Open è stata la cassaforte del potere renziano, sul sito era possibile leggere cifre e nomi dei finanziatori, imprenditori che in alcuni casi hanno avuto incarichi e ruoli pubblici. Questione di opportunità, vicende che lambiscono interessi in conflitto, ma di illecito non c’è nulla.

L’indagine della procura di Firenze sui finanziamenti alla fondazione, ritenuti illegittimi dalla pubblica accusa, è naufragata, si è chiusa, infatti, con il totale proscioglimento degli imputati. L’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha commentato a stretto giro la decisione con parole di fuoco nei confronti dei magistrati inquirenti: «Uno scandalo assoluto per tutti quelli che avevano letto le carte, ho vissuto da appestato, peccato il pm vada in pensione senza pagare», chiedendo le pubbliche scuse.

Il riferimento è al magistrato Luca Turco, tre decenni in magistratura, impegnato anche nelle indagini sugli stragisti degli anni Novanta, che tra pochi giorni andrà in pensione. Proprio lui, insieme al collega Antonino Nastasi, e all’allora procuratore Domenico Creazzo, è stato destinatario anche di una denuncia da parte di Renzi per abuso d’ufficio e violazione della legge 140/2003, attuativa dell’articolo 68 della Costituzione (relativo all’immunità parlamentare), per dei messaggi WhatsApp finiti negli atti dell’indagine. Denuncia poi archiviata, ma altri sono stati i momenti di tensione nel corso dell’indagine che ha approfondito rapporti e finanziatori della fondazione renziana.

A partire dagli interventi della Corte di cassazione che hanno annullato i provvedimenti di sequestro, fino al conflitto di attribuzione sollevato dal Senato per i messaggi dell’ex primo ministro finiti negli atti dell’indagine, intesi come corrispondenza acquisita senza la necessaria autorizzazione della camera d’appartenenza. La Consulta ha poi stabilito l’inutilizzabilità delle chat sequestrate. Tutti gli altri imputati sono stati prosciolti: l’avvocato Alberto Bianchi, presidente fino alla chiusura della fondazione, gli ex ministri Luca Lotti, Maria Elena Boschi e gli imprenditori coinvolti.

La fondazione che organizzava la Leopolda, il pensatoio renziano, raccoglieva contributi da cittadini e imprenditori, proprio su questi finanziamenti si era concentrata l’attenzione della procura. Cosa contestavano i magistrati? In pratica secondo i pubblici ministeri Open agiva come articolazione del Pd, allora guidato da Renzi, e riceveva così erogazioni in modo illegittimo violando la legge. I reati contestati erano finanziamento illecito, nei confronti dell’ex premier, di Boschi e Carrai, traffico di influenze, corruzione, autoriciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, a vario titolo contestati agli altri imputati.

La giudice del tribunale di Firenze, Sara Farini, ha spazzato via ogni ipotesi accusatoria a carico del Giglio Magico chiudendo definitivamente l’inchiesta sulla fondazione Open. Giudiziariamente non resta nulla, entro novanta giorni saranno depositate le motivazioni, ma permangono gli interrogativi e le questioni relative alla gestione della fondazione, ai rapporti con gli imprenditori tra nomine e scelte politiche.

Tra i tanti finanziatori di Open, quasi sette milioni di euro raccolti nei sette anni di vita, c’è stato ad esempio anche Gianfranco Librandi, uno dei più munifici con 800mila euro versati tra il 2017 e il 2018 (negli anni precedenti aveva finanziato anche altri partiti), prima di una candidatura blindata proprio con il Pd renziano e il successivo passaggio a Italia viva.

Non è l’unico caso, altri hanno finanziato la cassaforte renziana e poi sono stati nominati nei consigli di amministrazione delle aziende pubbliche. Questione di opportunità politica, di interessi in conflitto, ma anche di una normativa sulle fondazioni, fiorite dopo la cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti, che appare carente.

Dal punto di vista penale, invece, Renzi può festeggiare, il denunciato processo alla politica non si terrà, la giudice ha definitivamente chiuso l’indagine iniziata ormai cinque anni fa che aveva messo sotto accusa il Giglio Magico. Per Boschi, ex ministra del governo Renzi, è la fine di un incubo, così come per gli altri imputati coinvolti nell’inchiesta.

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