- Una cappa di silenzio avvolge la sorte di Marko Rupnik, il gesuita molto vicino a papa Francesco, accusato di aver abusato di almeno sedici persone in trent’anni.
- Ma se i gesuiti non si sbilanciano, si esprimono i committenti dei suoi mosaici, che più di ogni altra cosa hanno determinato la sua fortuna (e il suo potere) nella chiesa.
- A Lourdes, dove Rupnik nel 2007 ha realizzato la facciata della basilica del rosario, il rettore Michel Daubanes e il vescovo di Tarbes e Lourdes Jean-Marc Micas a fine marzo hanno costituito un gruppo di lavoro per decidere dell’opportunità di rimuovere i mosaici a causa «della sofferenza delle vittime che vengono al santuario in cerca di conforto».
Una cappa di silenzio avvolge la sorte di Marko Rupnik, il gesuita molto vicino a papa Francesco, accusato di aver abusato di almeno sedici persone in trent’anni. Da oltre due mesi sul noto artista è in corso un’inchiesta interna alla Compagnia di Gesù che potrebbe portare alla sua espulsione dall’ordine dei gesuiti, ma è difficile prevedere quando sarà presa una decisione. «Dipende da tanti fattori giuridici in corso – ha detto a Domani il diretto superiore di Rupnik, padre Johan Verschueren, delegato per le case e le opere interprovinciali della Compagnia a Roma – La mia speranza è che si riesca prima delle vacanze d’estate».
Ma se i gesuiti non si sbilanciano, si esprimono i committenti dei suoi mosaici, che più di ogni altra cosa hanno determinato la sua fortuna (e il suo potere) nella chiesa. A Lourdes, dove Rupnik nel 2007 ha realizzato la facciata della basilica del rosario, il rettore Michel Daubanes e il vescovo di Tarbes e Lourdes Jean-Marc Micas a fine marzo hanno costituito un gruppo di lavoro per decidere dell’opportunità di rimuovere i mosaici a causa «della sofferenza delle vittime che vengono al santuario in cerca di conforto».
L’opera e l’uomo
Sempre in Francia, il parroco di Montigny-Voisins le Bretonneux, vicino a Parigi, ha deciso d’accordo con il suo vescovo di rompere il contratto firmato con Rupnik per la decorazione della nuova chiesa di Saint-Joseph-le Bienveillant. A Fatima, in Portogallo, dove nel 2007 Rupnik ha realizzato l’interno del nuovo santuario della Santissima trinità, il rettore fa invece «una chiara distinzione tra l’opera e l’uomo».
«L’opera, di indiscutibile qualità estetica – ha spiegato a Domani padre Carlos Cabecinhas – va infatti separata dai fatti che coinvolgono padre Rupnik e che hanno portato al suo allontanamento pubblico, fatti che il Santuario di Fatima rifiuta totalmente, associandosi al dolore delle vittime».
In Brasile, la Pontificia università cattolica del Paraná a febbraio ha deciso di revocare la laurea honoris causa che aveva conferito a Rupnik tre mesi prima, ritenendolo «indegno di tale onorificenza», ma ancora non si sa che cosa verrà deciso dei lavori in corso al monumentale santuario nazionale dell’Aparecida, nello stato di San Paolo, dove l’artista e la sua équipe hanno già finito le facciate nord e sud della basilica.
Un conto, infatti, è togliere un titolo onorifico, un altro smantellare più di 2300 metri quadri di mosaico. Oggi, i responsabili del santuario ammettono il loro imbarazzo dicendo che «stanno monitorando attentamente il caso e attendono indicazioni dalla chiesa su come procedere».
Il silenzio
La chiesa, però, tace. La Compagnia di Gesù, che pure ha ritenuto credibili le testimonianze delle vittime, come abbiamo detto stenta a prendere una decisione sul futuro del teologo sloveno, lasciando trasparire la delicatezza di un’operazione che non coinvolge soltanto i gesuiti o la diocesi di Roma ma arriva a toccare anche il Vaticano.
Rupnik infatti, scomunicato latae sententiae (cioè con effetto immediato) dalla Congregazione per la dottrina della fede nel maggio 2020 per aver assolto in confessione una novizia con cui aveva avuto un rapporto sessuale, neanche un mese dopo si è visto revocare la scomunica dallo stesso dicastero.
Considerata la gravità del reato canonico, soltanto la santa sede poteva togliere la scomunica ed è quindi difficile non vedere la mano di papa Francesco dietro questo brusco cambio di rotta; Bergoglio, però, ha negato di essere intervenuto nella faccenda durante un’intervista ad Ap e non è poi più tornato sull’argomento.
Il ruolo del papa
Certo, il curriculum delle malefatte di Rupnik è ormai abbastanza nutrito: scomunica a parte, il gesuita ha alle spalle un’indagine ecclesiastica con l’accusa di violenza su diverse suore della Comunità Loyola a cavallo degli anni Novanta, indagine che il dicastero per la dottrina della fede ha chiuso con un non luogo a procedere nell’ottobre 2022 perché i fatti erano ormai prescritti.
Per tacere della violazione del voto di povertà, visto che possiede il 90 per cento delle quote della Rossoroblu srl, la società che tratta (almeno in parte) le commissioni delle sue opere, come abbiamo documentato su Domani del 16 aprile. Nonostante questi precedenti e le restrizioni che la Compagnia di Gesù gli ha imposto a più riprese, Rupnik ha continuato indisturbato a lavorare, viaggiare e persino a concelebrare messa a Roma, quasi a voler rimarcare di essere al di sopra delle regole, forte di protezioni potenti alle spalle.
In ogni caso, in pubblico il papa è sempre molto attento a non nominare lo scomodo confratello, anche se alcune fonti, a Roma e nella chiesa slovena, attribuiscono proprio a Francesco la regia di questa complicata e sconcertante vicenda.
Il 26 aprile Bergoglio ha ricevuto in Vaticano una delegazione di sopravvissuti agli abusi clericali proveniente dalla Slovenia ma, nonostante il caso Rupnik fosse chiaramente l’elefante nella stanza, neanche una parola è stata pronunciata sul suo conto. Non solo: nel gruppo non c’era nemmeno una delle vittime del gesuita, e questo nonostante la Comunità Loyola, tuttora commissariata per gravi problemi interni, abbia la sede principale proprio a Lubiana.
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