Sarà pure bello, sobrio e molto elegante, frutto dell’impegno delle migliori professionalità sulla piazza, ma alla fine il nuovo marchio dell’Enit, l’ente del turismo, è costato la bellezza di 180mila euro. Soldi pubblici, una gran bella somma, soprattutto se messa a confronto con la spesa sostenuta trent’anni fa quando lo stesso ente decise che il marchio non andava bene e ce ne voleva uno nuovo. Allora l’euro non c’era ancora e per sostituire il logo vecchio furono sufficienti 2 milioni e 82.500 lire, una cifra inferiore di circa 167 volte a quella sborsata oggi. Gli stessi dirigenti dell’ente si rendono probabilmente conto che c’è qualcosa di fuori posto in tutto questo perché fino all’ultimo hanno cercato di evitare che si sapesse in giro.

È una storia a suo modo buffa che vale la pena raccontare. Domani ha avuto la notizia attraverso i suoi canali, ma prima di pubblicarla abbiamo cercato l’ufficio stampa Enit per avere la versione dell’ente. L’ufficio stampa ha chiesto che comunicassimo con una mail ciò che sapevamo. In tempi rapidi abbiamo avuto la risposta, secca e molto argomentata: «Enit smentisce che si tratta di un investimento di 175 mila euro (nella mail avevamo indicato quella cifra ndr) bensì è un affidamento con contenuti ampi e performanti di rivisitazione della brand identity per una cifra anche esigua rispetto alla portata del progetto e pari 39.600 euro più Iva». E giù una nota dettagliatissima di 502 parole per convincerci che stavamo prendendo un abbaglio.

Due determine

In realtà sono stati spesi davvero dall’Enit 39.600 euro più Iva, ma questo è solo un pezzo della verità perché quella cifra ha coperto solo una parte dell’operazione. I 39.600 euro più Iva sono stati autorizzati con una determina, cioè una delibera, dal titolo: «Affidamento per un servizio di studio, design, refresh e implementazione della corporate image del corporate branding dell’Agenzia nazionale del turismo». L’atto è del 14 gennaio 2022, la società prescelta è la PG&W e l’importo comprensivo di Iva è 48.312 euro.

Ma accanto a questa determina ce n’è un’altra approvata in precedenza, il 5 gennaio, che tratta lo stesso argomento e stanzia altri soldi per l’affidamento di una «consulenza creativa e supporto al coordinamento di un nuovo gruppo di lavoro e alla realizzazione di un brand narrative per il riposizionamento del brand Italia». L’incarico è stato dato alla società milanese Ibicus per un importo di 110mila euro più Iva, cioè 132mila euro che sommati alla cifra precedente danno come risultato finale 180mila euro circa.

A questo punto ci siamo rivolti di nuovo all’Enit. Ci hanno chiesto di inviare una seconda mail per specificare che cosa ci risultasse. Così abbiamo fatto, facendo presente che avevamo in mano una copia di entrambi gli atti, il primo e il secondo, e che fatti i calcoli l’importo finale speso dall’Enit per l’intera operazione era molto più elevato di quello comunicato dall’ente. Ci è stata promessa una mail di risposta e di spiegazione che, però, nonostante i tentativi di sollecito, non è mai arrivata.

Consulenze fumose

Del resto all’Enit dimostrano spesso un approccio assai disinvolto all’uso dei soldi pubblici ingaggiando professionalità esterne anche per compiti che potrebbero essere svolti dai circa 120 dipendenti interni senza aggravio di spese. Negli stessi giorni in cui decidevano di spendere 180mila euro per quella che chiamano la ribranderizzazione, hanno avviato con un affidamento diretto anche un paio di consulenze con finalità un po’ fumose. La prima riguarda un «servizio di supporto alle Direzioni competenti per lo sviluppo del Piano di sviluppo del turismo enogastronomico e di Sviluppo delle linee guida». L’incarico è stato affidato al dottor Giancarlo Piccirillo e il costo è di 34.800 euro. La seconda consulenza riguarda un «servizio di supporto nelle attività di analisi, di sviluppo del progetto dedicato al turismo sostenibile». Costo 36.600 euro, beneficiario il dottor Antonio Pezzano.

Anche con gli stipendi degli amministratori gli uffici Enit hanno fatto un po’ di confusione. C’è stato un momento l’anno passato che gli amministratori erano addirittura due, Giuseppe Albeggiani e Roberta Garibaldi, come succedeva nel Medioevo con i papi e gli antipapi. Ad appena tre mesi dalla nomina Albeggiani è stato però esonerato, ma a lui, al presidente Giorgio Palmucci e al consigliere Sandro Pappalardo sono stati versati nel frattempo gli stipendi nonostante mancasse ancora l’autorizzazione del ministero del Tesoro.

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