Perché il cavo d’acciaio si è spezzato e chi era a conoscenza della decisione di manomettere i freni? Come ha fatto un’impresa in crisi a trasformarsi in una macchina per soldi e chi tra comune e regione è il vero proprietario dell’impianto?
Uno dei principali misteri dell’incidente di Stresa, in cui domenica sono morte 14 persone, sembra essere stato chiarito. I freni che avrebbero potuto evitare la strage erano stati manomessi dagli operatori dell’impianto poiché avevano un problema e se fossero stati tenuti attivi avrebbero costretto una chiusura della funivia. Per questa ragione, tre persone, tra cui il titolare della società che gestisce l’impianto, Luigi Nerini, sono state arrestate. Ma in questa complessa vicenda ci sono altre questioni che restano invece ancora aperte.
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Perché il cavo traente si è spezzato?
Questo è l’elemento più importante tra quelli che ancora mancano per ricostruire la dinamica dell’incidente. Non è infatti ancora chiaro perché intorno alle 12 di domenica scorsa 23 maggio il cavo traente a cui era agganciata la cabina si sia spezzato. Se in quel momento i freni fossero stati in funzione avrebbero bloccato la cabina sul secondo cavo, il portante. Invece, la cabina è scivolata all’indietro su questo secondo cavo, è arrivata a toccare i cento chilometri all’ora e quando ha raggiunto il pilone intermedio della funivia è stata sbalzata via ed è precipitata a terra.
Il cavo traente aveva quasi 25 anni di vita, ma era stato sottoposto lo scorso novembre a un’analisi magnetoscopica che non aveva rivelato problemi o deformità. Tra le spiegazioni citate in questi giorni per spiegare questa rottura c’è la possibilità che per qualche ragione il cavo fosse costruito con materiale scadente oppure che sia stato danneggiato dallo stesso problema che ha spinto i gestori dell’impianto a bloccare i freni. In attesa delle relazioni tecniche, però, questo rimane il principale mistero dell’intera vicenda.
Chi ha condiviso la decisione di bloccare i freni?
Si tratta di una questione centrale per le indagini della magistratura sul disastro. Secondo quanto comunicato dalla procura di Verbania, il caposervizio dell’impianto, arrestato nella notte tra martedì e mercoledì, avrebbe detto che tutti nell’azienda erano a conoscenza della decisione di manomettere i freni, compreso il titolare e amministratore della società, Luigi Nerini. Sempre stando a quanto riportato da magistrati e carabinieri, anche l’imprenditore avrebbe ammesso la sua responsabilità.
Non è chiaro invece se in questa decisione sia stato coinvolto il terzo arrestato, il direttore di esercizio, una figura di controllo e garanzia obbligatoria per legge che viene in genere remunerata come libero professionista e che ha la responsabilità ultima sull’apertura o chiusura dell’impianto. L’avvocato del direttore di esercizio ha smentito categoricamente che il suo cliente possa aver dato il via libera a viaggi con i freni disattivati. Visto che i direttori di esercizio non sono obbligati a presenziare fisicamente ogni giorno nell’impianto, è possibile che i freni siano stati bloccati senza che lui ne fosse a conoscenza.
Come ha fatto l’azienda a tornare in utile?
La storia dell’impianto di Stresa e della famiglia che lo gestisce da circa mezzo secolo è collaterale rispetto al disastro di domenica, ma può essere utile a fornire un quadro complessivo della vicenda.
Come molti altri piccoli impianti di risalita, anche quello di Stresa aveva bisogno di sovvenzioni pubbliche per restare aperto e negli anni, la famiglia Nerini ha ricevuto diversi milioni di euro, in una forma o in un’altra, per eseguire manutenzioni straordinarie oppure per ricostruire l’impianto quando era arrivato alla sua scadenza.
Prima degli ultimi lavori di revamping, come si dice in gergo, avvenuti tra 2015 e 2016, l’impianto era in pessimo stato e la società perdeva ogni anno migliaia di euro. Poi, dopo l’investimento di circa 4 milioni da parte di regione e comune, e i lavoro eseguiti dalla Leitner, ritenuta un’eccellenza nel settore, la funivia di Stresa ha improvvisamente iniziato a guadagnare benissimo.
Nel 2017 e 2018, ad esempio, aveva un utile di circa 200mila euro su un fatturato di due milioni di euro. Nel 2019 arriva a fatturare addirittura 400mila euro, dieci volte tanto rispetto al miglior risultato ottenuto prima del 2014. Sembra per lo meno strano che un’azienda del genere possa avere utili così variabili nel giro di così poco tempo.
Chi è il proprietario dell’impianto?
La società Ferrovie del Mottarone Srl di Luigi Nerini è il gestore dell’impianto, si occupa cioè di farlo funzionare e di incassare i biglietti. A chi appartiene la funivia è invece una questione che non ha ancora una risposta chiara, ma che potrebbe rivelarsi importante quando sarà questione di stabilire tutte le responsabilità e chi dovrà pagare i risarcimenti alle vittime.
Il comune di Stresa sostiene che l’impianto appartiene alla regione Piemonte e la regione dice che invece appartiene al comune. Si tratta di una questione particolarmente aggrovigliate e di non facile soluzione. La regione dice di aver trasferito la proprietà dell’impianto al comune nel 1997 e che l’atto non è ancora stato trascritto nei registri catastali soltanto per una questione di mancanza di documenti che il comune avrebbe dovuto fornire. Il comune sostiene che la mancanza di trascrizione non è una questione meramente formale e che quindi l’impianto appartiene ancora di fatto alla regione.
Questa incertezza si spiega almeno in parte con il fatto che la funivia di Stresa era una fonte di problemi anche prima dell’incidente. L’impianto richiedeva alti costi di manutenzione che la famiglia Nerini non poteva o non voleva sostenere. Per questa ragione è stato spesso chiuso in attesa che qualcuno, tra comune e regione, decidesse di investirci. Allo stesso tempo, la funivia è ritenuta molto importante dagli imprenditori turistici della zona e dalla politica locale e in occasione delle varie chiusure e ristrutturazioni c’è sempre stata una certa pressione affinché la questione venisse risolta. Non stupisce quindi che nessuno fosse particolarmente ansioso di vedersi riconoscere la proprietà della funivia. Una reticenza che, da domenica, è diventata ancora più forte.
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