Lorenzo Costa è partito dalla sua azienda agricola chiantigiana, La Scoscesa, per insegnare a trovare e a immagazzinare l’acqua piovana. Alla base del suo metodo ci sono i bacini di infiltrazione e lo studio del paesaggio. Che si conosce solo camminando a lungo
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Tantissima pioggia. Pochissima pioggia. Per usare un gergo tanto caro al giornalese, l'Italia è un paese spaccato in due: precipitazioni abbondanti al nord, siccità allarmante al sud, in particolare in Sicilia. L'Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) parla di un 18 per cento in meno di acqua rispetto alla media dal 1951.
Nel 2022 si è toccato il punto più basso con 67 milioni di metri cubi disponibili, a fronte di una media di 137 milioni di metri cubi all'anno. E se è vero che quest’anno i distretti idrografici del Po, come delle Alpi orientali e dell'Appennino settentrionale sono in uno stato di normalità, parte del Mezzogiorno chiede lo stato di emergenza.
A fare la lista dei “colpevoli” non si finisce più: il cambiamento climatico, le temperature torride, l'uso non responsabile – domestico e industriale – dell'acqua, le condotte colabrodo. Lorenzo Costa, agricoltore a Gaiole in Chianti e progettista sulle risorse dell'acqua piovana, ha in testa una sola parola, progettazione. Nella sua azienda agricola tra i boschi, La Scoscesa, Costa ha iniziato il lavoro di contadino cercando l'acqua, seguendola, scovandola, raccogliendola. Tutto per impedire lo scivolamento veloce e inutile verso il mare. Perché quello che bisogna fare, secondo lui, è cambiare anche il tipo di domande che ci si fa: «Non solo dove trovare l'acqua, ma come».
Lo scivolamento verso il mare
Se l'azienda toscana è stata la palestra del coltivatore per allenare le sue “doti” di ricercatore di acqua piovana, oggi fa consulenza in undici regioni, dal Piemonte alla Sicilia, passando per la Romagna e la Campania.
La richiesta è spesso simile, come contrastare l'irregolarità delle precipitazioni o, al contrario, come combattere la siccità: «Non sono tra l'altro due fenomeni agli antipodi – spiega Costa – perché che sia tanta o poca, il punto è che l'acqua va infiltrata per evitare suoli aridi, evapotraspirazione degli alberi e delle piante da frutto». Il nemico si chiama ruscellamento e lo si combatte costruendo bacini di infiltrazione.
Non opere idrauliche mastodontiche – e costose – ma pozze di raccolta che regolano il deflusso delle acque meteoriche e che Costa scava con la vanga dopo aver fatto, però, molti chilometri: «Il paesaggio va camminato – continua l'agricoltore – prima, durante e dopo la pioggia e anche durante i mesi siccitosi. Bisogna far caso alle zone idratate, a quelle secche, alle piante che crescono – alcune intercettano l'acqua più di altre – bisogna imparare a leggere i propri terreni. Il problema è che spesso chi fa agricoltura vede il suolo solo come un substrato che dà prodotti e non ragiona in termini di profondità».
Progettare pensando all’agroecologia
A Lorenzo hanno dato del rabdomante a lungo, anche per le sembianze un po' ascetiche che ha. Quello che fa, oltre ad “annusare” l'acqua, è convincere, chi si affida a lui, a complicare – nel senso di rendere più vario – il territorio che lavora, arricchendolo di colture, alberi, arbusti, uccelli (e queste cose le fa con l'arboricoltore Stefano Lorenzi e l'esperto di ornitologia Luca Manprin).
Se infatti l'acqua idrata, l'ombra delle fronde abbassa le temperature, mentre le radici diventano ulteriori veicoli di infiltrazione d'acqua. La domanda iniziale però resta, alla luce di quanto sta accadendo in questi mesi: meglio tanta o poca acqua? «Rispondo da progettista – sottolinea Costa – e dico meglio l'acqua gestita, perché il problema non è quanto piove, ma cosa succede all'acqua nel momento in cui arriva sui nostri territori».
Non esistono soluzioni definitive
Una risposta ce l'ha Rita Babini che, insieme al marito, porta avanti l'azienda vitivinicola Ancarani a Faenza. Le alluvioni di maggio 2023 hanno fatto vedere di cosa è capace l'acqua in mancanza di una progettazione. E allora lei e i vignaioli della Fivi – la Federazione italiana vignaioli indipendenti – hanno chiesto aiuto a Lorenzo Costa, la cui consulenza si è trasformata in un workshop di tre giorni (con lui Stefano Lorenzi e l'esperta di suoli Martina Broggio): «Subito dopo le alluvioni abbiamo pensato a qualcosa che potesse servirci non solo nell'immediato, ma anche a scopo preventivo. E così siamo andati ad analizzare le frane “fresche” e gli smottamenti. A distanza di più di un anno ci sono zone collinari, soprattutto dove prevale l'argilla, dove non è possibile ancora accedere, le strade sono sparite. Costa parla di “sistemi umani”, ovvero di soluzioni semplici che può realizzare anche l'agricoltore con la formazione opportuna».
Di semplice c'è anche il concetto che il grosso del lavoro non sta nel raccogliere l'acqua in unico punto e da lì portarla in giro per irrigare, ma nel creare più punti di raccolta grazie a piccoli bacini. Una gestione così concepita, assicura l'esperto, fa calare il rischio di frane e smottamenti. Si potrebbe concludere con un happy end, se non fosse che di soluzioni definitive non ne ha neanche lui: «Non ne ho perché non esistono – conclude l'agricoltore toscano – è nella natura dell'acqua cambiare e io offro gli strumenti per trasformarla in una risorsa. Dati regolari non esistono più, dobbiamo abituarci agli eventi estremi. Nei miei corsi dico sempre che non c'è bisogno di avere un Lorenzo Costa che gira l'Italia, ma di tante persone custodi delle acque su tutta la penisola».
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