Un maresciallo e un consigliere comunale di Fratelli d’Italia avrebbero trafugato file riservati per venderli a Fabrizio Corona e confezionare un falso scoop sul covo del boss. Perquisita la casa del fotografo, che si difende: «Sono stato io a denunciare»
Mercoledì notte i carabinieri hanno perquisito la casa milanese di Fabrizio Corona, indagato per ricettazione nell’ambito dell’inchiesta a carico di un carabiniere e di un politico di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani. I due avrebbero cercato di vendere al fotografo e a un giornalista materiale riservato sulla cattura del boss Matteo Messina Denaro, arrestato il 16 gennaio scorso.
I documenti sarebbero stati acquisiti illegalmente dai server dell’Arma. L’indagine ha portato all’arresto di un maresciallo, Luigi Pirollo, e di un consigliere comunale di Mazara del Vallo, Giorgio Randazzo (FdI), che avrebbe contattato Corona offrendogli uno scoop in cambio di soldi. Pirollo è accusato di accesso abusivo a sistema informatico, mentre Randazzo di ricettazione. Entrambi sono ora ai domiciliari.
I file rubati
Secondo gli inquirenti – l’indagine è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido – il carabiniere, in servizio al nucleo operativo della compagnia di Mazara del Vallo, si sarebbe introdotto illegalmente nei server dell’Arma, avrebbe estratto copia di oltre 700 file riservati relativi alla cattura del padrino e li avrebbe consegnati a Randazzo.
Il consigliere comunale, con un passato nella Lega e ora dirigente provinciale di Fratelli d’Italia, avrebbe contatto Corona e cercato di vendergli i documenti. Poi, su indicazione dello stesso fotografo, si sarebbe rivolto a Moreno Pisto, direttore del magazine online Mow, proponendogli di acquistare il materiale.
Le intercettazioni
Sono state le intercettazioni disposte a carico del fotografo dei vip a dare il via all’inchiesta. Dopo la cattura del latitante, Corona era in possesso di una serie di audio tra il boss e alcune pazienti conosciute in clinica durante la chemioterapia, quando usava l’identità di Andrea Bonafede. Proprio l’esistenza di questi vocali, trasmessi in tv durante il programma Non è l’Arena, avrebbe spinto gli inquirenti a mettere sotto controllo il telefono del fotografo.
In una delle conversazioni intercettate, Corona avrebbe fatto riferimento a «uno scoop pazzesco» di cui era in possesso un consigliere comunale, poi identificato in Randazzo, grazie a non meglio specificati carabinieri che avevano perquisito i covi del capomafia.
Il 25 maggio Randazzo, Pisto e il fotografo si sarebbero incontrati. In quell’occasione il giornalista di Mow, di nascosto, avrebbe fatto copia dei file a lui mostrati e offertigli dal politico. Dopo averli visionati ed essersi reso conto della delicatezza del materiale, si sarebbe rivolto a un collega – Giacomo Amadori de La Verità – che gli avrebbe consigliato di rivolgersi alla polizia.
Uno scoop pazzesco
Sono state le intercettazioni a Corona a svelare il piano dell’ex re dei paparazzi, che diceva di avere tra le mani «un grosso scoop» sulla cattura di Messina Denaro. Per sostenere questa bufala – il covo del capomafia perquisito in ritardo e poi svuotato – Pirollo, Randazzo e Corona avrebbero puntato su un documento in particolare.
Tra i 768 file riservati sulla cattura del boss c’era anche un documento del Ros con la programmazione degli obiettivi da perquisire dopo l’arresto: immobili e proprietà intestati ad Andrea Bonafede, il geometra che prestò l’identità a Messina Denaro. Per una svista, nella versione del documento trafugata non era stato indicato il covo di vicolo San Vito, a Campobello di Mazara.
Nel piano di Pirollo e del suo complice, l’assenza del covo nel documento sarebbe dovuta diventare un giallo su un presunto disegno degli investigatori per ritardare la perquisizione e occultare i pizzini del boss. Una fake news spacciata per scoop clamoroso, almeno nelle intenzioni di Corona, che secondo il gip Alfredo Montalto voleva solo «alimentare teorie complottistiche».
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