- I lavoratori, uno anche minorenne, venivano prelevati dalla Romania, portati in Italia dove i caporali organizzavano il loro sfruttamento impegnandoli in aziende vitivinicole in provincia di Gorizia e Udine.
- Dovevano essere poveri, in condizioni di bisogno così da non avere pretese: senza contratto, in campagna sei giorni su sette, senza orario, con paghe basse e, troppe volte, in ritardo.
- Minacciati e controllati continuamente anche nei garage e nelle rimesse, trasformati in dormitori come dimostrano i video che Domani può pubblicare. L’indagine della guardia di Finanza e della procura di Gorizia coinvolge quattro persone.
I lavoratori, uno anche minorenne, venivano prelevati dalla Romania, portati in Italia dove i caporali organizzavano il loro sfruttamento impegnandoli in aziende vitivinicole in provincia di Gorizia e Udine.
Dovevano essere poveri, in condizioni di bisogno così da non avere pretese: senza contratto, in campagna sei giorni su sette, senza orario, con paghe basse e, troppe volte, in ritardo. Minacciati e controllati continuamente anche nei garage e nelle rimesse, trasformati in dormitori come dimostrano i video che Domani può pubblicare.
Venivano monitorati continuamente anche durante le attività di potatura e legatura delle piante.
Non potevano allontanarsi neanche per fare i bisogni perché erano sempre sotto la rigida osservazione dei caporali-aguzzini.
A scoprire la rete dello sfruttamento la guardia di Finanza di Gorizia, agli ordini del colonnello Antonino Magro e del gruppo delle fiamme gialle, guidato da Antonino Ingrasciotta, attraverso una segnalazione. Un cittadino ha telefonato ai militari per denunciare che un suo amico era costretto a lavorare in condizioni di grave sfruttamento e maltrattamento presso un’azienda vitivinicola del goriziano. Non solo.
Non veniva pagato da due mesi e non poteva tornare a casa perché gli avevano sottratto i documenti, per chi si lamentava scattava il rimpatrio in Romania senza preavviso. Così sono partite le indagini e la procura, guidata da Ilaria Iozzi, ha richiesto il fermo di 4 persone per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera, reati aggravati dalle intimidazioni e dalla minore età dei lavoratori. Il giudice ha confermato la custodia cautelare per tre indagati e per un altro ha disposto l’obbligo di dimora.
Sono quattro le persone coinvolte nell’inchiesta, Stefan Caldararu, Emanuel Moise Caldararu, Eugenia Caldararu e Stefan Vutcariov, individuate a seguito della segnalazione e operanti nel settore agricolo attraverso le società Balkan society di Caldararu e Agri Smart Work srl.
I militari hanno scoperto che i lavoratori, circa una trentina, venivano prelevati alle 7 del mattino, portati in diverse aziende dove si occupavano di potare le vigne.
Il dormitorio
Alla fine del turno venivano accompagnati in diversi immobili trasformati in dormitori, di solito foresterie prese in affitto per uso aziendale. Le persone giravano con una bustina contenente i loro averi perché non sapevano dove avrebbero dormito di sera.
Gli indagati si rapportavano con i dipendenti di due note società agricole, agricola Russiz Superiore e società agricola Valpanera di Paolo Baccichetto (estranei all’indagine) e anche con altre, con i quali «organizzavano le giornate di lavoro, stabilivano quanta manodopera impiegare e quali lavori eseguire, garantendo la diretta sorveglianza dei lavoratori e lo svolgimento delle prestazioni anche a fronte di condizioni climatiche avverse», si legge nelle carte dell’inchiesta.
I Caldararu appuntavano sulle carte le ore svolte dai lavoratori e le spese sostenute (cibo, vestiario, sigarette, alcolici) in modo da sottrargli i costi dalla paga finale, ma anche eventuali ore nelle quali i dipendenti erano stati troppo lenti.
Lavoratori sottomessi
I pagamenti avvenivano in contanti o inviando denaro alle famiglie di origine in Romania, spesso lasciando lo schiavo senza soldi per poter affrontare le spese quotidiane, questo serviva a sottomettere totalmente i lavoratori.
L’operazione era perfettamente riuscita, come emerge dalle telefonate, «è stato anche possibile ricavare l’atteggiamento di soggezione con cui alcuni lavoratori si rivolgevano ai Caldararu, usando espressioni di riverenza nei loro confronti».
Se ci sono i caporali, se ci sono gli schiavi ci sono anche i padroni, ma nessuno è indagato tra quelli che beneficiavano dello sfruttamento, emerge chiaramente che gli imprenditori di zona chiamavano gli indagati per avere immediata e disponibile manodopera.
Come in un caso con la richiesta avanzata da un viticoltore di aver subito a sua disposizione un lavoratore per spostare alcune scatole nella propria azienda. Le indagini devono ancora individuare i soggetti con i quali gli indagati erano in rapporti in Romania, dove avveniva il reclutamento del personale, ma anche gli eventuali complici in Italia.
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