correnti siano forti a Roma e fragili sui territori: è vero il contrario. Tra un anno avremo le Europee e su tale terreno Elly Schlein è la più preparata.
È stata europarlamentare e padroneggia bene i dossier europei, come quello delle migrazioni. Dopo Cutro ha già riposizionato il Pd su una linea chiara, lontana dalle imitazioni della destra. Sulle europee la sua sfida con Giorgia Meloni può vederla addirittura in vantaggio: parlerà lei per tutti e farà bene. Dovrà stare attenta soltanto alla composizione delle liste: un obbligo morale dopo l’euroscandalo.
Ma è su regionali e amministrative che si vedrà fino a quale profondità sarà possibile portare il rinnovamento che gli elettori del Pd (e di centrosinistra) chiedono. Un segnale è venuto dal non aver chiesto a Bonaccini di fare il presidente: Schlein vuole controllare la macchina: un compito non facile dove sono incespicati diversi suoi predecessori.
L’augurio che si può fare al Pd è che torni ad essere sui territori il perno di un’alleanza plurale e vincente di centrosinistra. Una delle sue carenze è stata di non saper essere coalizionale: non rispettare i propri alleati e sentirsi autosufficiente. Ciò ha permesso alla destra di vincere troppe amministrative. Elly Schlein parla al plurale: un noi che può cambiare tale cattiva abitudine.
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