- Il premier Boris Johnson, sempre più in prima linea sul fronte calcistico dopo la guerra alla Superlega, ha incontrato ieri a Downing Street il presidente Uefa per sponsorizzare la candidatura anglo-irlandese per la Coppa del mondo 2030.
- I media inglesi trattano in modo distratto gli avversari di oggi, come se la gara fosse una formalità dopo un torneo giocato quasi tutto in casa mentre le altre nazionali giravano l’Europa. Il massimo dell’attenzione viene dal confronto fra le wags inglesi e le wags danesi, proposto sui tabloid.
- Ma agli Europei del 1992 la Danimarca dimostrò quanto si trovi a proprio agio nel ruolo di squadra svantaggiata. E l’avvio stentato (tragedia di Eriksen sfiorata e due sconfitte) non avrebbe mai fatto pensare che stasera potesse giocarsi la finale.
Ma si fidano davvero degli underdog danesi? È una vigilia particolare quella che porta alla semifinale degli Europei tra Inghilterra e Danimarca (Londra, ore 21) e che dovrà esprimere la finalista contro cui giocherà l'Italia di Roberto Mancini. Gli inglesi vi si approssimano con un atteggiamento vagamente indifferente, forse pure un po' anestetizzato. Continuano a vivere nel mito del “football coming home”, che poi è lo stesso degli Europei giocati in casa 25 anni fa e non portò granché bene perché il sogno si arrestò proprio a un passo dalla finale.
Forse era inevitabile. La formula dell'Europeo itinerante non li ha quasi toccati poiché delle sei partite fin qui giocate (più l'eventuale settima), soltanto una è stata giocata fuori da Londra: il quarto di finale contro l'Ucraina, disputato all'Olimpico di Roma. È come se avessero giocato gli Europei in casa, ciò che stride una volta di più se si pensa che stiamo parlando del paese protagonista della Brexit. Un privilegio che potrebbe contribuire a rendere meno vigile lo stato d'animo in queste ore di avvicinamento alla gara, dominate da temi che portano l'attenzione su qualsiasi oggetto tranne gli avversari.
Proiettati verso i mondiali 2030
Il fatto è che gli inglesi sono talmente esaltati dal fatto di avere «riportato il calcio a casa» da volercelo tenere il più a lungo possibile. Per esempio, presentando la candidatura a ospitare i mondiali del 2030, in associazione con l'Irlanda. Un progetto che viene avallato dal premier Boris Johnson in persona, di questi tempi particolarmente attivo sul fronte politico-calcistico.
La sua avversione al progetto di Superlega ha fatto del governo inglese l'esecutivo più radicalmente contrario alla scissione che lo scorso aprile è finita in burla. E adesso ecco la carta della massima rassegna calcistica mondiale, di cui si è parlato nei mesi scorsi ma che dopo i successi (fin qui) conseguiti dalla nazionale dei Tre Leoni ingolosisce in modo particolare. Secondo quanto riferisce oggi il quotidiano conservatore The Times, il tema è stato oggetto di un incontro col presidente dell'Uefa, Aleksander Ćeferin, avvenuto nella giornata di ieri a Downing Street. Johnson pressa e sa di dovere affrontare la concorrenza del ticket iberico (Portogallo-Spagna) quando ci sarà da scegliere una candidatura unitaria da portare in ambito Fifa come espressione dell'Europa.
Si tratterebbe comunque di uno sforzo ambizioso. Dal 2026 la fase finale dei mondiali passa a 48 squadre, tant'è che l'organizzazione di quell'edizione se la dividono i tre paesi del Nord America (Canada, Messico e Usa). Ma evidentemente per il premier della Brexit il pallone è uno strumento di altissima politica, forse anche un elemento di hybris. Ma in tutto ciò gli 11 danesi che stasera scenderanno a Wembley, privi di sostenitori al seguito causa Covid, verranno mica presi in considerazione?
Il bello degli underdog
Al di là dei doveri d'ufficio, i media inglesi proiettano un interesse molto relativo sulla squadra allenata da Kasper Hjulmand. Il massimo dello sforzo è stato effettuato dal tabloid The Sun, ma a modo suo. Cioè per mettere in evidenza che le wags danesi potrebbero tranquillamente surclassare quelle inglesi.
In fondo è questa la forza dei danesi: che nonostante i risultati, non vengono mai presi sul serio fino in fondo. E loro ne approfittano. Lo insegna la lezione del 1992, quando la Danimarca venne ripescata agli Europei di Svezia per sostituire la Jugoslavia, messa fuori gioco dalla risoluzione 757 dell'Onu. Molti fra i calciatori danesi erano già in vacanza, ma si presentarono in Svezia e vinsero il più rocambolesco dei tornei battendo in finale 2-0 la Germania. E in fondo anche in questa edizione la Danimarca si ritrova dove nessuno si sarebbe aspettato. Dopo la tragedia sfiorata di Christian Eriksen e le sconfitte nelle prime due gare, chi mai si sarebbe aspettato di vederli stasera a Wembley per giocarsi l'accesso alla finale? E invece sono lì. Talmente freschi e spensierati da essere un pericolo per chiunque.
Chissà se ricapita. Ma se davvero ricapita, potranno tornare in patria a portare un altro trofeo inatteso e a consolare Henrik Larsen. L'ex centrocampista del Pisa, eroe di Svezia ‘92 e oggi allenatore in seconda del Græsrødderne, nei giorni scorsi ha denunciato su Facebook il furto della maglia che indossava durante la gara di Euro 92 vinta 2-1 contro la Francia anche grazie a un suo gol. La maglia, autografata, era custodita in una teca dell'Ofelia Plads, un centro culturale di Copenaghen in cui è stata allestita una mostra sul calcio in coincidenza con la celebrazione dei campionati Europei. Furto di memoria. Ma a volte certi ricordi ritornano. E una nuova coppa d'Europa renderebbe meno amara la scomparsa del cimelio.
© Riproduzione riservata