I dati della Fondazione Gimbe mostrano un quadro preoccupante. Sui vaccini sono state «irrealistiche» le «stime di approvvigionamento del piano vaccinale originale». I contagi sono in aumento per via delle varianti e «spie rosse» si accendono in varie regioni d’Italia. Serve «un cambio di passo»
A quasi due mesi dal “Vaccine day” del 27 dicembre 2020, la fondazione Gimbe traccia un primo bilancio della campagna di immunizzazione di massa contro il Covid-19. Al 24 febbraio hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose oltre 1,34 milioni di persone, circa il 2 per cento della popolazione italiana. Il monitoraggio della fondazione è in continuo ribasso rispetto ai dati originari. Negli ultimi due mesi, infatti, le aziende farmaceutiche produttrici del vaccino hanno quasi dimezzato le dosi previste per il primo trimestre del 2021 che da 28,3 sono arrivate a 15,7 milioni.
«Una riduzione di tale entità – commenta il presidente del Gimbe, Nino Cartabellotta – se da un lato è imputabile ai ritardi di produzione e consegna da parte delle aziende, dall’altro risente di irrealistiche stime di approvvigionamento del Piano vaccinale originale». Inoltre, per rispettare le scadenze, nelle prossime cinque settimane dovranno essere consegnate in media 2,3 milioni di dosi ogni sette giorni.
La fondazione lancia l’allarme anche sulle difficoltà interne e organizzative nella somministrazione del siero. «Non a caso – sottolinea la dott.ssa Renata Gili, Responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione Gimbe – è stato somministrato solo il 14 per cento delle dosi di AstraZeneca, destinate a persone fuori da ospedali e Rsa come insegnanti e forze dell’ordine di età inferiore ai 65 anni». In tal senso ci sono enormi differenze tra le varie regioni con Toscana (64 per cento), Valle d’Aosta (41,2 per cento), provincia autonoma di Bolzano (37,6 per cento) e Lazio (25 per cento) che hanno somministrato almeno un quarto delle dosi consegnate da AstraZeneca, mentre cinque Regioni non hanno nemmeno iniziato e due hanno somministrato meno dell’1 per cento delle dosi consegnate. Questi rallentamenti hanno fatto perdere numerose posizioni all’Italia nella classifica europea dei paesi con il maggior numero di dosi inoculate alla sua popolazione.
«Se l’obiettivo della prima fase della campagna vaccinale – spiega il presidente Cartabellotta – era proteggere, oltre al personale sanitario e socio-sanitario, le persone più fragili (ospiti Rsa e over 80), aver somministrato oltre 655mila dosi (17,7 per cento) al personale non sanitario stride con l’esigua copertura degli over 80: su oltre 4,4 milioni solo 380mila (8,6 per cento) hanno ricevuto la prima dose di vaccino e circa 127mila (2,9 per cento) hanno completato il ciclo vaccinale. Un’inversione di priorità, non prevista dal piano vaccinale, che sta ritardando la protezione della categoria che ha pagato il tributo più alto in termini di vite umane».
Il cambio di passo
La fondazione chiede anche «un netto cambio di passo» al governo Draghi per incrementare gli accordi di produzione già siglati ed eventualmente produrre il vaccino di paesi terzi all’interno del nostro territorio, come potrebbe essere il caso del vaccino russo Sputnik V, ipotesi di cui si sta parlando negli ultimi giorni. In secondo luogo, dal Gimbe chiedono alle regioni di applicare tutte le misure di confinamento previste per «arginare gli effetti della terza ondata».
Nuovi casi e le «spie rosse» nelle regioni
Sembrerebbe che la terza ondata è appena iniziata o rischia di iniziare. Infatti, i contagi da Covid-19 in Italia sono aumentati del 10 per cento nell’ultima settimana a fronte di un numero stabile di decessi, identificando 41 province a rischio. In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, il monitoraggio della Fondazione Gimbe registra le seguenti variazioni: decessi 2.177 (+0,4 per cento); terapia intensiva +72 (+3,5 per cento); ricoverati con sintomi -168 (-0,9 per cento); isolamento domiciliare -5.642 (-1,5 per cento); nuovi casi 92.571 (+9,8 per cento); casi attualmente positivi -5.738 (-1,5 per cento).
L’incremento dei contagi è un «segno della rapida diffusione di varianti più contagiose» che sono in aumento in quasi tutte le regioni registrando «numerose spie rosse». La diffusione della variante B117, quella inglese, preoccupa gli esperti e richiede un monitoraggio specifico per individuare eventuali comuni a rischio e istituire nuove zone rosse. «Questi dati – commenta Renata Gili – confermano che, per evitare lockdown più estesi, bisogna introdurre tempestivamente restrizioni rigorose nelle aree dove si verificano impennate repentine. Temporeggiare in attesa dei risultati del sequenziamento o di un consistente incremento dei nuovi casi è molto rischioso perché la situazione rischia di sfuggire di mano».
Bologna
La provincia di Bologna è una delle città che rappresentano il caso emblematico della nuova crescita dei contagi. Secondo i dati del Gimbe, infatti, tra il 17 e il 23 febbraio in nel bolognese (compresa Imola) i nuovi casi sono stati il 49,4 per cento in più rispetto a quella precedente (circa 382 casi ogni 100mila abitanti). La situazione peggiora in Reggio Emilia con un incremento del 62 per cento dei casi registrati in una settimana. Numeri che mettono i allerta gli ospedali, sempre più a corto di posti liberi nelle terapie intensive (sono occupate al 26 per cento quasi vicino al limite di 30).
Già due giorni fa nella provincia di Brescia sono state introdotte nuove zone arancioni “rinforzate”, visto che la diffusione delle varianti è nel 39 per cento dei casi registrati. La nuova ordinanza prevede anche la chiusura di «scuole elementari, infanzia e nidi».
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