È la donna più potente del ministero di Giustizia, dove gode della stima incondizionata del guardasigilli. C’è lei dietro le mosse spericolate del ministro su Cospito e sul russo Uss. Il mistero delle scorte triplicate
C’è chi la chiama zarina, chi addirittura la eleva a ministra ombra. Di certo Giuseppa Lara Bartolozzi, meglio nota come “Giusi” Bartolozzi, è la donna più potente al ministero della Giustizia di via Arenula. Influente, ma soprattutto temutissima, perché da mesi gode della stima incondizionata del guardasigilli Carlo Nordio. Fiducia mai messa in discussione, neppure quando Bartolozzi ha mostrato, a detta di chi conosce bene le dinamiche degli uffici dell’ex pm, di aver gestito faccende delicatissime con esiti non troppo felici.
Bartolozzi, o “la ministra” come la definiscono anche a Palazzo Chigi, è una magistrata. Giudice in Sicilia, è passata pure dalla sezione fallimentare del tribunale di Palermo. La zarina è una tecnica, ma è l’unica del gruppo di collaboratori di Nordio ad aver avuto anche esperienze politiche, visto che in passato è stata eletta con Forza Italia.
I trascorsi
Una passione per la politica attiva, e per un politico che è suo compagno: cioè Gaetano Armao, avvocato, siciliano, ex assessore regionale e vicepresidente della regione ai tempi di Nello Musumeci presidente. Armao è una figura di relazioni profonde con il sistema politico, giudiziario e finanziario siciliano e nazionale. Oltre alla relazione sentimentale, i due hanno fatto parlare di loro per una vicenda poi finita pure al Consiglio superiore della magistratura nel 2018.
Tutto era nato da un esposto firmato dall’ex moglie di Armao, che avrebbe dovuto ricevere gli alimenti dopo la separazione. Tuttavia, intervenne il tribunale di Palermo con il pignoramento dello stipendio del politico a favore proprio della nuova compagna Giusi, con cui aveva firmato una scrittura privata. La decisione del tribunale impedì così alla prima moglie di ottenere quanto le sarebbe spettato. Secondo la prima moglie fu una strategia organizzata a tavolino. Il caso fu sottoposto all’attenzione del Csm, senza però conseguenze sull’attuale vice capo di gabinetto del ministro Nordio. Non risultano, infatti, procedimenti avviati dopo la consegna dell’esposto.
Fonti interne al Csm confermano che potrebbe essere stato archiviato poco dopo. Di certo però non è la prima volta che Bartolozzi finisce all’attenzione della commissione disciplinare: Domani ha scoperto che è stata assolta nel 2012 applicando l’articolo 3 bis, che recita: «L’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza».
Bartolozzi non aveva infatti indicato quale causa di incompatibilità, dopo la nomina al tribunale di Palermo, la professione della sorella, avvocata del foro della città. Non lo ha fatto, questo è stato accertato e c’è scritto in sentenza. Tuttavia è vero che la condotta di Bartolozzi, secondo i membri della commissione disciplinare, ha violato la norma ma solo formalmente. Perché in quel periodo la sorella non aveva trattato fascicoli in conflitto con la giudice ora potente dirigente del ministro Nordio.
Accanto a Nordio
Ora Bartolozzi è al fianco di Nordio. L’incarico di vice capogabinetto con funzioni di vicario le è stato conferito il 24 ottobre 2022: compenso annuale lordo di 151mila euro più un trattamento economico accessorio di quasi 38mila euro.
Berlusconi come mito, critica nei confronti della categoria a cui lei stessa appartiene, la sua propensione per la politica è forse il suo punto debole da “tecnica”: i suoi nemici malignano che molti dei suggerimenti offerti a Nordio siano frutto di calcoli per un suo eventuale ritorno nella politica attiva, questa volta nelle file di Fratelli d’Italia.
Fonti interne al ministero e al partito di Giorgia Meloni accostano Bartolozzi al sottosegretario Andrea Delmastro: a lui si sarebbe avvicinata la magistrata siciliana, che su Nordio ha un’ascendente assoluto. Anche se i consigli della donna a volte lo fanno andare a sbattere. Come nel caso della guerra alle intercettazioni, che non piace né alla Meloni né alla Lega: ieri Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia del Senato e plenipotenziaria di Salvini, ha detto che sono per lei strumento necessario, guai a cancellarle. Nordio invece le ha definite spesso inutili.
Di certo le questioni che hanno allarmato maggiormente la maggioranza per la gestione che ne è stata fatta sono due: caso Cospito e caso Uss. Su entrambi, dicono da Palazzo Chigi, Nordio sarebbe stato stato «mal consigliato da Bartolozzi».
Mosse maldestre
Partiamo dalla gestione del 41 bis per Alfredo Cospito, l’anarchico insurrezionalista autore della gambizzazione del manager di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi. Nel dibattito che è seguito sono accadute molte cose, alcune si sono caratterizzate per l’utilizzo di metodi ampiamente oltre il limite della lotta parlamentare.
Il campione di tale strategia è stato Giovanni Donzelli, vicepresidente del Copasir e deputato di Fratelli d’Italia: durante il dibattito in aula del 31 gennaio 2023, a Montecitorio, ha letto passaggi integrali di una relazione del gruppo speciale della polizia penitenziaria che opera all’interno delle sezioni di carcere duro, il 41 bis.
È noto che quei documenti, contenenti informazioni sensibili sul detenuto anarchico e un gruppo di boss mafiosi, sono stati così sfruttati da Donzelli per colpire l’opposizione. Chi aveva fornito quelle informazioni a Donzelli era Delmastro, suo coinquilino che da sottosegretario ha la delega alla polizia penitenziaria.
Si è discusso molto in quei giorni sulla natura di quei dati certamente riservati. Il 2 febbraio, due giorni dopo l’azzardo di Donzelli, il ministro Nordio ha lanciato il salvagente al suo sottosegretario. Il tentativo, però, si è rivelato maldestro: quegli atti, ha sostenuto il guardasigilli, non erano segreti, ma solo a “limitata divulgazione”.
L’inchiesta della procura di Roma dimostrerà esattamente il contrario. L’indagine è stata avviata dopo un esposto di Angelo Bonelli, parlamentare di Alleanza Verdi Sinistra, ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di Delmastro. Qualche mese più tardi i pm della capitale hanno chiesto l’archiviazione, spiegando però che i documenti consegnati all’amico Donzelli erano coperti da segreto amministrativo. Dunque Delmastro il reato lo ha commesso, ma senza consapevolezza. A sua insaputa, avremmo detto anni addietro, perché ignorava la legge, in pratica. Il giudice delle indagini preliminari ha però respinto la richiesta della procura e a metà luglio dovrà decidere il da farsi.
Ma già l’atto con cui i pm hanno chiesto l’archiviazione sconfessa Nordio. Più fonti all’interno del palazzo di via Arenula indicano nella vice capo di gabinetto Bartolozzi la persona che ha gestito il complesso dossier Donzelli-Delmastro. «Ha scavalcato tutti», ripetono, «e la comunicazione che è passata ha messo il ministro in difficoltà».
In pratica la vice capo di gabinetto ha scelto per Nordio la strada più impervia, e lui ha accettato il rischio. Nonostante più persone dello staff erano contrari, e avrebbero suggerito un profilo più basso per evitare a Nordio di esporsi su una vicenda scivolosa e di sicura trattazione della procura di Roma. Anche perché i ben informati sostengono che il ministro avesse ricevuto pure una telefonata della presidente Giorgia Meloni: voleva sapere dal guardasigilli se qualcuno dei suoi si era macchiato di condotte irregolari sulla gestione del dossier. Nordio, invece, ha preferito altri consigli e coperto le responsabilità di Delmastro, finché non sono emerse con l’indagine della procura di Roma.
Tra i corridoio di via Arenula è noto poi un altro episodio rivelatore del metodo Bartolozzi. Nei giorni caldi del caso di Artem Uss, il cittadino russo fuggito dai domiciliari nel Milanese, Nordio – sempre suggerito da Bartolozzi, i due per definire le strategie fanno lunghe riunioni a due nella stanza del ministro - ha infatti scelto lo scontro con la magistratura della procura di Milano.
A tal punto che l’associazione nazionale magistrati reagì all’avvio dell’azione disciplinare da parte del ministero nei confronti della corte d’appello di Milano, accusando i giudici di grave negligenza. Un atto durissimo, non condiviso da tutti all’interno del ministero. Una linea che ha scatenato non solo la guerra con la magistratura, ma che è stata criticata perfino dagli avvocati.
Contattata da Domani più volte per una replica, la magistrata ha con garbo rimandato per via di una riunione. Richiamata dopo diverse ore, era ancora impegnata seppure avesse garantito di ricontattarci. Il giorno successivo abbiamo tentato un’ultima volta. Alla fine non ha più risposto.
Quante scorte
Al ministero del resto accadono cose straordinarie dal giorno in cui si è insediato l’ex magistrato che sognava di fare il ministro. Sono triplicate le scorte. Oltre al ministro, naturalmente obbligatoria, troviamo altre otto persone con la tutela: cioè protetti da un agente e dotati di un’auto non blindata. Dal capo di gabinetto ai vice capi.
Inclusa Bartolozzi, per la quale già prima del pericolo anarchico era stato disposto un dispositivo di protezione. Anche questo pullulare di “angeli custodi”, confermano più fonti interne al ministero, è merito della donna che vuole essere l’ombra di Nordio. O meglio: la ministra ombra.
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