I ricercatori dell'associazione ReCommon sono giunti alla conclusione che l'infrastruttura operata da Eni ha un grosso problema che si chiama gas flaring, che causa emissioni di gas serra e, se avviene vicino a centri abitati, può provocare malattie respiratorie e della pelle, tumori e nascite premature
Immaginatevi una specie di nave da crociera che, invece di portare a spasso turisti, estrae gas dai fondali marini a grandi profondità e lo trasforma in liquido. Un gigante di ferro lungo quasi mezzo chilometro e alto come un palazzo di nove piani.
Si chiama Coral South Flng ed è la prima piattaforma galleggiante del genere mai realizzata in Africa: si trova in Mozambico, a 80 chilometri dalle coste della provincia di Cabo Delgado. Attiva dal 2022, è operata da Eni che ne detiene anche la maggioranza delle quote insieme all'americana ExxonMobil e alla cinese Cnpc.
Scrive sul suo sito la compagnia italiana: «Il progetto Coral South si distingue per il suo approccio innovativo e sostenibile». Un successo tale da aver portato l'azienda a pianificare la realizzazione di un progetto gemello, chiamato Coral North, che dovrebbe essere realizzato a una decina di chilometri di distanza da quello già esistente.
Ma davvero questi giganteschi impianti di estrazione e liquefazione di metano sono sostenibili? I ricercatori dell’associazione ReCommon hanno provato a rispondere alla domanda. E sono giunti alla conclusione che l’infrastruttura operata da Eni ha un grosso problema che si chiama gas flaring. Si tratta del metano bruciato in atmosfera, pratica talvolta necessaria per evitare esplosioni negli impianti, ma che in altre circostanze può essere utilizzata per risparmiare denaro. Di sicuro il flaring causa emissioni di gas serra e, se avviene vicino a centri abitati, può provocare malattie respiratorie e della pelle, tumori e nascite premature.
«Emissioni sottostimate di ben sette volte»
Il report di ReCommon, letto in anteprima da Domani, si concentra proprio sulle emissioni di gas serra. In particolare su quelle stimate da Eni e su quelle calcolate dall’associazione. Perché è proprio confrontando questi numeri che emergono grosse differenze.
«Nello studio d’impatto ambientale, che ha dato poca rilevanza al flaring, le emissioni complessive della piattaforma sono state valutate come “trascurabili”, stimate a soli 150.000 tonnellate di CO2e all’anno», scrive ReCommon citando uno studio d’impatto ambientale realizzato nel 2015 dalla società Consultec per conto di Eni. Sulla base dei dati della Banca Mondiale, l’associazione italiana ha però calcolato che le emissioni causate dal flaring dell’impianto Coral South Flng sono state «sottostimate di ben sette volte».
Grazie ai dati satellitari della Nasa, Recommon ha scoperto che tra il 2022 e il 2024 ci sono state diverse giornate in cui si sono verificati fenomeni rilevanti di gas flaring. Il report cita il 26 giugno, il 21 luglio, il 13 novembre e il 18 dicembre del 2022, ma anche il 12 gennaio del 2023. E, soprattutto, il 13 gennaio del 2024: «Per ogni ora di flaring avvenuto in quella giornata – si legge nel rapporto - Eni avrebbe mandato in fumo tanto gas quanto una famiglia media italiana consuma in 8 anni e mezzo».
Il ritocchino
ReCommon racconta anche di aver scoperto un trucco usato da Eni per occultare le prove del flaring. Il 13 novembre del 2022 vari piloti di droni, su mandato della compagnia italiana, stanno immortalando la prima spedizione di gas estratto da Coral South e diretto verso il porto di Bilbao, in Spagna. Eni userà poi quelle immagini per pubblicizzare le proprie attività. Di strano c’è che le foto usate dalla società italiana non mostrano alcuna fiamma, mentre quella scattate solo 35 minuti prima dal satellite della Nasa mostra tutt’altra realtà: proprio sopra Coral South si vede infatti una colonna di fuoco che, scrive l’ong citando i dati dell’agenzia spaziale statunitense, emette radiazioni termiche da 60 megawatt: le verifiche «svolte da analisti forensi professionisti contattati da ReCommon hanno confermato che le immagini in questione sono probabilmente state ritoccate con l’intelligenza artificiale o con Photoshop».
Mozambico a secco
L’analisi dell’associazione fa dunque emergere qualche seria contraddizione tra la narrazione usata da Eni per le sue attività in Mozambico e la realtà. ReCommon ricorda infatti che nel 2024, in occasione dell’assemblea dei suoi azionisti, rispondendo a una domanda su possibili episodi di flaring collegati a Coral South Flng, Eni aveva assicurato: «Sono stati limitati alla fase di collaudo iniziale e agli sporadici casi di riavvio dell’impianto».
Lo studio dei ricercatori mette in dubbio questa e altre promesse di Eni sulle sue attività mozambicane, come quella sugli incassi che Coral South avrebbe dovuto garantire allo Stato mozambicano: Eni aveva stimato 34 milioni di dollari di gettito per il 2022, mentre in realtà per quell'anno Maputo è rimasta a bocca asciutta.
Un nuovo progetto a gas
Per ReCommon il problema è che lo schema utilizzato per Coral South Flng rischia di essere adottato anche per Coral North Flng, il progetto gemello. Alternative? Puntare sulle rinnovabili. Per spiegare la sua visione, l’ong cita nel suo rapporto le parole pronunciate nel gennaio del 2023, durante l’Atlantic Council Global Energy Forum, da Paddy Padmanathan, esperto di energie rinnovabili: «Per investire in un giacimento di gas e mettere in esercizio la produzione, ci vogliono dai 5 ai 10 anni. Guardate al Mozambico, (da quando sono stati scoperti i giacimenti, ndr) sono passati 15-20 anni, e non è cambiato nulla. Le energie rinnovabili invece possono essere messe in esercizio velocemente, e gli investimenti necessari sono inferiori».
Né Eni né il governo mozambicano, alle prese con una crisi interna che ha causato più di 4mila vittime e lo sfollamento di oltre un milione di persone, sembrano però pensarla allo stesso modo.
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