- C’è il testo di una email che spiega bene perché potenti industriali o manager di multinazionali decidono di finanziare una fondazione politica.
- Non ha necessita di interpretazioni particolari la mail scritta da Luca Garavoglia, presidente del gruppo Campari, e inviata ai suoi collaboratori. Si riferisce alle donazioni, in totale 60mila euro, che la sua società ha versato in favore della Fondazione Open vicinissima a Matteo Renzi, secondo i magistrati una vera «articolazione di partito», o meglio della corrente renziana all’interno del Pd.
- Le pressioni della lobby dell’industria agroalimentare tocca vari punti d’interesse. Dalle modifiche agli organigramma dei ministeri a semplici tornaconti personali. Sullo sfondo le cene a Roma, Milano e Firenze con imprenditori e commercialisti.
C’è il testo di una email che spiega bene perché potenti industriali o manager di multinazionali decidono di finanziare una fondazione politica.
In questo caso si tratta della fondazione Open e la email in questione è agli atti del fascicolo della procura di Firenze che ha chiuso l’inchiesta per finanziamento illecito ai partiti su Matteo Renzi e i suoi più fedeli collaboratori, da Luca Lotti a Maria Elena Boschi fino all’avvocato Alberto Bianchi.
«Mi hanno chiamato sia Luigi Scordamaglia (Amministratore di Inalca, gruppo Cremonini, il colosso della carne, ndr) che Guido Roberto Vitale (finanziere di lungo corso e fondatore di Vitale&Co., ndr) per sollecitare un contributo al referendum. La modalità sarebbe una cena a casa di Francesco Micheli con una sottoscrizione di 30mila euro. Ovviamente non lo può fare Campari, dovrebbe essere Alicros. La cifra è alta, soprattutto in considerazione che è molto probabile che perderemo. Io però sarei dell’idea di procedere, perché ci creeremmo un credito importante nei confronti di Matteo Renzi, destinato a rimanere comunque un attore politico di primo piano».
Non necessita di interpretazioni particolari la email scritta da Luca Garavoglia, presidente del gruppo Campari, e inviata ai suoi collaboratori. Si riferisce alle donazioni, in totale 60mila euro, che la sua società ha versato in favore della Fondazione Open vicina a Renzi, secondo i magistrati una vera «articolazione di partito», o meglio della corrente renziana del Pd.
L’organigramma
Alla corte di Renzi ci sono nomi prestigiosi della filiera agroalimentare italiana. Tra cene e incontri che si tenevano a Roma, Firenze e Milano, parte di loro donavano soldi alla fondazione Open.
Il delegato alla gestione di questi rapporti, propedeutici al versamento di contributi economici, era l’avvocato Alberto Bianchi, presidente di Open e ora sotto indagine. Attorno alla galassia politica del senatore e del suo cosiddetto “Giglio magico”, sono significativi i ruoli di Garavoglia e Luigi Scordamaglia, non indagati. Quest’ultimo già all’epoca era amministratore delegato di Inalca: «Al momento adesione di Inalca 30 data 5/9, gruppo la Doria 30 31/8, Ferrarini 30 oggi», scriveva Scordamaglia, oggi al vertice anche di Assocarni. Ma qual era il loro interesse?
«La partecipazione di Garavoglia alla manifestazione Leopolda 6 del 2015 si sarebbe rivelata funzionale, fra l’altro, ad una proposta di modifica riguardante l’organigramma del ministero della Salute e l’organigramma della presidenza del Consiglio dei ministri, in funzione delle esigenze di coordinamento avvertite dal settore agroalimentare», scrivono i pm Luca Turco e Antonino Anastasi.
Stando ai documenti, Garavoglia e Scordamaglia avrebbero deciso, di comune accordo, di lavorare a una serie di modifiche all’organigramma del ministero della Salute e della presidenza del Consiglio prima di discuterne con la corrente renziana. Avrebbero dovuto farlo alla Leopolda, oppure con “LB”, che gli inquirenti identificano in Luca Bader, all’epoca capo della segreteria particolare del ministro agli affari Esteri Paolo Gentiloni.
«Il settore agroalimentare ha necessità di un coordinamento efficace visti l’impatto sociale ed il rilievo economico che ha raggiunto nell’economia italiana, per non parlare della attenzione che riceve sul piano internazionale...», si legge nel “memo” di Garavoglia destinato a Scordamaglia, allora presidente di Federalimentari.
Raggiunto al telefono Luca Bader afferma di non essere assolutamente a conoscenza della questione visto che lavorava alla Farnesina. Da alcuni scambi di messaggi sembra, però, che alla Leopolda gli imprenditori non siano riusciti a parlarne con gli esponenti della corrente renziana: era «una baraonda», impossibile «perorare la causa». Non siamo a conoscenza di ulteriori dettagli, “se” e a “chi” le modifiche siano state formulate, ovvero se l’attività di lobbying abbia prodotto i suoi effetti.
L’esportazione in Cina
La politica degli industriali, emerge dalle carte, è dunque creare crediti con chi governa o chi ricopre ruoli di potere in politica. Ma può accadere anche il contrario. E cioè che siano i “finanziati” a chiedere. Come è accaduto il 9 dicembre del 2019: l’avvocato Bianchi invia un messaggio a Luigi Scordamaglia: «Ciao Luigi! Come va? Ascolta, ho una richiesta dalla Cina di fornitura di 10mila tonnellate al mese di carne bovina italiana. Voi siete attrezzati per soddisfarla? Mi fai sapere? Grazie e a presto, A».
Non si sa se Bianchi abbia contatti con aziende cinesi, ma, come ha scoperto Domani, è noto che qualche mese più tardi, nell’aprile del 2020, il governo italiano, guidato da Giuseppe Conte e con Renzi all’interno della coalizione, ha siglato un protocollo per l’esportazione di carne bovina con la Cina dopo la visita di Xi Jinping.
Quell’evento fu commentato con estrema soddisfazione anche da Scordamaglia, all’epoca vicepresidente di Assocarni. «Si tratta della conclusione di un lavoro avviato da anni che finalmente arriva al traguardo», ha detto. Abbiamo contattato Scordamaglia per capire a che titolo e con quale obiettivo l’avvocato Bianchi gli ha inviato quella richiesta.
«Tale protocollo è stato sempre affrontato e discusso solo attraverso i canali istituzionali tra i due paesi senza alcun ruolo in merito di nessun interlocutore diverso da quelli istituzionali», è la risposta di Assocarni, «negli scorsi anni all’associazione ed alle principali aziende del settore sono regolarmente pervenute da diverse parti richieste di forniture di carne italiane verso la Cina, richieste poi costantemente finite nel nulla vista l’impossibilità di esportare tali carni».
Soldi e Campari
Un altro nome ricorrente nelle carte è quello di Luca Garavoglia. «Ci creeremmo un credito in favore di Matteo Renzi», aveva scritto nella email diretta ai suoi collaboratori per donare soldi alla fondazione Open. Da Alicros da l’ordine di far partire due bonifici da 30mila euro ciascuno alla fondazione di Bianchi (uno in data 1° dicembre 2015 e l’altro nel novembre del 2016). In che modo Garavoglia intendesse riscuotere il “credito”, è sconosciuto. Ma è certo che i suoi legami con la fondazione Open gli hanno procurato importanti contatti.
L’11 gennaio del 2016 Luca Bader invia una mail a Garavoglia e Aldo Davoli, uno dei dirigenti di Campari in cui parlano di una visita di Renzi in Russia a giugno. «C’è la possibilità che Renzi porti una delegazione di imprenditori italiani ai massimi livelli (…) mi chiedevo se era interessato a partecipare, o far partecipare qualcuno, in rappresentanza di Campari», scrive. Le risposte che riceve sono positive. È «una pista da coltivare» dice Garavoglia. Renzi in Russia ci è andato insieme a vari imprenditori tra cui Scordamaglia, all’epoca presidente Federalimentari ma anche ad di Inalca Spa che proprio in Russia possiede investimenti nel settore delle carni bovine e della distribuzione alimentare. Ma Garavoglia rimane in Italia.
«Premesso che non ci vedrei nulla di male, anzi, non ho mai partecipato a una missione al seguito della presidenza del Consiglio in vita mia», dice. Garavoglia è sempre stato vicino agli ambienti del Partito democratico. Nel gennaio del 2013 ha donato 20mila euro alla campagna elettorale per la regione Lombardia di Umberto Ambrosoli. E un anno più tardi ha dato soldi anche l’Associazione Rifare l’Italia collegata all’onorevole Antonio Misiani.
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