È stata una delle più grandi esplosioni non nucleari della storia. Ha ucciso 218 persone, ferite migliaia e distrutto parte della capitale libanese. Corruzione, crisi economica e politica hanno impedito alle indagini sulle cause e i responsabili di andare avanti. E ancora non sono stati individuati i responsabili
Due anni fa, il 4 agosto del 2020, l’esplosione di un magazzino pieno di nitrato di ammonio abbandonato nel porto di Beirut ha causato uno dei peggiori disastri nella storia del Libano. Duecentodiciotto persone di 22 nazionalità diverse sono rimaste uccise dall’onda d’urto, avvertita fino a Cipro e registrata dai sismografi di mezzo mondo.
Altre migliaia sono rimaste ferite, mentre Beirut ha subito danni che si contano in miliardi di euro. A due anni dal disastro, però, le indagini languono. La corruzione e la crisi economica e politica che flagellano da anni la nazione hanno impedito che si trovassero i responsabili del disastro.
L’esplosione
L’incidente è avvenuto nel magazzino 12 del porto di Beirut, un lungo casermone semi abbandonato che le autorità del porto utilizzavano come deposito dei materiali sequestrati. Da sei anni nel grande spazio del magazzino erano accumulate circa 2mila tonnellate di nitrato d’ammonio, un comune composto utilizzato per fertilizzanti ed esplosivi.
Il nitrato era stato sequestrato da una nave abbandonata e da quel momento nessuno se ne era più interessato. Nello stesso magazzino erano presenti anche diverse scatole di fuochi d’artificio requisiti alla dogana.
Sembra che, intorno alle 17.45 del 4 agosto, un incendio abbia cominciato a svilupparsi nel magazzino. C’è ancora incertezza sulle cause, ma sembra che possa essere stato innescato da alcuni operai la lavoro per montare una porta con una fiamma ossidrica.
Alle 18.07 si verifica la prima esplosione, probabilmente causata dai fuochi d’artificio. Circa 30 secondi dopo le fiamme raggiungono il nitrato e l’intero magazzino salta in aria. Lo scoppio è gigantesco, il rumore viene avvertito a centinaia di chilometri di distanza, le vibrazioni ancora più lontano.
L’esplosione viene ripresa in decine di video, che mostrano gli effetti micidiali dell’onda d’urto su persone anche molto lontane. Nel giro di un chilometri dal magazzino, gli edifici subiscono danni ingenti. Un intero ospedale deve essere evacuato.
Secondo alcuni studi, si sarebbe trattato della sesta più grande esplosione non nucleare mai verificatasi per cause umane. Lo scoppio lascia un cratere di quasi 150 metri che si riempie della vicina acqua del mare. Intere navi cargo vengono rovesciate o danneggiate dalla grande onda d’urto.
Parte della città viene salvata dal gigantesco silos per il grano in cemento costruito proprio accanto al magazzino. La sua struttura proteggerà la parte occidentale della città dagli effetti peggiori dell’esplosione. Ma la distruzione di migliaia di tonnellate di grano, in un paese già piegato da una crisi alimentare aggravata dal Covid, si farà sentire nei mesi successivi.
Le conseguenze
I danni subiti dalla capitale Beirut sono ingenti e aiuti vengono inviati da tutto il mondo. In breve, si stabilisce che l’esplosione è stata frutto di un incidente e si stabilisce grossomodo la dinamica dei fatti. Ma trovare i responsabili e punirli si rivelerà un compito molto più difficile.
Chi doveva vigilare sul magazzino? Chi sono gli armatori della nave che trasportava il nitrato e i proprietari del carico? Quali responsabilità politiche ci sono dietro il disastro? I due anni che hanno fatto seguito all’esplosione hanno visto alternarsi numerose commissioni e comitati di indagine, ma i loro lavori si sono arenati nella palude della politica libanese.
Ministri e deputati si sono protetti con l’immunità parlamentare e i partiti politici hanno organizzato proteste e manifestazioni contro un’inchiesta percepita come persecutoria. In una di queste, organizzata dal partito religioso Hezbollah, ci sono stati anche morti e feriti. In questa situazione senza uscita, le Nazioni unite sono tornate a chiedere, proprio questa settimana, l’apertura di un'inchiesta internazionale. L’unica che, si ritiene, potrebbe venire a capo degli ostacoli frapposti dagli stessi politici libanesi.
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