Andrea Di Pietro, consulente legale di Ossigeno per l’informazione che da anni segue le traversie giudiziarie dei giornalisti, commenta le vicende legate all’inchiesta di Trapani sulle Ong e sui cronisti che si occupano di Libia “spiati” dalla procura, come emerso grazie a un articolo di Domani: «Sono allarmato soprattutto come cittadino»
Un gravissimo errore. Una palese violazione della libertà dell’informazione». Andrea Di Pietro, avvocato che da anni segue le traversie giudiziarie dei giornalisti (si è fatto le ossa nello studio di Oreste Flamminii Minuto), consulente legale di Ossigeno per l’informazione, parla dello scandalo dei giornalisti intercettati emerso grazie a un articolo pubblicato da Domani. «Sono allarmato, come legale, ma anche come cittadino. In un paese dove le conversazioni dei giornalisti vengono intercettate, i loro spostamenti monitorati, si mina alla base l’indipendenza, l’autonomia e la libertà dell’informazione. Elementi che segnano, in un verso o nell’altro, la qualità della democrazia».
I giornalisti, si sostiene, sono passibili di intercettazione, non c’è una norma che lo vieti, sono cittadini uguali agli altri di fronte alla legge, alle sue norme e ai suoi obblighi.
E chi mette in discussione questo principio? Qui si vuole spostare la discussione su altri terreni. Si vuole lasciar intendere che i giornalisti stanno qui a pretendere una sorta di immunità castale che è al di fuori e al di sopra della legge.
E invece?
Nel merito delle vicende legate all’inchiesta di Trapani, l’impressione è che si siano fatte intercettazioni a strascico e che dentro la rete siano finiti giornalisti che non hanno commesso reati, non li stavano commettendo, non pensavano di commetterli. Professionisti che stavano facendo semplicemente il loro lavoro. Sapere che un giornalista può avere il telefono, e tutti gli altri strumenti di comunicazione, sotto controllo, è allarmante dal punto di vista democratico. Forse di questo dovremmo discutere.
I giornalisti hanno diritto al segreto professionale e alla tutela delle fonti.
Tutte cose che l’ascolto delle telefonate, la registrazione dei contatti, il monitoraggio degli spostamenti, rendono labili, evanescenti, scritte solo sulla carta. Se nel corso di un’indagine tu intercetti un giornalista che contatta un indagato perché vuole approfondire, fare un lavoro che non si limita al riassunto delle informative di polizia o delle carte dei pm, se lo ascolti e ti rendi conto che non ci sono notizie di reato, passi oltre. Non trascrivi la conversazione neppure nel brogliaccio. Se lo fai limiti, insieme alla sua libertà, anche la sua possibilità di continuare a lavorare.
Vale a dire?
Le faccio un esempio legato all’attualità pandemica, così ci capiamo meglio. Sono un medico, un operatore sanitario, oppure lavoro in una grande industria che vende vaccini, vedo qualcosa che non va e decido di denunciare tutto all’opinione pubblica. Ma voglio mantenere l’anonimato. Cerco un giornalista che raccoglierà la mia denuncia, farà le verifiche del caso, e poi scriverà. La democrazia funziona anche così. Ma devo essere certo che nel momento in cui parlo lo sto facendo con una sola persona, che siamo io e lui che raccoglie le mie confidenze. Mi pare ovvio che nel momento in cui so che il giornalista in questione, bravo, coraggioso, pronto a far scoppiare un casino, è sotto intercettazione, non gli parlo più. Faccio a meno di contattarlo per evitare guai. Così il giornalista perde un’occasione di approfondimento di una notizia, ma anche di lavoro. Intercettandolo gli rompono un ferro del mestiere essenziale, il rapporto di fiducia con le fonti. Quel giornalista rischia di essere bruciato per sempre.
Eppure è stato proprio un giornalista (Andrea Palladino) a portare alla luce la vicenda dei colleghi intercettati. Un giornale (Domani) le ha pubblicate.
Un cortocircuito straordinario, perverso, ma anche virtuoso. I giornalisti vengono intercettati con le modalità che dicevo, le loro conversazioni trascritte e messe agli atti. Su carta vengono scritti nomi, cognomi, numeri di telefono del cronista e delle sue fonti, il tutto finisce sui giornali grazie alla stampa che pubblica per denunciare e difendere la sua libertà. Il sistema complessivo dell’informazione ha ancora gli anticorpi rispetto a queste forme di ingerenza del potere giudiziario, perché racconta con coraggio un sopruso che ha subito.
In questo caso dire «è la stampa bellezza» può sembrare una presa in giro.
Direi più «è la democrazia bellezza», ma una democrazia malata, in crisi profonda. Quando si lacera in questo modo la libertà e l’indipendenza dell’informazione, giustamente poste al centro del sistema democratico, perdiamo tutti.
In tema di giornalisti intercettati c’è una sentenza del 1° aprile della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Che è stata chiarissima: l’accesso alle conversazioni telefoniche di un giornalista è una chiarissima violazione dell’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, con particolare riferimento alla libertà di stampa. Con questa sentenza (Sedletska contro Ucraina), Strasburgo fa un passo importantissimo anche in materia di tutela delle fonti e di interesse generale della collettività a ricevere informazioni.
Ma le fonti del giornalista non sono già tutelate dal segreto professionale?
Il segreto professionale del giornalista è un diritto molto limitato rispetto a quello degli avvocati. Come è noto il giudice può imporre, in alcuni casi, di rilevare l’identità della fonte. Ora è chiaro che nella vicenda di Trapani siamo andati oltre, prendo il caso di Nancy Porsia. Dalle cose che ho letto sui giornali è stata intercettata per mesi, finanche quando parlava con il suo avvocato. Come da lei stesso ammesso, in quel periodo si stava occupando occasionalmente del lavoro delle Ong nel Mediterraneo, visto che la sua attenzione principale era sulla situazione in Libia. Perché le sue conversazioni sono state intercettate, perché i suoi spostamenti sono stati monitorati con la geolocalizzazione? Sono domande più che lecite. Dubbi che vanno al più presto chiariti. Il tema è di rendere più solida la normativa che tutela il segreto professionale e le fonti del giornalista, con norme chiare, difficilmente aggirabili come avviene adesso, ma anche sanzioni certe per chi viola questo diritto.
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