- L’Europeo policentrico è stato anche la manifestazione calcistica che nella storia è stata maggiormente segnata da polemiche di carattere politico e simbolico. Per il presidente Uefa, chiuderla è quasi un sollievo.
- Restano però irrisolte le questioni che minano una leadership debole, in difficoltà nel costruire alleanze sul fronte interno e nell’arginare le mire imperiali del capo del calcio mondiale, Gianni Infantino.
- Ancora una volta è stata una fase finale priva di stelle. I protagonisti annunciati sono usciti quasi subito. Il calcio è dominato sempre più dai club, che per le star globali sono il vero riferimento.
Mai più un Europeo itinerante. Parole di presidente dell’Uefa a 48 ore dalla conclusione della kermesse, esternate nel corso di un’intervista concessa a Bbc. Pronunciate pure in modo fermo e con quell'inglese un po’ legnoso che rende un suono ancora più perentorio al senso delle cose.
Alla vigilia della finale fra Inghilterra e Italia (in programma domani alle 21 a Wembley) l'avvocato Aleksander Ćeferin è stato tassativo. Almeno fino a che sarà lui il capo del calcio europeo, il format policentrico non verrà replicato. Troppo faticoso e soprattutto iniquo per alcune tifoserie nazionali rispetto a altre.
Perché c'è chi ha dovuto sorbirsi spostamenti di migliaia di chilometri (sempre che fosse possibile possibile spostarsi, districandosi fra la ragnatela delle limitazioni provocate dalla gestione della pandemia) mentre altri hanno giocato di fatto il torneo in casa.
Parole sincere e anche irrituali, quelle del capo del calcio europeo. Perché in pratica l’Uefa ha bocciato l’Uefa. E ovviamente si tratta di un conflitto fra gestioni diverse, condotte in tempi distinti e avendo come riferimento orizzonti non equiparabili. Quando Michel Platini disegnava nel 2014 un format così ambizioso pareva una sfida affascinante. Ma non c’erano stati ancora gli scandali che hanno decapitato il calcio mondiale (Platini compreso), né si poteva prevedere il Covid-19.
Non il massimo dell’eleganza, da parte dell'avvocato sloveno. Ma un po’ c’è da capirlo. Arrivava alla manifestazione in condizioni di stress da Superlega e magari sperava che l’atmosfera di festa potesse restituirgli un minimo di buonumore.
E invece questo torneo sparpagliato per il continente è stato per lui fonte di ulteriori preoccupazioni: dalle voci sulla (presunta) pressione per riprendere la partita fatta sui calciatori della Danimarca dopo la tragedia sfiorata di Christian Eriksen alle polemiche sugli inginocchiamenti in onore di Black Lives Matter, dal divieto di illuminare coi colori dell’arcobaleno l’Allianz Stadium di Monaco di Baviera alla requisizione del vessillo arcobaleno subita da un tifoso danese sugli spalti dello stadio di Baku, e a fare da sottofondo i problemi legati alla pandemia e i conseguenti rischi da spostamento e assembramento.
Infine è giunta la sanzione all’Ungheria (3 gare a porte chiuse e 100mila euro di multa) per cori razzisti e omofobi dei suoi tifosi. Che stasera cali il sipario sarà per lui un sollievo. Ma già da domani gli toccherà riflettere sull'eredità di questo torneo che lascia molte questioni aperte.
La perdita delle star
Sono mancati molti attori all’appello. In primis i grandi campioni. Il protagonista atteso alla definitiva consacrazione, Kylian Mbappé, ha fallito la prova e ha finito per essere travolto dalle polemiche per l’eliminazione della Francia. E il veterano più atteso, Cristiano Ronaldo, è uscito presto come ormai gli capita da anni e ancora una volta ha dimostrato che i record personali viaggiano in una direzione sconnessa rispetto alle fortune di squadra.
Ma allora chi sarà la star di Euro 2020+1? Risposta: nessuno. Una situazione che è ormai diventata costante almeno dai mondiali di Corea del Sud-Giappone 2002, gli ultimi a essere segnati dalla figura di un fuoriclasse (in quel caso fu Ronaldo Luis Nazario de Lima, il Fenomeno brasiliano).
Da allora i grandi calciatori incidono sempre molto relativamente e con discontinuità nelle fasi finali delle competizioni riservate alle rappresentative nazionali. Che ciò dipenda da un mutamento culturale è un truismo. Che sia connesso con la perdita di importanza delle nazionali rispetto ai club è un’ipotesi che meriterebbe di essere indagata.
I calciatori di punta arrivano alle fasi finali delle manifestazioni considerandole come delle vetrine ma poi troppo spesso mancano l’appuntamento. E allora se ne tornano alla dimensione di calcio da club, la loro vera comfort zone oltreché fonte del vero arricchimento.
Con soddisfazione di presidenti e dirigenti di club, che continuano a vedere nelle nazionali un fastidio. Specie se, oltre a “rapire” i loro talenti e esporli al rischio di infortuni, esse non contribuiscono alla valorizzazione.
L’espansionismo Fifa
Su questo tema il calcio europeo è il vero terreno di scontro, perché tutti i più grandi campioni giocano nei campionati del continente. E l’Uefa, con le sue federazioni, deve fare i conti con questo conflitto strisciante e mai risolto. La soluzione di aumentare le competizioni per club, con l’invenzione della Conference League, sembra un confuso tentativo di rispondere all'espansionismo della Fifa. Che dal canto suo guarda a un mondiale per club dal format più vasto e avvia lo studio di fattibilità sui mondiali ogni due anni.
Quest’ultima prospettiva sarebbe un'opa sul calcio europeo che avrebbe come vittima proprio i campionati Europei. Ćeferin lo sa e deve prepararsi alla battaglia. Gli Europei 2024 in Germania potrebbero essere l’ultima edizione al riparo da questo rischio, tutto ciò che verrà dopo è un punto interrogativo.
Un vasto campo di battaglia che il presidente Uefa dovrà affrontare senza avere abbastanza consenso intorno a sé. Chiuso l’Europeo delle polemiche, il difficile deve ancora venire.
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