Continuano le indagini sull’incidente del 23 maggio. Gli inquirenti acquisiscono nuove testimonianze, ma resta il nodo della rottura della fune traente. Sul tema, il caposervizio Tadini – unico ai domiciliari tra gli indagati – chiede l’incidente probatorio. Mentre il figlio di Nerini ha raccontato la sua versione. L’associazione dei consumatori chiede l’avocazione dell’inchiesta, da Verbania al capoluogo piemontese. Lunedì nuovo sopralluogo sul luogo della strage
Continuano le indagini sull’incidente alla funivia di Stresa, che lo scorso 23 maggio ha provocato 14 morti: lunedì 7 giugno è previsto un nuovo sopralluogo della procura di Verbania sulla vetta del Mottarone, in accordo con il perito nominato dalla procuratrice di Verbania Olimpia Bossi, Giorgio Chiandussi. In quell’occasione, si valuterà anche se sarà necessario rimuovere la cabina, rimasta nei boschi dal giorno della tragedia e coperta oggi da un telo.
Nel frattempo, gli inquirenti stanno continuando a interrogare alcuni testimoni, tra i quali anche il figlio del gestore Luigi Nerini, uno dei tre indagati per la strage insieme al caposervizio Gabriele Tadini (unico ai domiciliari) e il direttore d’esercizio Enrico Perocchio. Mentre il Codacons, costituitasi parte civile nel processo, ha chiesto di trasferire le indagini a Torino, dopo i gravi conflitti emersi tra procura di Verbania e la gip Donatella Banci Buonamici che, come noto, non ha avallato il lavoro del pm Bossi, disponendo la scarcerazione degli indagati.
Ancora nessuna spiegazione per la rottura della fune
Le indagini finora hanno permesso di accertare che sono stati due i problemi alla base della tragedia. Il primo riguarda i freni della cabina precipitata, che erano stati disattivati dai cosiddetti “forchettoni”, due staffe di metallo inserite all’occorrenza sul sistema frenante della vettura per tenere aperte le ganasce. Il secondo è stata la rottura della fune traente. Sono queste le concause della strage. Se nel caso dei forchettoni è arrivata la confessione del caposervizio Tadini, che ha ammesso di aver dato in prima persona l’ordine di inserire il forchettone – sebbene, secondo la sua versione, in accordo con Nerini e Perocchio che però negano – non c’è ancora una spiegazione per la rottura della fune traente, che ha poi provocato la caduta nel vuoto della cabina con all’interno 15 persone, di cui una sola sopravvissuta.
La procura aveva scritto, nella richiesta di misure cautelari poi respinta dal gip, che non si poteva sapere se si trattasse di «un evento autonomo ovvero collegato ai segnalati malfunzionamenti del sistema frenante, ripetutamente verificatesi nel periodo antecedente». Tadini, però, ha sempre considerato l’ipotesi impossibile: «Mai e poi mai avrei pensato che la fune traente avrebbe potuto spezzarsi», aveva dichiarato il caposervizio già durante il primo interrogatorio. Ipotesi ribadita anche dal suo legale, Marcello Perillo.
Le nuove testimonianze
A sapere dell’uso dei forchettoni però erano in tanti: quel «tutti sapevano» pronunciato da Tadini si riferisce soprattutto agli altri due indagati. Ma ci sono anche diversi dipendenti, alcuni dei quali sentiti due volte in procura, che avrebbero ricevuto l’ordine di lasciare i ceppi inseriti e che dunque sapevano della loro esistenza. La procura però sta sentendo anche diverse altre persone che, per un motivo o per un altro, si trovavano sul posto dell’incidente quel giorno.
«Mi sento miracolata» perché «se non mi fossi spostata, probabilmente la cabina mi avrebbe colpita». A dirlo ai carabinieri di Stresa è stata un'escursionista che si trovava in vetta al Mottarone il 23 maggio. «Ho sentito un fruscio», ha spiegato la donna, poi «una specie di rumore metallico secco». Infine ha raccontato di aver visto anche che «la cabina stava dondolando», come se «si fosse appoggiata al terreno». «Ho sentito un rumore molto forte e strano», ha raccontato invece un altro escursionista, che ha parlato anche di una «frustata» durata cinque secondi. «Sono riuscito a vedere che un cavo d'acciaio si era staccato, perché stava cadendo a terra», ha raccontato l'uomo.
Il racconto del figlio di Nerini
C'è anche il figlio di Luigi Nerini, contrattualizzato da Ferrovie del Mottarone come apprendista, tra le persone sentite dai carabinieri. «Ero a riposo settimanale», ha raccontato, «ho ricevuto sul cellulare una chiamata da mio padre Luigi verso le 12-12.30». Il ventenne ha raccontato di non essersi avvicinato troppo «come suggeritomi».
Nell’interrogatorio dello scorso 25 maggio, però, il ragazzo aveva detto di non sapere indicare «a cosa serve» quello che «è chiamato comunemente ceppo o forchettone». «Mi è stato spiegato dal caposervizio Gabriele Tadini che avrei dovuto metterlo», aveva detto il giovane, che aveva anche ammesso di averlo montato «in un paio di occasioni su disposizione di Tadini», ma sempre «a impianto fermo e cabine vuote».
Tadini chiede l’incidente probatorio
Il legale di Gabriele Tadini, Marcello Perillo, ha chiesto l'incidente probatorio per trovare indizi per scagionare il suo assistito, attualmente ai domiciliari. La prova da assumere, secondo l'avvocato, è la perizia sulla fune. Nella richiesta il legale ha sottolineato che sono passati undici giorni dalla tragedia e diverse persone, dalle forze dell'ordine ai soccorritori, hanno avuto accesso all'area dell'incidente.
Il Codacons chiede l’avocazione delle indagini
Il Codacons ha intanto depositato al Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Torino l’istanza di avocazione relativa alle indagini sulla tragedia della funivia di Stresa. L’associazione, che si è costituita parte offesa nell’inchiesta, ha chiesto di trasferire le indagini a Torino: «Si richiede l’intervento del Procuratore generale per dirimere l’impasse in cui sembrerebbero essere incorsi da una parte i pm della procura di Verbania e dall’altro il gip del Tribunale di Verbania. Il gravissimo incidente rileva un importante allarme sociale e nazionale che ripropone il serio rischio per la sicurezza e l’incolumità della collettività. Dubbi, perplessità ed interrogativi, dunque, inevitabilmente si pongono in merito al contrapposto e contraddittorio quadro rappresentato dapprima dai pm e successivamente dal gip», si legge nella richiesta.
«Alla luce di quanto rappresentato, in considerazione del ruolo della magistratura elemento essenziale di garanzia di democrazia e giustizia e al fine di assicurare una assoluta certezza dello strumento giudiziario in una vicenda di rilevanza sociale e nazionale, e per vedere garantita alla collettività la giusta applicazione della pena in tragedie come quella rappresentata in cui si ripropone il serio rischio per la sicurezza e l’incolumità dei cittadini, si chiede a norma dell’art. 413, comma 1, c.p.p., che la signoria vostra emetta decreto di avocazione delle indagini preliminari relative al procedimento indicato», conclude il Codacons.
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