La Corte costituzionale si occuperà ancora una volta di Marco Cappato, dopo che nei giorni scorsi la Consulta si è riunita in udienza pubblica, in attesa di esprimersi sull’aiuto al suicidio fornito a Massimiliano, 44enne affetto da sclerosi multipla. Il 24 giugno il gip di Milano, Sara Cipolla, ha inviato ai giudici costituzionali gli atti del processo in cui Cappato è indagato per “istigazione o aiuto al suicidio”, ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, e per cui rischia fino a 12 anni di carcere.

Anche qui, come nel caso di Massimiliano, la questione ruota intorno all’interpretazione della formula «trattamento di sostegno vitale», una delle quattro condizioni – insieme all’irreversibilità della patologia, sofferenze intollerabili e la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli – individuate dalla Corte costituzionale nel 2019 affinché il suicidio medicalmente assistito in Italia possa essere lecito in Italia, perché le Camere non hanno ancora legiferato in maniera organica sul tema. 

Il caso

Come avvenuto già in molti altri casi, in due occasioni distinte nel 2022 Cappato aveva accompagnato in due cliniche svizzere Elena Altamira, 69enne malata terminale di cancro, e Romano N., 82 anni, ex giornalista e pubblicitario, malato di Parkinson e per questo costretto all'immobilità. Al suo ritorno in Italia, il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni si era autodenunciato.

La gip ha deciso di portare il caso davanti ai giudici costituzionali, perché ritiene «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’articolo 580 del codice penale – scrive nel suo ricorso in via incidentale alla Consulta – nella parte in cui prevede la punibilità della condotta di chi agevola l’altrui suicidio nella forma di aiuto al suicidio medicalmente assistito di persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita».

La gip ha accolto le tesi dei procuratori, secondo cui differenziare nell’accesso al suicidio assistito fra pazienti che per «rimanere in vita necessitano (anche) di trattamenti di sostegno vitale» e altri «che necessitano solo di trattamenti terapeutici e per i quali i mezzi di sostegno vitale» sono «soltanto prossimi» a causa di «fattori del tutto accidentali», che dipendono dal tipo di patologia, potrebbe violare il principio di uguaglianza dei cittadini ed essere «contrario all’articolo 3 della Costituzione».

Siciliano e Gaglio avevano affermato che l’essere collegati alle macchine rallenterebbe di certo «il processo patologico» e ritarderebbe quindi la morte «senza poterla impedire». Si tratterebbe, però, di tentativi «futili o espressivi di accanimento terapeutico, non dignitosi secondo la percezione del malato, forieri di ulteriori sofferenze per coloro che lo accudiscono».

Il criterio «trattamento di sostegno vitale»

Nel caso che vede indagato Cappato, «sussistono tutti i requisiti previsti dalla Corte costituzionale nella pronuncia del 2019, a esclusione di quello della dipendenza dei pazienti da un trattamento sanitario vitale», scrive la gip Sara Cipolla. Ed è proprio intorno a quest’ultimo criterio che ruoterà la pronuncia dei giudici costituzionali.

Anche perché nelle prossime settimane si esprimeranno su un caso analogo, perché dopo l’udienza pubblica del 19 giugno è attesa una pronuncia sul procedimento in cui sono indagati Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese dell’associazione Luca Coscioni, che hanno aiutato Massimiliano, 44enne malato di sclerosi multipla, ad andare in Svizzera per usufruire del suicidio assistito.

Molto probabilmente la pronuncia dei prossimi giorni della Consulta costituirà la base giuridica per risolvere anche la nuova questione di costituzionalità aperta il 24 giugno dalla gip di Milano. Perché, come nel caso di Massimiliano, anche Elena e Romano mancavano di «trattamenti di sostegno vitale» in senso stretto come, ad esempio, l’essere attaccato a dei macchinari.

La questione riguarda un’interpretazione più ampia rispetto a quelle già individuate dalla stessa Corte.

© Riproduzione riservata