- Con il più massiccio utilizzo del green pass, disposto dal nuovo decreto-legge, ci si è chiesti chi debba verificarlo, e con quali modalità. Questi profili, tra gli altri, sono regolati da un Dpcm del 17 giugno scorso. Non c’è, tuttavia, certezza che chi lavora a contatto con il pubblico nei luoghi ove si richiede il pass sia a propria volta immune dal virus.
- Solo dopo l’emanazione di un Dpcm, i dati contenuti nei certificati medici di soggetti che non abbiano potuto vaccinarsi per ragioni sanitarie – e, pertanto, sono esentati dal green pass - potranno essere trattati in modalità digitale, e quindi tutelati.
- La norma sul pass ai guariti non è molto chiara. L’unica dose di vaccinazione prevista può essere effettuata entro 12 mesi dalla guarigione, come disposto da una circolare del ministero della Salute, ma la norma non ne fa cenno. Comunque, il green pass dopo la guarigione ha una durata di soli 6 mesi.
Il green pass non toglie la libertà, ma la fa riacquistare. Questa è la chiave di volta del decreto-legge del 23 luglio scorso (n. 105), fornita dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, in conferenza stampa. La situazione economica sta migliorando e la certificazione Covid-19 serve a evitare nuove chiusure. Il decreto, tuttavia, pone alcune criticità che occorre rilevare.
Chi controlla il green pass
La certificazione verde servirà dal 6 agosto agli over 12 – tra l’altro - per l’accesso a eventi sportivi, fiere, congressi, musei, parchi tematici, teatri, cinema, nonché per sedersi ai tavoli al chiuso di bar e ristoranti. Molti si sono chiesti chi svolgerà i controlli, e in quale modo. Siccome finora le certificazioni verdi digitali Covid-19 sono servite a usi limitati, forse non tutti sanno che, il 17 giugno scorso, un decreto del presidente del Consiglio (Dpcm) ne ha disciplinato una serie di profili: tra gli altri, l’accertamento da parte di “verificatori” mediante la lettura del cosiddetto QR code attraverso l’App VerificaC19. L’App consente di controllare autenticità, validità e integrità della certificazione e di conoscere le generalità dell’interessato, ma non suoi dati “particolari” come guarigione, vaccinazione o esito negativo del tampone. Oltre ai pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni, le verifiche sono svolte – in sintesi - dal personale addetto ai controlli di attività di intrattenimento e spettacolo in luoghi aperti al pubblico; da titolari di strutture recettive e di pubblici esercizi; da proprietari di locali ove si svolgono eventi pubblici; da gestori di strutture che erogano prestazioni sanitarie e similari; da soggetti delegati dai “verificatori”. Oltre all’esibizione della certificazione, il Dpcm prevede che i controllori possano chiedere un documento di identità all’intestatario, per accertarne la titolarità.
Chi controlla i controllori
Per rendere effettiva l’imposizione del green pass, i controlli vanno effettuati scrupolosamente. Ciò comporterà oneri a carico di titolari di locali ed esercenti pubblici, in termini di risorse e tempo per vagliare sia i pass sia l’identità di chi li esibisce. Si auspica che tale onerosità non induca a riscontri meno attenti. Occorrerà, dunque, che le autorità accertino che i “verificatori” operino come serve: una norma sprovvista di adeguati controlli circa la sua effettiva applicazione, ai fini delle relative sanzioni, rischia di veicolare il messaggio che l’adempimento sancito sia solo formale.
Con l’obbligo di green pass per l’accesso a certi luoghi, si dovrebbe avere la certezza che sia immune dal virus pure chi lavora in quei luoghi, a contatto con il pubblico cui si richiede la certificazione. Ma il datore di lavoro non potrebbe interrogare al riguardo i propri dipendenti, come affermato dal Garante Privacy, in conformità tra l’altro al Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR). Non sembra che le indicazioni del Garante possano reputarsi superate dal nuovo decreto, facendo rientrare fra i soggetti obbligati all’esibizione del green pass anche coloro i quali lavorano nei posti ove esso è previsto. Peraltro, Draghi ha detto che il tema dei luoghi di lavoro sarà considerato in prosieguo, e ciò confermerebbe che il pass non vale per tali lavoratori. Sarebbe stato meglio sciogliere subito questo nodo.
I “fragili” e i guariti
Uno dei problemi legati all’ultimo provvedimento è quello dei soggetti “fragili” che non si siano potuti vaccinare per motivi sanitari e, quindi, siano esentati dal green pass in base a idonea certificazione medica. Il decreto-legge dispone che sia emanato un Dpcm, sentito il Garante Privacy, per poter trattare in modalità digitale le certificazioni sanitarie e consentirne la verifica in modo da garantire la protezione dei dati personali in esse contenuti. Fino a quando tale Dpcm non sarà emanato, possono essere utilizzate certificazioni in formato cartaceo, le quali tuttavia non assicurano una tutela adeguata dei dati “sensibili” degli interessati.
Anche circa i guariti ci sono criticità da rilevare. La certificazione verde – si prevede nel decreto-legge - è rilasciata «contestualmente all'avvenuta somministrazione di una sola dose di un vaccino dopo una precedente infezione da SARS-COV2 e ha validità dal quindicesimo giorno successivo alla somministrazione». Da una lettura testuale, sembrerebbe che chi si sia infettato possa vaccinarsi con una sola dose senza limite temporale, dopo che sia guarito. Ma così non è: una circolare del ministro della Salute del 21 luglio scorso dispone che, post guarigione, «la vaccinazione venga eseguita preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa e comunque non oltre 12 mesi». Sarebbe stato meglio che la norma del decreto avesse previsto tale dato temporale o un riferimento esplicito alla circolare. Inoltre, può disorientare il fatto che l’unica dose di vaccino sia somministrabile entro 12 mesi dalla guarigione, ma la certificazione verde post guarigione abbia una durata di soli 6 mesi. C’è il rischio di confusione.
I settori esclusi dal decreto green pass
Draghi ha anticipato che il settore della scuola sarà considerato dal governo nelle prossime settimane. Si valuta la possibilità di rendere la vaccinazione condizione necessaria per lo svolgimento di mansioni a contatto con terzi da parte del personale scolastico, come per il personale sanitario. Ciò sarebbe legittimo, ma la vaccinazione non basta per assicurare la scuola in presenza: non è esclusa la possibilità di contagio anche tra vaccinati, come affermano gli scienziati e gli stessi “bugiardini” dei vaccini. Il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, ha dichiarato che «i contagi non avvengono a scuola, ma sui mezzi pubblici». E diverse ordinanze regionali di chiusura delle scuole in presenza, lo scorso anno, erano state motivate con il rischio di contagi su tali mezzi. I trasporti rappresentano un nodo cruciale, che sarà valutato in prosieguo, ha detto Draghi. Si dubita che il pass possa essere previsto come condizione per accedere ai trasporti locali (treni regionali, autobus, tram ecc.): dato l’affollamento, specie nelle ore di punta, controlli capillari sarebbero ardui. E, come detto, un obbligo sprovvisto di adeguati accertamenti sarebbe controproducente. Comunque, se è indubitabile l’utilità di uno strumento per contenere il rischio di contagi - il green pass – nei luoghi elencati dal decreto, il fatto di non aver ovviato prioritariamente a tale rischio nei posti ove più ci si assembra – i mezzi pubblici – lascia perplessi.
Un’ultima considerazione. Qualcuno potrebbe affermare che la proroga dello stato di emergenza con l’ultimo decreto sia funzionale a consentire la prosecuzione del mandato del generale Francesco Figliuolo, come commissario per l’emergenza, per il completamento delle vaccinazioni. Di fatto, il generale sarebbe comunque potuto restare anche solo con un incarico specifico per la campagna vaccinale. Il commissario per l’emergenza serve finché c’è un’emergenza. Non si continua un’emergenza per consentire al commissario di continuare a operare.
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