- Daniela Casprini è la presidente dell’Associazione vittime della caccia e racconta a Domani che per questa attività di ricerca ha subìto negli anni diverse minacce. Spiega che «nell’ultima stagione venatoria sono state 61 le vittime».
- A una buona parte del mondo politico il mondo della caccia piace: «una forza sociale indispensabile alla campagna, portatrice dei valori espressi dalla ruralità e volano economico» la definiva una nota di Fratelli d’Italia nel 2018.
- Giorgio Beretta, analista dell’Opal, spiega a Domani «il problema della “zona grigia”, che si annida tra possesso legale e illegale di armi».
Tre persone morte e 14 ferite soltanto nelle ultime cinque settimane. È un bollettino quasi da guerra che si aggiorna di anno in anno quello delle persone uccise dalle armi da caccia in Italia. A tenere il conto, già dal 2007, è l’Avc, l’associazione vittime della caccia, che archivia i casi dei morti e delle persone ferite provocate dall’attività venatoria di frodo, dall’abuso di armi ad uso caccia; dunque, si incarica di compilare gli elenchi delle tragedie avvenute e anche di quelle sfiorate.
Daniela Casprini è la presidente di Avc e racconta che per questa attività di ricerca ha subìto negli anni diverse minacce. Poi spiega che «nell’ultima stagione venatoria sono state 61 le vittime, comprese tra quelle in ambito venatorio ed extra/venatorio, cioè, queste ultime uccise fuori dalle battute di caccia, ma comunque da un’arma acquistata per la caccia sportiva e amatoriale». Casprini riferisce che «quasi un migliaio di persone sono state colpite dal fuoco dei cacciatori negli ultimi 12 anni, tra morti e feriti gravi». Anche perché in Italia avere un’arma è estremamente facile, dato che è uno dei paesi europei con la normativa più morbida in materia.
Fratelli di caccia
D’altronde, a una buona parte del mondo politico il mondo della caccia piace. Alla Lega, ad esempio, che ha ricevuto da Confagricoltura (che ha all’interno una branca che si occupa della tutela dei cacciatori) bonifici pari a 25mila euro nel 2018 e più di 30mila euro il 30 maggio del 2019, come risulta da documenti di cui Domani è in possesso.
Anche a Fratelli d’Italia la caccia piace. Il movimento politico guidato da Giorgia Meloni, è stato destinatario anch’esso di un sostegno finanziario da parte di Confagricoltura, in più tranche; la fetta più sostanziosa, pari a 25mila euro, è arrivata nelle casse del partito il 10 maggio del 2019, una settimana prima delle elezioni europee.
In quella competizione elettorale, FdI ha fatto eleggere in Europa un esponente del mondo dell’industria delle armi sportive, legato, dunque, a doppio filo agli interessi venatori. Alla vigilia delle elezioni politiche del marzo 2018, una nota di Fratelli d’Italia definiva la caccia «una forza sociale indispensabile alla campagna, portatrice dei valori espressi dalla ruralità e volano economico creatore di posti di lavoro e di ricchezza per il paese».
La nota era stata pubblicata dopo l’incontro che l’allora coordinatore nazionale del partito, Guido Crosetto, aveva avuto insieme al responsabile organizzazione di Fdi, Francesco Lollobrigida, con i rappresentanti della cabina di regia del mondo venatorio, al fine di «sottoscrivere integralmente il programma delle associazioni pro caccia». Questo si leggeva su una delle riviste specializzate di armi e tiro, con tanto di foto dell’incontro pubblicata in evidenza.
Il partito di Fratelli d’Italia è forse il più importante interlocutore politico di quel mondo. Lo dimostra plasticamente il fatto che i cacciatori del Piemonte avevano trovato nell’allora coordinatore, Crosetto, uno sponsor pubblico importante in parlamento; un riferimento che i cacciatori del Piemonte, però, perdono subito, quando lo stesso parlamentare si dimette nel 2019 «a causa di incompatibilità a rivestire cariche pubbliche», per andare a presiedere l’Aiad, la federazione membro di Confindustria che rappresenta le aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza, tra i cui soci figura anche l’Anpam, l’associazione nazionale produttori armi e munizioni sportive e civili.
Nel 2019 gli elettori del mondo delle armi sportive trovano però sùbito un importante riferimento nel partito guidato da Giorgia Meloni, questa volta durante le elezioni europee. Fra i candidati c’è Pietro Fiocchi, esponente della dinastia che da oltre un secolo e mezzo produce munizioni per fucili, la Fiocchi of America.
Quando Fiocchi annuncia la sua candidatura in una conferenza stampa a Montecitorio alla presenza del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Francesco Lollobrigida, di Carlo Fidanza, del coordinatore nazionale Guido Crosetto e della consigliera regionale lombarda, Barbara Mazzali, dice: «Appartengo a una famiglia di imprenditori che da cinque generazioni produce cartucce e soprattutto da cinque generazioni andiamo tutti a caccia». E poi spiega il motivo della sua scelta: «Il senso della mia candidatura è rilanciare un settore che sta pagando una persecuzione dei paladini del politically correct, i cacciatori sono i primi difensori dell’ambiente».
«Pietro Fiocchi di Fratelli d’Italia, diventa interlocutore di una categoria, quella dei cacciatori, che conta 750mila aderenti in tutta Italia», si leggeva sulla rivista Armi e Tiro in cui erano riportate anche le parole dell’altro candidato al parlamento europeo, Carlo Fidanza: «Non vado a caccia ma la caccia fa parte della nostra cultura e della nostra tradizione. I cacciatori hanno tutti, obbligatoriamente, la fedina penale pulita».
E, sempre per l’eurodeputato Fidanza, ora autosospesosi dal partito in seguito all’inchiesta giornalistica di Fanpage: «Non è tollerabile che estremisti del mondo animalista impediscano il libero esercizio di questa attività o intimidiscano chi ha il solo torto di partecipare a una fiera».
Forse la fiera a cui si riferiva l’europarlamentare di FdI è quella delle armi che si tiene da qualche anno a Vicenza, dove alcuni esponenti della Confavi, la Confederazione delle associazioni venatorie italiane, alla vigilia delle elezioni politiche del 2018, distribuivano alcune borse gialle che avevano all’interno i santini elettorali di Fratelli d’Italia.
In quei giorni faceva capolino alla Hit show di Vicenza, a suon di selfie con armi sportive alla mano, anche il leader della Lega, Matteo Salvini che, l’anno seguente, invece, ritornava acclamato da comandante in capo del Viminale, «promettendo che entro marzo sarà approvata la nuova legge sulla legittima difesa che permetterà agli onesti cittadini di difendersi in casa propria».
Stesso copione andrà in scena l’anno successivo, nel 2020, quando la presenza di Salvini a ribadire che «le armi ad uso sportivo e per le persone perbene non devono far paura», fu stigmatizzata con un duro comunicato dalla Rete italiana per il disarmo e dall’Opal, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa. Definirono la stessa fiera di Vicenza: «un’abile operazione ideologico-culturale per promuovere la diffusione delle armi».
Tornando ai politici di Fratelli d’Italia particolarmente sensibili alla disciplina delle armi sportive e alla lobby dei cacciatori, si tratta di un gruppo di almeno quattro colonnelli del partito, di cui fa parte anche la già citata consigliera regionale lombarda, Barbara Mazzali, che sui social lo scorso 23 settembre si faceva fotografare fucile in spalla.
La notte prima delle elezioni dello scorso 4 ottobre – in cui è stata candidata, non eletta, alle elezioni comunali di Milano –, si era rivolta ai suoi amici su Facebook così: «Sono stati giorni difficili per tutti noi, ma non abbiamo mai smesso di ricordare a quella politica che in tempo di elezioni ci manda la letterina che parte sempre con: “Caro amico cacciatore…” che stavolta non ci stiamo. A quella politica voglio dire che se siamo il “tuo amico cacciatore”… allora comportati con noi da tale».
Prima i cacciatori
Barbara Mazzoli è anche la consigliera regionale lombarda che nelle ultime settimane ha chiesto al presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, la rimozione dei dirigenti della direzione generale agricoltura, che, a suo dire, «hanno dimostrato impreparazione nella gestione tecnico amministrativa del calendario venatorio, provocando la sospensione decisa dal Tar».
Qualche giorno dopo Mazzali e lo stesso eurodeputato, Pietro Fiocchi, hanno animato le proteste in piazza a Milano di 5mila cacciatori contro la sentenza del tribunale amministrativo regionale che ha fermato in Lombardia ogni attività di caccia.
Per Fratelli d’Italia vengono prima i cacciatori, dunque. Verrebbe da dire quelli veneti, soprattutto, dato che, come ha rivelato l’Espresso nel dicembre 2019, l’associazione dei cacciatori veneti ha finanziato (in maniera legale, si intende) il partito di Fdi con 70mila euro. L’associazione, che conta 13mila iscritti, allora era presieduta da Maria Cristina Caretta che in seguito è diventata presidente nazionale di Confavi ed ora è deputata di Fratelli d’Italia.
La stessa Caretta aveva ricevuto nel 2013 dai cacciatori di Thiene, la sua città di nascita, un bonifico da 66mila euro. Ora a guidare i cacciatori veneti, invece, c’è il precedente presidente nazionale della Confavi, Sergio Berlato, più volte europarlamentare di Alleanza Nazionale, e anche lui oggi politico in quota a Fratelli d’Italia.
La zona grigia
In tutti i casi, al di là delle convinzioni e degli interessi di bottega, c’è un buco nella normativa. La legge italiana prevede che attraverso una licenza di uso sportivo, venatorio o anche un semplice nulla osta, sia possibile detenere un vero arsenale di armi. È possibile acquistare con la stessa licenza: fino a tre revolver o pistole semiautomatiche con caricatori a 20 colpi, 12 armi cosiddette «sportive» e un numero illimitato di fucili.
Giorgio Beretta, analista dell’Opal di Brescia, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa, lo denuncia da tempo. E spiega che «c’è il problema della “zona grigia” che si annida tra possesso legale e illegale di armi, facilitata dal fatto che quasi tutti possono ottenere una licenza per armi in Italia».
Infatti, aggiunge Beretta: «A qualsiasi cittadino incensurato, esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicodipendente cronico è generalmente consentito di ottenere una licenza, soltanto dopo aver superato un breve esame di maneggio delle armi». E poi ancora: «Proprio grazie alla facilità con cui si può ottenere una licenza come quella di “tiro sportivo” (tiro al volo) che oggi esistono in Italia più di 400mila tiratori fantasma». Cioè persone che possiedono una o più armi ma non praticano nessuna disciplina sportiva.
Eppure, come ha ribadito in passato l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Pietro Fiocchi: «Si tratta di un settore economico che vale 30mila dipendenti e un fatturato di oltre sette miliardi». Un dato che, però, è smentito da una stessa ricerca dell’Anpam, l’associazione nazionale dei produttori di armi federata a Confindustria, che ha stimato in 11mila gli addetti del settore e in 900 milioni di euro il fatturato complessivo.
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