La firma è stata spostata al 10 dicembre, per adesso memorandum tra le parti. L’a.d. di Invitalia, Domenico Arcuri, ha riferito ai sindacati che la società pubblica entrerà prima al 50 per cento e a giugno 2022 al 60 per cento. Ha poi promesso un piano di rientro degli operai entro il 2025. Per la Uilm sono a rischio 5000 posti di lavoro, la Fiom confida nell’intervento dello stato
- La firma tra Invitalia e Arcelor Mittal è stata spostata al 10 dicembre, per adesso memorandum tra le parti. Per i sindacati potrebbe arrivare anche l’11. L’a.d. di Invitalia, Domenico Arcuri, ha riferito ai sindacati che la società pubblica entrerà prima al 50 per cento e a giugno 2022 al 60 per cento.
- Arcuri, in videoconferenza con il ministro dello Sviluppo, Stefano Patuanelli, del lavoro, Nunzia Catalfo, e le sigle sindacali, ha prospettato per il 2021 altri 3mila operai in cassa integrazione, aggiungendo che ci sarà un rientro al 2025.
- La Uilm è la sigla più preoccupata, con le nuove Cig sarebbero di fatto a rischio 5000 posti di lavoro. La Fiom confida nell’intervento dello stato, mentre la Fim Cisl ha detto che nonostante il ritardo, l’esecutivo ha presentato un abbozzo di piano. Per tutti c’è ancora troppa incertezza.
È slittata la firma dell'accordo tra governo e Arcerlor Mittal per l'ingresso di Invitalia nell'ex Ilva che avrebbe dovuto portare l’impresa nell’alveo della gestione di stato. Secondo quanto riferiscono i sindacati, l'intesa è stata rinviata al'10 dicembre, ma è già partito l’allarme per quasi 5.000 posti di lavoro, visto che il governo gli ha presentato un piano che prevede altri 3000 operai in cassa integrazione.
Le sigle di settore di Cgil, Cisl e Uil hanno incontrato in videoconferenza il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, la ministra del lavoro, Nunzia Catalfo e l’a.d. di Invitalia, Domenico Arcuri.
Rocco Palombella, della Uilm, ha detto: «Oggi doveva essere il giorno della verità sull’accordo tra Invitalia e ArcelorMittal, ma è diventato il giorno del rinvio. A quanto pare firmeranno un memorandum of understanding che stabilirà i punti salienti dell’accordo ma ne posticiperà la firma entro il 10 dicembre, mentre per questi giorni Ami non potrà esercitare il diritto di recesso, che potrà comunque esercitare dal giorno successivo senza l’eventuale accordo».
L’accordo rinviato
Le parti, Invitalia e Ami, dovrebbero scambiarsi una lettera di intenti per confermare gli impegni sottoscritti nell'accordo extragiudiziale del 4 marzo scorso, che prevedeva entro il 30 novembre la sottoscrizione di un nuovo contratto di investimento per l'Ilva con l'ingresso dello stato in AmInvest Co.
«Invitalia entrarà nel capitale di Ami inizialmente con quota del 50 per cento, poi nel giugno 2022 Invitalia arriverà al 60 per cento e ArcelorMittal al 40 per cento» riferiscono i sindacati abbia detto l’ad di Invitalia, aggiungendo: «Non è un progetto finanziario ma un progetto industriale strategico». Entro stasera «ci sarà la firma del memorandum con gli elementi principali dell’accordo di coinvestimento che ha come termine il 10 dicembre per limare dettagli», avrebbe proseguito Arcuri, ma la firma dell’accordo tra il governo e la multinazionale indiana dell’acciaio per i sindacati arriverà l’11 dicembre.
Per il personale, ha detto Arcuri, si prevede nello specifico una cassa integrazione «di 3mila persone al massimo nel 2021, 2.500 nel 2022, 1.200 nel 2025 e zero dal 2025». A questi numeri sono poi da aggiungere i 1700 lavoratori di Ilva As attualmente in cassa per cui non è stata chiarita la posizione che verrà assunta.
Da parte di Arcuri sarebbero anche stati annunciati 2,1 miliardi di investimenti.
Sindacati in attesa
Le sigle hanno reagito in modo diverso all’incontro. Il più preoccupato è Palombella: «Secondo quanto detto oggi da Arcuri noi ci troveremo da quest’anno fino al 2021 con 3.000 persone in cassa integrazione che si aggiungono ai 1.700 di Ilva As». Il piano industriale per lui è ancora incerto: «L’unico piano industriale che noi conosciamo è quello del 2018. Oggi abbiamo appreso che il nuovo progetto prevede la realizzazione di un grande forno elettrico e due impianti esterni per il preridotto, ma non sappiamo come verrà guidata la transizione, quale sarà il cronoprogramma e come verranno gestiti i lavoratori».
Un’incertezza che investe sia gli operai che saranno messi in cassa integrazione sia quelli che lo sono già: «Secondo l’accordo del 2018 dovevano essere riassorbiti in Ami man mano che si verificava la risalita produttiva». Il sindacalista ha concluso: «Non firmeremo mai un accordo che preveda 5000 esuberi». Dalla prossima settimana inizierà una trattativa.
La Cgil confida nello stato: «La decisione del governo di entrare con lo stato in Mittal Italia in modo consistente, all'inizio con il 50 per cento e poi con una quota maggiore, è una decisione importante: il fatto che lo stato entri in Ilva e nella siderurgia è una garanzia e una scelta di politica industriale» ha detto Francesca Re David, leader della Fiom, al termine della videocall governo-sindacati.
Attualmente però, ha detto anche lei, le informazioni sono troppo poche: «Riteniamo che ancora sia insufficiente la quantità di informazioni in nostro possesso, la trattativa sta andando avanti, per noi questo cambiamento deve significare il rilancio della siderurgia, l'ingresso delle migliori tecnologie green e la salvaguardia di tutta l'occupazione». Altrimenti «nessun accordo con noi potrà esserci con noi se non ci saranno queste tre condizioni», ha aggiunto.
Il segretario generale della Fim Cisl, Roberto Benaglia, si è dimostrato ottimista: «Nonostante il ritardo di 10 giorni che avrà ancora la trattativa tra stato e Mittal, oggi nell’incontro con i ministri Patuanelli e Catalfo abbiamo avuto finalmente delle prime indicazioni sul piano industriale e sulle conseguenze occupazionali». Anche se «ci sono ancora numeri pesanti e difficoltà per il rilancio, ma abbiamo chiesto che ci sia un accordo sindacale per dare una risposta a tutti i lavoratori».
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