Il giornalista aveva dimostrato il clamoroso scambio di persona che aveva portato il pm Calogero Ferrara ad arrestare un falegname di Asmara invece di un trafficante di esseri umani, ma il procuratore ha deciso di citarlo in giudizio
La piattaforma del Consiglio d'Europa che monitora lo stato della libertà della stampa ha segnalato un potenziale caso di intimidazione da parte del procuratore siciliano con delega europea, Calogero Ferrara, ai danni di Lorenzo Tondo, corrispondente del quotidiano britannico “The Guardian”.
Il 18 ottobre Tondo ha ricevuto notifica della prima udienza del suo processo, fissata il 2 febbraio 2022, in due cause civili promosse contro di lui dal magistrato italiano. Il giornalista aveva dimostrato lo scambio di persona che aveva portato il procuratore ad arrestare un falegname di Asmara invece di un trafficante di esseri umani, errore confermato dalla Corte d’Assise di primo grado. Il procuratore ha deciso di citarlo in giudizio per un post su Facebook e una serie di presunti articoli inesatti.
La segnalazione del caso di Ferrara alla piattaforma europea è stata promossa dalla Federazione Europea dei Giornalisti (Efj) e inserita nella categoria “persecuzioni e intimidazioni nei confronti dei giornalisti” attribuibili allo stato.
Cosa è successo
Nel 2016 Ferrara, sostituto procuratore a Palermo, annunciò di aver arrestato a Khartoum, in Sudan, uno dei più sanguinari colonnelli del traffico di esseri umani: Medhanie Yehdego Mered, soprannominato il Generale. L’arresto, a cui hanno partecipato cinque paesi europei, era stato presentato ai mezzi d’informazione di tutto il mondo come il più grande risultato della lotta ingaggiata dall’Europa al traffico di esseri umani.
Poche ore dopo l'estradizione gli eritrei sollevarono dubbi sulla persona arrestata. Il Guardian decise seguire il caso e con una serie di inchieste dimostrò che il ragazzo arrestato è un rifugiato eritreo, vittima di un terribile scambio di persona.
L’uomo risulterà essere Medhanie Tesfamariam Berhe, un falegname di Asmara estradato in Italia dal Sudan e messo in carcere per i crimini commessi da un altro uomo. Il vero trafficante, Yehdego Mered, è ancora a piede libero.
Nonostante le prove prodotte dai giornalisti impegnati al caso e dall’avvocato difensore di Berhe, Michele Calantropo, inclusi due test del Dna, decine di foto, perizie foniche e documenti anagrafici, Ferrara ha continuato a sostenere che l’uomo catturato fosse il vero trafficante.
Nel 2017, nel corso del processo, Ferrara ha intercettato alcune conversazioni telefoniche tra Tondo e una sua fonte. Non solo, durante un’udienza, il magistrato ha depositato un fascicolo contenente una serie di documenti che identificano Tondo come giornalista del Guardian che «sta lavorando al caso» Mered e che includono le trascrizioni di due conversazioni intercettate tra il cronista e un eritreo descritto come amico dell'uomo detenuto.
Un caso che ricorda quello delle intercettazioni di Nello Scavo e Francesca Mannocchi della procura di Trapani, diversi dall’abuso subito da un’altra giornalista Nancy Porsia, lei target vero e proprio delle intercettazioni disposte dalla procura trapanese.
Lo scambio di persona
Nella primavera del 2017, in un lungo articolo sul caso Mered pubblicato dal New Yorker, il giornalista e vincitore del Premio Pulitzer Ben Taub, ha scritto che una reporter del New York Times si era recata a Palermo per un’intervista con il pm Ferrara. In quel periodo Tondo, che non era ancora stato nominato corrispondente al Guardian, aveva iniziato a collaborare con il New York Times su inchieste legate a immigrazione e terrorismo. Quando la giornalista incontrò Ferrara, questi mise subito le cose in chiaro: «Se Tondo firma il pezzo sul New York Times, il New York Times ha chiuso con la procura di Palermo». Ferrara ha negato di aver mai pronunciato quelle parole.
A luglio del 2019, dopo 3 anni di detenzione e processo, la Corte di Assise di Palermo ha infine assolto Berhe dall’accusa di traffico di esseri umani per “acclarato scambio di persona”, confermando la tesi del Guardian, condannandolo invece per favoreggiamento all’immigrazione illegale per aver invece aiutato il cugino a fuggire dalla Libia.
Berhe è stato comunque immediatamente rilasciato, perché aveva già passato tre anni in carcere. Nelle motivazioni della sentenza, i giudici della Corte hanno definito le accuse del procuratore Ferrara contro Berhe a tratti “inconsistenti e inadeguate’’, “sul piano logico e concettuale’’, sottolineando come alcune delle prove che dimostravano lo scambio di persona siano state “gravemente trascurate’’. L’Unhcr e la commissione territoriale di Siracusa hanno concesso infine a Berhe lo status di rifugiato.
La citazione in giudizio
Circa 4 mesi dopo la sentenza di assoluzione, Ferrara ha citato in giudizio per diffamazione in sede civile la giornalista di Repubblica Romina Marceca, il Gruppo Gedi, l’Ordine dei Giornalisti della Sicilia, l’Associazione Siciliana della Stampa, Lorenzo Tondo, il Guardian, il New Yorker e il giornalista Ben Taub.
Dopo che la mediazione tra le parti non aveva prodotto alcun risultato e dopo un anno dalla notifica, Ferrara ha deciso di muovere causa solo contro Repubblica e la sua giornalista Romina Marceca e Tondo. Il Guardian non è stato più coinvolto, ma ha comunque deciso di coprire i costi legali della causa intentata contro il suo giornalista.
«Il caso di Lorenzo Tondo è emblematico delle difficoltà che vive oggi il giornalismo indipendente in Italia», dice l’avvocato italiano nominato dal Guardian, Andrea Di Pietro, consulente legale di Ossigeno per l'informazione che da anni segue le traversie giudiziarie dei giornalisti. «La critica che spesso si rivolge ai cronisti giudiziari italiani è di essere troppo dipendenti dai pubblici ministeri i quali interagiscono con la stampa solo quando questa è disposta a raccontare la loro versione dei fatti».
Questo, secondo l’avvocato, influenza l'opinione pubblica: «In questo caso Lorenzo Tondo è stato un vero giornalista d'inchiesta e non si è concesso per fare il megafono della pubblica accusa. Ha fatto uno scoop e lo ha divulgato, scoprendo un errore giudiziario gravissimo, confermato in primo grado dalla sentenza della Corte d’Assise di Palermo».
Per l’avvocato, Ferrara ha deciso di «trascinarlo in giudizio senza il suo giornale, per farlo sentire ancora più isolato e debole rispetto al potere dello Stato. Ma il Guardian non ha abbandonato il suo giornalista: gli resterà accanto, dando dimostrazione di cosa vuol dire difendere veramente, su tutti i campi, la libertà di stampa».
Contattato dalla testata britannica, il Pm ha detto di aver chiesto al suo legale di rispondere.
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