Per la prima volta nella storia dei Giubilei il papa ha aperto una Porta Santa all’interno del carcere romano di Rebibbia, che diventa così icona universale della vicinanza della Chiesa ai detenuti. Un segno tangibile di speranza a tutti i carcerati del mondo, è questo il messaggio del gesto di Francesco, ma anche un monito ai governi – quello italiano in primis – sulla necessità di intervenire su un sistema che, tra sovraffollamento e suicidi in cella, continua a ledere la dignità umana allontanandosi sempre di più dall’obiettivo primario della rieducazione dei condannati.

Nel giorno di Santo Stefano, primo martire della chiesa cattolica, sorridendo dalla sedia a rotelle che lo ha accompagnato anche in questa apparizione in pubblico, il pontefice ha presieduto il rito dell’apertura della Porta Santa e poi ha celebrato la messa davanti a circa 300 detenuti e al personale della polizia penitenziaria.

Erano le 8:50, dieci minuti prima del previsto, quando il pontefice – vestito di paramenti cremisi – ha bussato per tre volte ai battenti in metallo che custodiscono la soglia della Chiesa del Padre Nostro, contigua all'istituto di pena.

«Ho voluto che la seconda Porta Santa fosse qui, in un carcere. Ho voluto che ognuno di noi, che siamo qui dentro e fuori, avessimo la possibilità di spalancare le porte del cuore e capire che la speranza non delude, non delude mai. Questo fa la fratellanza. I cuori chiusi non aiutano a vivere. La grazia di un Giubileo è spalancare, aprire. Soprattutto i cuori alla speranza», ha detto il papa. 

AFP

A Rebibbia, oltre a molti fedeli, erano presenti anche il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il capo dimissionario del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Giovanni Russo, il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, monsignor Benoni Ambarus, vescovo ausiliare di Roma per l'ambito della diaconia della carità, Alessandro Diddi, procuratore generale del tribunale vaticano, e il cardinale José Tolentino de Mendonca, Prefetto del Dicastero della Cultura.

Nei prossimi giorni toccherà alle Porte Sante di San Paolo fuori le Mura, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore. Ma in queste tre basiliche il Papa non ci sarà, mentre a Rebibbia ha voluto essere presente, a ricordare che uno Stefano vittima di un crimine d'odio, ucciso nel nome dell'intolleranza, chiuse gli occhi chiedendo misericordia per i suoi assassini.

Le parole del pontefice

«La speranza non delude mai, pensate bene a questo, anche io devo pensarlo perché nei momenti brutti uno pensa che tutto è finito, che non si risolve niente ma la speranza non delude mai», ha detto Bergoglio nell'omelia. «A me piace pensare la speranza come l'àncora che è sulla riva e noi con la corda siamo sicuri».

Papa Francesco ha parlato interamente a braccio, rivolgendosi ai presenti con il tono del pastore che si rivolge ai suoi parrocchiani: «Ho voluto spalancare la porta oggi qui: la prima a San Pietro e oggi la vostra. Spalancare le porte è un bel gesto, più importante quello che significa, cioè aprire il cuore».

«La speranza è come l'ancora, tocca la terra. Certe volte la corda fa male, ma sempre c'è qualcosa di buono. Quindi la mano alla corda e le finestre e le porte spalancate. Se ci si chiude si diventa duri, ci si dimentica della tenerezza. Spalancate le porte del cuore: ognuno sa come farlo. Vi auguro un grande Giubileo, e vi auguro la pace, molta pace. E tutti i giorni prego per voi. Davvero eh.. non è un modo di dire. Penso a voi e prego per voi. E voi pregate per me», ha aggiunto papa Francesco alla fine della sua omelia.

Alla fine della messa, il pontefice ha chiesto il microfono e si è rivolto nuovamente ai detenuti presenti nella Chiesa del Padre Nostro: «Adesso non dimentichiamo due cose che dobbiamo fare con le mani, aggrapparsi alla corda e all'ancora della speranza, e la seconda spalancare i cuori. Cuori aperti. Che il signore ci aiuti in tutto questo», ha detto. I presenti hanno risposto ocn un applauso.

Nella pergamena firmata a ricordo della visita, letta da monsignor Rino Fisichella, Bergoglio scrive che essa è avvenuta affinché i detenuti «possano ritrovare fiducia in se stessi e la stima e la solidarietà della società».

Il Papa, alla fine della cerimonia, ha augurato a tutti anche un «buon anno», che sia «migliore di questo». «Da qui voglio salutare i detenuti che sono rimasti in cella, che non sono potuti venire. Un saluto a tutti voi e ad ognuno di voi. E non dimenticate: aggrapparsi all'àncora».

L’appello per l’amnistia

Nella Bolla di indizione del Giubileo “Spes non confundit”, Bergoglio ha chiesto amnistia o gesti di clemenza nei confronti di chi è recluso. Bergoglio ha raccontato che i detenuti hanno raccontato un po' delle loro storie. E che lui gli ha ascoltati ribadendo che poteva esserci lui al loro posto. 

Sul tema è arrivata la reazione dei Radicali tramite le parole di Maurizio Turco e Irene Testa, rispettivamente segretario e tesoriere del partito: «Nel 2002 era stato il Santo Padre Karol Wojtyla, nel corso della sua visita pastorale alle Camere, a chiedere un atto di clemenza per i detenuti. Oggi Papa Francesco aprendo la Porta Santa a Rebibbia ha parlato di atto di amnistia, auspicando che le istituzioni promuovano un'attenta analisi della situazione carceraria. Noi, da tempo, denunciamo una situazione delle carceri che non risponde più alle istanze costituzionali, delle leggi nazionali, europee e internazionali, e chiediamo un atto di buon governo sottolineando l'urgenza di un ampio dibattito parlamentare che possa arrivare a trovare soluzioni concrete per porre fine con immediatezza a tale violazione di legalità».

«La sostanza delle cose proposte dal Partito Radicale e da Papa Francesco coincidono partendo da visioni che solo parzialmente possono sembrare contrapposte - spiegano -, ma non c’è alcuna contrapposizione tra le nostre conclusioni laiche e quelle della Chiesa su questo: da ogni lato la si analizza, la grave situazione che è insieme di flagrante e continuata illegalità, e moralmente e cristianamente, universalmente, ingiusta, richiede soluzioni giuste, costituzionali e d'emergenza: l'amnistia, l’indulto».

«Non ci si faccia più, dunque, scudo con la demagogia di soluzioni che pretendono di coniugare sicurezza e civiltà della pena, restituendo solo simulacri dell’una e dell’altra - proseguono Turco e Testa -. È al Parlamento che è affidato in questo Paese il compito di prendere tali decisioni responsabili, e i partiti non possono continuare a fare melina con il mero assillo di salvaguardare il proprio consenso. Solo dopo una siffatta decisione si potrà parlare di riforme, di quelle riforme che devono servire a ridare dignità all'essere umano, a quegli uomini e a quelle donne che oggi scontano una pena barbara e incivile non prevista dai codici o dai regolamenti, ma perpetrata quotidianamente a causa di un sistema impazzito, saturo, opaco, che non riesce, nello stato di illegalità in cui è condannato, a fare a meno di rendersi violento e che concorre a sprofondare nell'inciviltà il Paese intero».

«Come afferma il vice primo ministro Antonio Tajani, la pena è privazione della libertà non della dignità, è quindi ora di affermarlo nelle aule parlamentari e nel Consiglio dei ministri», concludono i Radicali.

Rebibbia come una basilica

All’uscita dalla cerimonia, il pontefice si è fermato a rispondere alle domande dei giornalisti. «Abbiamo pregato insieme, ci siamo salutati, ci siamo fatti gli auguri. Tutto bello. I detenuti sono persone buone, quando vengo qui la prima domanda che mi faccio è perché loro e non io, perché ognuno di noi può scivolare. L’importante è non perdere la speranza, bisogna attaccarsi alla corda dell’ancora della speranza e aprire i cuori. Aggrapparsi alla corda dell’ancora. La prima Porta Santa che ho aperto è a San Pietro, la seconda in questa basilica. Oggi il carcere è diventato una basilica, per questo son venuto qui. Questa è la seconda basilica».

«È un gesto molto importante per me - ha aggiunto papa Francesco - dobbiamo pensare che tanti di questi non sono i pezzi grossi, quelli grossi hanno l’astuzia di rimanere fuori, e dovremmo accompagnare i detenuti. Gesù dice che nel giorno del giudizio verremo giudicati tutti».

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