- Nella battaglia tra pm che sta spaccando la procura di Milano dopo le motivazioni della sentenza Eni Nigeria, che ha assolto tutti gli imputati, irrompe il ministero di Giustizia, che ha annunciato un’ispezione
- L’ispezione avviata dopo le notizie di stampa sull'iscrizione nel registro degli indagati della procura di Brescia e «alla luce del deposito delle motivazioni della sentenza del Tribunale di Milano»
- In questa intricatissima e delicata vicenda si sta mettendo sotto esame in comportamento tenuto dai pm nella gestione dell’imputato e grande accusatore dei vertici Eni Vincenzo Armanna
Dopo il tempo delle procure arriva quello del Ministero di Giustizia nel caso giudiziario che sta spaccando la procura di Milano e che ruota intorno al processo per corruzione internazionale Eni Shell Nigeria. Con un comunicato molto stringato, il dicastero guidato dalla costituzionalista Marta Cartabia ha annunciato di aver acceso un faro sui magistrati milanesi protagonisti di questa esplosiva questione – Paolo Storari, Fabio De Pasquale, Sergio Spadaro - aprendo un’indagine «preliminare» amministrativa di cui si occuperanno gli ispettori per svolgere accertamenti al fine di ricostruire «correttamente» i fatti attraverso l'«acquisizione degli atti necessari».
Processo Eni-Nigeria: assolti tutti gli imputati
Il ministero ha deciso di intervenire dopo le notizie di stampa sull'iscrizione nel registro degli indagati della procura di Brescia e «alla luce del deposito delle motivazioni della sentenza del Tribunale di Milano» sul processo nigeriano, nelle quali i giudici hanno espresso il loro disappunto sul comportamento proprio dei pm titolari De Pasquale e Spadaro.
Questa mossa segnala l’entrata della politica sul campo di gioco finora occupato dalla magistratura, e certamente non mancheranno le polemiche. I fatti che la precedono sono ormai, parzialmente, noti. Il pm Paolo Storari è accusato dalla procura di Brescia di rivelazione di segreto d'ufficio per aver consegnato i verbali «secretati» degli interrogatori dell'avvocato Piero Amara, ex legale esterno Eni e Ilva, all'ex membro del Csm Piercamillo Davigo. Verbali nati nell'inchiesta sul «complotto» ai danni della procura di Milano e che contengono la ricostruzione della loggia Ungheria – o associazione come la definisce Amara -, che sarebbe in realtà un potente comitato d'affari nel quale sarebbero stati cooptati anche influenti magistrati.
Storari avrebbe agito così per autotutelarsi verso il procuratore capo di Milano Francesco Greco che gli avrebbe impedito di mettere sotto indagine queste persone al fine di chiarire le dichiarazioni di Amara. Delle due l'una, per il pm: o ci si trovava davanti a qualcosa che assomigliava a una nuova loggia P2 o si stava dando credito a un calunniatore già condannato per corruzione in atti giudiziari ma che, con le sue dichiarazioni ha fatto arrestare e condannare altre persone, tra cui molti magistrati.
Storari, sentito a Brescia per questi fatti, ha rilanciato chiamando in causa i pm De Pasquale e Spadaro, titolari del processo Eni Nigeria che avrebbero avuto una gestione opaca e lacunosa del principale teste-imputato di quel processo, l'ex dirigente Eni Vincenzo Armanna che ha accusato apertamente i vertici dell'Eni di aver pagato una maxi tangente da 1,09 miliardi di dollari, in combutta con quelli di Shell, per ottenere i diritti di esplorazione del campo petrolifero offshore nigeriano Opl 245 .
Storari avrebbe detto ai pm di Brescia, capitanati dal procuratore capo Francesco Prete, che i magistrati De Pasquale e Spadaro hanno nascosto informazioni determinanti sulle reali finalità di Armanna, imputato nel processo nigeriano e grande accusatore di Claudio Descalzi, con il quale è in guerra ormai dal suo allontanamento dall'Eni nel 2013, ovvero dopo aver trovato un accordo con la società per una buonuscita.
Armanna, per Storari, sarebbe un calunniatore che per scopi personali avrebbe distorto la realtà dei fatti in modo da mettere con le spalle al muro i vertici dell’Eni e far propendere alla loro condanna, arrivando perfino a promettere 50 mila dollari a Isaak Eke, un testimone nigeriano che poi, arrivato in Italia, ha smentito le tesi del manager.
Il pm avrebbe appreso questi elementi da un'informativa della Guardia di finanza delegata a indagare sull'inchiesta cosiddetta del «complotto» ordito alle spalle dei due pm milanesi che indagavano sul caso nigeriano per depistarli. Questo complotto sarebbe stato ordito da Claudio Granata, numero 2 dell'Eni, e da alcuni legali interni del gruppo come Michele Bianco, servendosi proprio della collaborazione di Piero Amara, autore occulto di un esposto alla procura di Trani datato 2015 da cui prende spunto tutta questa vicenda. L'informativa, per quel che si sa, trae spunto dall'attività investigativa sul telefonino di Armanna, sequestrato però solo nel novembre del 2020 e “aperto” nel gennaio 2021 per farne una copia forense alla presenza anche dei legali di Granata e di Descalzi.
Storari avrebbe capito le reali intenzioni di Armanna e ha avvertito i due colleghi impegnati nel processo nigeriano in modo da far emergere la poca credibilità dell'imputato-accusatore. Ma i sui avvertimenti sono rimasti lettera morta. Dalle dichiarazioni di Storari è nata un'indagine a carico di De Pasquale e Spadaro con l'accusa di rifiuto d'atti d'ufficio per queste loro mancanze processuali e i loro computer di lavoro sono stati perquisiti. Che i due siano venuti meno al loro ruolo di pubblico ufficio lo hanno ventilato anche i giudici del processo nigeriano, che nelle motivazioni della sentenza richiamata anche dal ministero, hanno evidenziato il mancato deposito agli atti del processo di un video, girato da Piero Amara, nel quale Armanna complottava proprio contro i vertici Eni sui quali avrebbe voluto far piovere una «valanga di merda».
L'ispezione del ministero si fermerà ai pm direttamente implicati in questa storia o si allargherà anche ad altri magistrati quali Francesco Greco e Laura Pedio, contitolare di Storari proprio nell’inchesta del complotto? L'impressione è che non bisognerà attendere molto per capirlo.
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