Il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, in un interrogatorio del 15 dicembre 1993, confermò la matrice mafiosa dell’omicidio di Mario Francese e il sicuro coinvolgimento della "Commissione" di "Cosa Nostra": «Lo definivamo “cornuto”, oltrepassò ogni limite quando osò attaccare pubblicamente padre Agostino Coppola per il suo coinvolgimento nel sequestro di Montelera»
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La matrice mafiosa dell’omicidio di Mario Francese, ed il sicuro coinvolgimento della "Commissione" di "Cosa Nostra" nella deliberazione criminosa, sono stati affermati dal collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, il quale, nell’interrogatorio del 15 dicembre 1993, ha dichiarato quanto segue:
Come ho già riferito in precedenti interrogatori, secondo una regola fondamentale di Cosa Nostra tutti gli omicidi che per l'importanza delle vittime possono avere conseguenze negative per l'intera organizzazione in ragione delle prevedibili reazioni delle Forze dell'ordine devono essere decisi dalla Commissione, e perciò anche gli omicidi di giornalisti.
Con specifico riferimento all'omicidio del giornalista FRANCESE Mario, avvenuto in Palermo nel mese di gennaio 1979, posso dire che a quell'epoca mi trovavo ristretto presso il carcere dell'Ucciardone Sez. IV (infermeria), ove erano ristretti tutti gli altri uomini d’onore. Ricordo bene che già da molto tempo prima, e cioè da almeno due anni, tutti noi uomini d’onore commentavamo sfavorevolmente l'attività professionale svolta secondo noi con troppo zelo dal predetto giornalista, cronista del quotidiano "Giornale di Sicilia". Ricordo in particolare che il FRANCESE non perdeva occasione per attaccare in qualunque modo la mafia ed i soggetti ad essa appartenenti. Se non erro si interessò molto delle vicende relative ai lavori di appalto e di subappalto realizzati nella Valle del Belice per la costruzione della diga Garcia ed a tal proposito pubblicò spesso articoli riguardanti anche numerosi omicidi che erano avvenuti in quel periodo nella zona del Trapanese e del Palermitano interessata proprio da tali lavori. Più volte ho commentato tali omicidi con AGRIGENTO Giuseppe, uomo d’onore della famiglia di San Cipirrello che è stato ristretto con me sia pure per breve periodo. L'AGRIGENTO c'era stato raccomandato da RIINA Salvatore perché venisse destinato all'infermeria.
Nei commenti che facevamo frequentemente il FRANCESE veniva definito "un cornuto", ed uso proprio tale espressione perché a mio modo di vedere rende meglio il reale pensiero di chi tali parole pronunziava. In altri termini, è certo che il giornalista FRANCESE Mario non era per nulla benvoluto nell'ambiente mafioso e ricordo anzi che sembrò addirittura oltrepassare ogni limite consentito quando osò attaccare pubblicamente padre Agostino COPPOLA per il suo coinvolgimento nel sequestro di Montelera. Padre COPPOLA era notoriamente molto vicino ai corleonesi e a RIINA Salvatore in particolare, che chiamava addirittura fratello. Io stesso ho più volte visto Padre Agostino COPPOLA scrivere dei messaggi da far pervenire a RIINA Salvatore, nei quali lo stesso si rivolgeva a RIINA chiamandolo "caro fratello". Diversamente si comportava con tutti gli altri,che chiamava semplicemente con il nome di battesimo. Ricordo tale particolare perché quasi sempre inviavo i miei saluti al RIINA scrivendo in calce alla stessa lettera scritta da Padre COPPOLA.
Quando si è avuta notizia in carcere dell'omicidio del FRANCESE quindi nessuno di noi si meravigliò, apparendo cosa assolutamente pacifica che detto omicidio fosse stato voluto e deciso dalla Commissione.
Ricordo anzi che ci fu qualche commento, sia pure generico, e che qualcuno pronunziò le parole "Così gli altri imparano".
Già al tempo dell'omicidio del giornalista FRANCESE Mario la composizione della Commissione era tale per cui RIINA Salvatore ed i corleonesi avevano il maggior peso in termini di decisioni.
Ed invero mentre sino al 1978, quando cioè BADALAMENTI Gaetano non era stato ancora estromesso da Cosa Nostra, i corleonesi non avevano la maggioranza in seno a detto organismo di vertice, subito dopo, tenuto conto e di tale estromissione e del fatto che quasi contestualmente venne costituito il mandamento di Resuttana, il cui capo era MADONIA Francesco, RIINA Salvatore iniziò ad avere il sopravvento in Commissione.
MADONIA Francesco era infatti notoriamente uomo di fede corleonese ed il suo mandamento era stato creato a discapito di quello di RICCOBONO Rosario. Non a caso, del resto, proprio in quel periodo si sono registrati numerosi delitti cosiddetti eccellenti, peraltro avvenuti tutti nel territorio del MADONIA. Ricordo le uccisioni del giudice TERRANOVA Cesare, del giornalista FRANCESE Mario, di REINA Michele e di GIULIANO Boris. In epoca precedente invece l'unico omicidio di una certa importanza che è avvenuto è stato quello del Colonnello dei CC RUSSO Giuseppe, e non essendo ancora prevalsa in Commissione la nuova strategia introdotta essenzialmente dai corleonesi, l'omicidio stesso dovette essere commesso in territorio di Corleone, e non, ad esempio, a Palermo, ove pure sarebbe stato possibile proprio perché il Col. RUSSO viveva in questa città. Ricordo infatti che per quell'omicidio, secondo quanto ho sentito dire, non c'era stato il consenso di tutti i componenti della Commissione.
Ho ricordato prima che l'omicidio del giornalista FRANCESE Mario è avvenuto nel territorio del mandamento di Resuttana, e cioè in viale Campania. Ciò mi induce a dire che certamente l'omicidio stesso è stato commesso da MADONIA Francesco o da altro componente della sua famiglia. Quasi certamente a detto omicidio ha partecipato anche GAMBINO Giacomo Giuseppe, che tutti noi uomini d’onore sapevamo essere d'accordo con quella parte di Cosa Nostra che voleva cambiare volto all'organizzazione facendo ricorso ad una vera e propria strategia sanguinaria comprendente anche l'uccisione di uomini politici, di componenti delle forze dell'ordine e di altri personaggi delle istituzioni che con il loro lavoro cercavano di ostacolarne il nuovo corso.
Ho detto prima che FRANCESE Mario aveva pubblicato numerosi articoli riguardanti la realizzazione della diga Garcia. Al riguardo voglio precisare che ai relativi lavori di subappalto erano fortemente interessati tutti gli uomini d’onore, e soprattutto quelli operanti nella zona. Ricordo che io stesso venni invitato a quel tempo da altro uomo d’onore che era con me ristretto all'Ucciardone, tale LAMBERTI Salvatore, ad acquistare una pala meccanica che mi avrebbe consentito di realizzare facili e lauti guadagni, mettendola a disposizione per i lavori che si realizzavano nella Valle del Belice.
Ricordo anche che nel periodo in cui ero ristretto all'Ucciardone insieme a Padre COPPOLA venne tratta in arresto una persona di una certa età di cui non ricordo ovviamente il nome e che ci venne personalmente raccomandata da RIINA Salvatore. Il messaggio che abbiamo ricevuto era stato quello di fare in modo da farlo trasferire all'infermeria e di metterci a sua disposizione, soprattutto al fine di controllarlo per assicurarci che reggesse bene lo stato di detenzione. Ci fu detto infatti che tale soggetto, che probabilmente era un pubblico amministratore, si era interessato, non so a quale titolo ed in che misura, di alcuni appalti riguardanti la diga Garcia, ed il RIINA Salvatore era preoccupato che potesse riferire qualcosa. Ovvio quindi che proprio il RIINA era fortemente interessato a quei lavori per la realizzazione della diga Garcia sui quali aveva ampiamente scritto il giornalista FRANCESE Mario. Se non ricordo male quella persona anziana, che appariva distinta, lavorava presso il Consorzio di bonifica del Belice.
Null'altro posso riferire oggi in merito all'omicidio del giornalista FRANCESE Mario, anche se non escludo che sforzando un po' i miei ricordi possano venirmi in mente fatti e circostanze di rilievo […].
La “cantata” del pentito
Dall’esame delle predette deposizioni del Mutolo emerge una serie di circostanze di fondamentale importanza ai fini della ricostruzione dei fatti per cui è processo. In particolare, le dichiarazioni del collaborante evidenziano che:
- secondo una regola fondamentale (ed in quel periodo sicuramente operante) di "Cosa Nostra", gli omicidi di magistrati, uomini politici, soggetti appartenenti alle forze dell’ordine, avvocati e giornalisti – potendo provocare conseguenze negative per l’organizzazione, tenuto conto della rilevanza delle vittime e delle prevedibili reazioni dello Stato – dovevano essere deliberati dalla "Commissione";
- le sole eccezioni a questa regola furono rappresentate dagli omicidi del colonnello Giuseppe Russo e del Procuratore della Repubblica di Palermo Gaetano Costa, maturati in contesti assolutamente peculiari;
- già al momento dell’omicidio di Mario Francese, Salvatore Riina aveva preso il sopravvento all’interno della "Commissione", in virtù della estromissione (decretata nel 1978) di Gaetano Badalamenti dall’organizzazione mafiosa, e della quasi contestuale costituzione del "mandamento" di Resuttana, a capo del quale vi era Francesco Madonia, notoriamente legato ai “corleonesi”; non a caso, proprio in quel periodo si verificarono numerosi omicidi “eccellenti” (segnatamente, quelli di Cesare Terranova, di Michele Reina e di Boris Giuliano), tutti commessi nel territorio del predetto "mandamento";
- all’epoca dell’omicidio di Mario Francese, facevano parte della "Commissione" Francesco Madonia (capo del "mandamento" di Resuttana), Rosario Riccobono (capo del "mandamento" di Partanna Mondello), Giuseppe Calò (capo del "mandamento" di Porta Nuova), Bernardo Brusca (per il "mandamento" di San Giuseppe Jato), Antonino Geraci (capo del "mandamento" di Partinico), Salvatore Riina (capo del "mandamento" di Corleone, il cui sostituto era Bernardo Provenzano), Michele Greco (capo del "mandamento" di Ciaculli), Stefano Bontate (capo del "mandamento" di Santa Maria di Gesù); a questi soggetti il Mutolo nell’interrogatorio del 3 settembre 1992 ha aggiunto Giuseppe Bono, Salvatore Inzerillo, Salvatore Scaglione, Calogero Pizzuto; nell’interrogatorio del 22 aprile 2000 il Mutolo ha menzionato anche il Motisi (capo del "mandamento" di Pagliarelli), non indicato in data 3 settembre 1992;
- per gli esponenti mafiosi detenuti presso l’istituto penitenziario dell’Ucciardone, era assolutamente pacifico che l’omicidio di Mario Francese (considerato da taluno anche come un monito rivolto agli altri giornalisti) fosse stato voluto e deciso dalla "Commissione";
- già da almeno due anni prima dell’omicidio, tutti gli "uomini d'onore" effettuavano commenti fortemente negativi (talvolta, con l’uso di espressioni che riflettevano una violenta avversione) sull’attività professionale svolta da Mario Francese, da essi considerata come un costante attacco a "Cosa Nostra" ed ai suoi componenti;
- Mario Francese, tra l’altro, aveva pubblicato frequentemente articoli sulle vicende relative ai lavori di appalto e di subappalto realizzati nella Valle del Belice per la costruzione della Diga Garcia, ed a numerosi omicidi realizzati nella zona interessata dai lavori;
- tutti i lavori di subappalto relativi alla diga Garcia erano stati affidati a mafiosi, secondo quanto il collaborante apprese da Salvatore Lamberti, esponente della "famiglia" di Borgetto, il quale gli propose di prendere parte a questa lucrosa attività impiegando una pala meccanica;
- ai lavori relativi alla costruzione della diga erano fortemente interessati anche Bernardo Provenzano e Salvatore Riina;
- Salvatore Riina si era persino preoccupato di “raccomandare”, perché fosse trasferito in infermeria e venisse trattato con riguardo, un pubblico amministratore piuttosto anziano, in servizio presso il Consorzio di Bonifica del Belice, il quale si era interessato di alcuni appalti riguardanti la suddetta diga ed era stato tratto in arresto; l’intento del Riina era quello di assicurarsi che il medesimo individuo sopportasse bene lo stato di detenzione e non collaborasse con l’autorità giudiziaria;
- la suddetta raccomandazione era stata impartita da Salvatore Riina mediante un messaggio inviato a padre Agostino Coppola, avvalendosi delle agevoli possibilità di comunicazione tra i detenuti e l’esterno, in quel periodo riscontrabili nell’istituto penitenziario dell’Ucciardone;
- ai mafiosi, era sembrato che Mario Francese oltrepassasse ogni limite consentito quando aveva attaccato pubblicamente padre Agostino Coppola (legato da rapporti fraterni con Salvatore Riina) per il suo coinvolgimento nel sequestro di Rossi di Montelera;
- dopo l’omicidio di Mario Francese, che possedeva e manifestava una profondissima conoscenza del fenomeno mafioso, gli "uomini d'onore" detenuti esternarono la loro contentezza;
- il luogo dove fu ucciso Mario Francese ricadeva nel territorio del "mandamento" di Resuttana;
- ciascun “capo-mandamento” doveva avere preventivamente conoscenza degli omicidi che sarebbero stati commessi all’interno del proprio territorio.[…].
Le “conferme” alle intuizioni di Francese
Si è già avuto modo di osservare come Mario Francese avesse scritto, dal 1974 in poi, numerosi articoli giornalistici su don Agostino Coppola, mettendone in luce gli stretti rapporti con Salvatore Riina, l’inserimento nell’ “anonima sequestri” capeggiata da Luciano Liggio, il coinvolgimento nel sequestro di Luigi Rossi di Montelera. L’avversione manifestata da don Coppola nei confronti di Mario Francese è stata ricordata dal suo collega Franco Nicastro nelle dichiarazioni rese in data 10 aprile 1998, precedentemente riportate.
Nel capitolo IV, è stata pure presa in esame l’approfondita serie di articoli che Mario Francese, sin dal 1977, iniziò a scrivere sui molteplici interessi mafiosi connessi alla costruzione della diga Garcia, esplicitandone le connessioni con numerosi episodi di omicidio verificatisi nella zona e con l’assassinio del colonnello Russo, ed illustrando le singolari operazioni immobiliari realizzate dalla società Zoosicula RI.SA., che veniva ricondotta a Salvatore Riina. Tra le iniziative giudiziarie su cui Mario Francese si soffermò nel descrivere le indagini espletate in relazione all’uccisione dell’ufficiale dei Carabinieri, vi era l’emissione di un mandato di cattura, per il reato di favoreggiamento, a carico di Biagio Lamberti (autotrasportatore di Borgetto), e l’invio di una comunicazione giudiziaria, per il reato di associazione a delinquere, nei confronti del padre del medesimo soggetto, Salvatore Lamberti, indicato come individuo “implicato, insieme a don Agostino Coppola, nel tentato omicidio dell’allevatore Francesco Randazzo” e detenuto, per tale motivo, presso l’istituto penitenziario dell’Ucciardone.
Lo spessore mafioso dei Lamberti era stato posto in evidenza nel rapporto giudiziario riguardante il duplice omicidio del colonnello Russo e dell’insegnante Filippo Costa, redatto il 25 ottobre 1977 dal Comandante del Nucleo Investigativo del Gruppo di Palermo dei Carabinieri, Magg. Antonio Subranni; in tale atto Salvatore Lamberti era stato definito come “pregiudicato mafioso, già latitante”, si era illustrata la “personalità mafiosa” di Biagio Lamberti, e si erano descritte le singolari modalità del suo ingresso nei lavori affidatigli dalla società Lodigiani presso la diga Garcia, precisando altresì che Biagio Lamberti svolgeva tale attività con l’impiego di diversi mezzi meccanici, tra cui una pala meccanica, e riceveva dalla società Lodigiani il doppio del compenso normale.
Nel medesimo rapporto si era compiuta una ricostruzione delle vicende relative alla costruzione della diga Garcia che risulta perfettamente coerente con le indicazioni fornite dal Mutolo, oltre che con il quadro tracciato da Mario Francese nelle sue inchieste giornalistiche.
Il rapporto giudiziario, in particolare, aveva esplicitato quanto segue: «la costruzione della diga suscitava ovviamente una disordinata corsa per accaparrarsi le forniture dei materiali occorrenti, per offrire il noleggio dei mezzi meccanici per i movimenti di terra e per aggiudicarsi i sub-appalti delle opere minori, provocando una incrinatura nei rapporti e negli equilibri dei gruppi mafiosi delle zone interessate. Ben presto, però, anche la mafia del “corleonese”, non insensibile certo rispetto ai cospicui interessi emergenti emergenti, allungava le sue rapaci ed avide mani sulla “valle del Belice”, e, stabilendo e rafforzando i suoi legami con la mafia di Roccamena e del trapanese, e ricorrendo al delitto, instaurava un nuovo stabile equilibrio, assicurandosi il monopolio delle forniture e dei sub-appalti. Così, facendo leva sul prestigio mafioso dei vari Riina, Provenzano, Bagarella e sulla forza che gli deriva dall’allargamento dei suoi quadri, questo gruppo mafioso è riuscito ad imporre elementi di sua fiducia, attraverso i quali si è garantito il totale controllo delle forniture e dei sub-appalti relativi alla costruzione della diga Garcia, che nella zona rappresenta al momento il più immediato settore di sfruttamento. In questa lotta per il predominio sugli interessi suscitati dalla costruenda diga, vanno interpretati il triplice tentato omicidio di Napoli Rosario, Napoli Fedele e Montalbano Vincenzo (19.7.1977) e l’omicidio di Artale Giuseppe (30.7.1977)». Nell’ambito di questa ricostruzione delle vicende connesse alla costruzione della diga Garcia, si era sottolineato: “in tale contesto va collocata anche l’uccisione del ten. Col. Russo Giuseppe” (pagg. 36-37 del rapporto), formulando le seguenti osservazioni:
- l’ufficiale annoverava tra i suoi amici più intimi l’imprenditore Rosario Cascio, cui l’ing. Ero Bolzoni (dirigente della società Lodigiani, con funzioni di direttore tecnico dei lavori della diga) aveva assicurato l’assegnazione della fornitura dei materiali inerti per la realizzazione dell’intera opera;
- nei mesi di giugno e luglio 1976 si erano però verificati alcuni attentati dinamitardi contro la società Lodigiani, «compiuti dalla mafia del “corleonese” per assicurarsi il totale controllo di ogni settore produttivo legato alla diga Garcia e, tra l’altro, per indurre i titolari della Lodigiani a sostituire Cascio Rosario con il geometra Modesto Giuseppe, uomo di paglia della mafia “corleonese”, nella fornitura esclusiva di inerti; operazione questa da realizzare – per come poi è stata realizzata – mediante la preventiva sostituzione degli ingg. Bolzoni e Gazzola, che avevano assunto l’impegno con Cascio, con altri due tecnici, che erano invece esenti da impegni con chicchessia e che quindi, al momento dell’inizio dei lavori per la costruzione della diga, avrebbero potuto conferire la fornitura a Modesto Giuseppe»;
- con questa azione la mafia si riprometteva, tra l’altro, di assoggettare definitivamente ai propri voleri la volontà della società Lodigiani;
- Rosario Cascio, dopo essere stato estromesso dalla fornitura degli inerti (affidata, invece, alla società IN.CO., di pertinenza del Modesto), si era rivolto al colonnello Russo, il quale aveva rivolto la sua attenzione contro la mafia del “corleonese” e si era adoperato per raccogliere gli elementi necessari per imbastire una denuncia penale, al fine di “colpire con successo la mafia ormai dominante di Leggio – Riina e Coppola” smascherandone l’ingerenza nella valle del Belice;
- il Modesto, presidente del consiglio di amministrazione della società IN.CO., era «“l’uomo di fiducia” del gruppo di mafia facente capo a Riina Salvatore, Provenzano Bernardo e Bagarella Leoluca», e quindi “lo strumento ed il rappresentante di interessi mafiosi”;
- i dirigenti della Lodigiani avevano cooperato ad un preciso piano criminoso del più pericoloso gruppo mafioso, capeggiato da Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella, e composto da varie cosche, i cui elementi maggiormente rappresentativi erano Gioacchino Cascio (qualificato come “noto capo-mafia di Roccamena e da vari anni residente a Monreale”), Bartolomeo Cascio (indicato come “l’elemento di maggior spicco della cosca di Roccamena, dopo suo zio Cascio Gioacchino”), Giuseppe Giambalvo, Vincenzo Giambalvo, Leonardo Diesi, Salvatore Lamberti, Biagio Lamberti, Giovanni Armato;
- il piano criminoso in questione era diretto ad eliminare ogni possibile concorrenza alla società IN.CO. di Giuseppe Modesto ed alla ditta Lamberti.[…].
Un collaboratore credibile
Appaiono pienamente credibili le indicazioni del Mutolo in ordine al contenuto ed al tempo delle conversazioni intercorse tra lui ed altri "uomini d'onore" in ordine all’attività giornalistica di Mario Francese, al monopolio mafioso sui lavori di subappalto riguardanti la diga, ed alla possibilità di conseguire rilevanti guadagni mettendo a disposizione di Salvatore Lamberti una pala meccanica per gli stessi lavori. Un univoco riscontro a tali dichiarazioni è, infatti, offerto dalla codetenzione del Mutolo insieme a numerosi esponenti mafiosi (tra i quali Tommaso Buscetta e Salvatore Lamberti) presso l’infermeria della Casa Circondariale dell’Ucciardone in un periodo in cui:
- Mario Francese aveva già pubblicato sul "Giornale di Sicilia" diversi articoli riguardanti gli interessi mafiosi relativi alla costruzione della diga Garcia, i connessi omicidi verificatisi nella zona circostante, il convolgimento di don Agostino Coppola nel sequestro di Luigi Rossi di Montelera;
- si era già in presenza di un totale controllo esercitato dal gruppo mafioso capeggiato da Salvatore Riina sulle forniture e sui sub-appalti relativi alla costruzione della diga;
- la società Lodigiani aveva affidato proprio al figlio di Salvatore Lamberti, a condizioni eccezionalmente favorevoli, alcuni lavori che costui svolgeva con l’impiego di diversi mezzi meccanici, tra i quali una pala meccanica.
La sentenza in questione è quella della Corte di Assise di Palermo, presidente Leonardo Guarnotta, contro Salvatore Riina +9.
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