- Un elenco con 20 società, che negli ultimi cinque anni hanno versato al fisco italiano una somma di oltre 3,5 miliardi. Importo riscosso, che ha rimpinguato le casse dello stato italiano.
- A questi soldi già incassati potrebbe aggiungersi un altro miliardo e mezzo nei prossimi mesi, ma su questo ancora le indagini restano coperte da segreto e le verifiche della guardia di finanza proseguono nel massimo riserbo.
- I più grandi marchi del lusso, i colossi del digitale e del commercio online, giganti delle assicurazioni, compagnie petrolifere. Si tratta di multinazionali con fatturati astronomici, con la testa in paesi esteri ma che producono enormi ricavi in Italia. Un filo unisce queste favolose storie industriali: sono finite nell’ultimo lustro nel mirino di verifiche fiscali del nucleo polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Milano. La prima puntata della nostra inchiesta.
Un elenco con 20 società, che negli ultimi cinque anni hanno versato al fisco italiano una somma di oltre 3,5 miliardi di euro. A questi soldi già incassati dallo stato potrebbe aggiungersi un altro miliardo e mezzo nei prossimi mesi, ma su questo ancora le indagini restano coperte da segreto e le verifiche della Guardia di finanza proseguono nel massimo riserbo.
Marchi del lusso, colossi del digitale e del commercio online, giganti delle assicurazioni, compagnie petrolifere: si tratta di multinazionali con fatturati astronomici, con la testa in paesi esteri ma che producono enormi ricavi in Italia.
Un filo unisce queste favolose storie industriali: sono finite nell’ultimo lustro nel mirino di verifiche fiscali del nucleo polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Milano.
Uno stuolo di finanzieri temutissimo nell’ambiente imprenditoriale, tanto che la sezione è considerata l’estensione operativa del “Modello Milano”, etichetta per definire l’approccio concreto, avviato dall’ex procuratore capo Francesco Greco, alla lotta alla grande evasione relativa soprattutto al campo della fiscalità internazionale.
C’è una differenza comunque notevole tra le cifre contestate dalla finanza all’esito dell’indagine fiscale e quanto versato dalle società, che il più delle volte attendono la fine dell’accertamento per poi accordarsi con l’Agenzia delle entrate su cifre molto inferiori.
Un esempio: nel 2014 Apple si è accordata con il fisco italiano per pagare 318 milioni di euro, a fronte di una evasione Ires ipotizzata dai detective di 880 milioni.
Poi è toccato ad altri giganti digitali: tra il 2017 e il 2022 Facebook, Google, Amazon e Netflix hanno versato in totale oltre mezzo miliardo di euro.
Di certo la batosta più grossa l’ha subita il gruppo francese Kering, che detiene tra gli altri i marchi Gucci e Bottega Veneta: nel 2019 ha dovuto versare 1,25 miliardi e nel 2022 quasi 187 milioni.
Il metodo
Solo tra il 2019 e il 2022 la Guardia di finanza è riuscita a fare riemergere tasse non pagate per 2 miliardi. E si tratta di una cifra per difetto.
Per capire la dimensione del fenomeno dei “grandi evasori”, così identificati per l’elevato volume dei fatturati prodotti e al contempo il valore delle tasse evase, è utile citare la relazione del ministero 2022 sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale.
In totale il mancato gettito fiscale è stimato in 105 miliardi di euro. All’interno del numero generale esistono diverse categorie. Il dato interessante è nella tabella del gap Ires, cioè il buco prodotto dall’imposta sul reddito delle società non dichiarata e non versata.
Numero abbastanza stabile negli ultimi sette anni, che si aggira attorno ai 9 miliardi di euro l’anno. All’interno di questo insieme ben definito emerge un altro fatto: la maggior parte del gap Ires è prodotto in Lombardia oltreché nel Lazio, dove è «prevalente la collocazione territoriale delle società di capitali».
Le contestazioni mosse dai finanzieri nell’ambito della fiscalità internazionale sono principalmente di tre tipologie. La prima riguarda la stabile organizzazione occulta: con questa tipologia sono stati colpiti i colossi della caratura di Apple, Amazon, Facebook, Netflix (solo per citarne alcuni), ma anche compagnie assicurative e brand del lusso.
In pratica, si tratta di grandi aziende con redditi formati anche in Italia e non dichiarati al fisco italiano, che spesso si avvalgono della regola del transfer pricing, cioè trasferiscono i profitti in paesi bassa fiscalità e caricano i costi (deducibili) dove le tasse sono più alte, in Italia.
La seconda categoria di contestazioni ricade nell’esterovestizione: una manovre di pianificazione fiscale aggressiva tramite le quali il contribuente residente in Italia appare come residente in uno stato a bassa pressione fiscale.
Il contribuente in questo caso è una persona giuridica, cioè una impresa che produce e lavora nel nostro paese ma sfrutta la sede estera per pagare meno imposte.
A queste due si aggiunge la frode Iva attraverso l’uso di società estere in unione europea. Questo vale soprattutto per le holding della grande distribuzione finite nel mirino dei finanzieri in questi anni.
Infine l’omessa dichiarazione dei redditi sulla cessione di partecipazioni: la categoria più complessa da indagare, perché riguarda le plusvalenze create da vendite di partecipazione societarie o nei fondi di investimenti.
La Guardia di finanza ha individuato alcune compagnie assicurative molto note che hanno simulato una cessione avvenuta in Lussemburgo (dove le plusvalenze da cessione di partecipazione non sono toccate dal fisco) quando invece era stata realizzata in Italia, dove la tassazione di questa profitto è pari al 49 per cento.
Quasi 40 miliardi
Stabile organizzazione occulta e esterovestizione rappresentano la maggior parte dei fenomeni elusivi internazionali.
In una relazione del 2019 (ultimo dato disponibile) del ministero dell’Economia scopriamo che nell’ambito della fiscalità internazionale quell’anno «la base imponibile lorda proposta per il recupero a tassazione» era pari a oltre 38 miliardi di euro.
E che ben 29 miliardi sono stati individuati tra quelle società che si fondavano sulla stabile organizzazione occulta in Italia. 8 miliardi invece, sempre nel 2019, riguardavano il fenomeno dell’esterovestizione.
I dati evidenziano che «l’incidenza dei fenomeni illeciti di portata transnazionale rispetto all’evasione complessiva scoperta nel settore delle imposte sui redditi è pari a oltre il 62 per cento», è scritto nella relazione del ministero dell’Economia, che però nelle ultime due edizioni dei report annuali non dedica più ampio spazio al fenomeno, limitandosi a un paragrafo molto sintetico e senza dettagli sui numeri, sebbene le operazioni della finanza tra il 2021 e il 2022 siano imponenti in termini di riscossione.
Da quanto risulta da diversi documenti di analisi investigative tra i principali paesi nei quali si sono concentrati i casi di evasione fiscale internazionale scoperti dai finanzieri, troviamo l’area dell’est Europa, gli Emirati Arabi Uniti (Dubai), la Svizzera e i Paesi Bassi. Segno che spesso è l’Unione Europea il grande buco nero, non c’è bisogno di andare molto lontano. (1.continua)
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