- Nel nuovo parlamento, uscito dalle urne, si materializza uno scontro che per oltre due decenni si è consumato nel paese tra il potere esecutivo e quello giudiziario, quando al governo c’era Silvio Berlusconi.
- L’ex cavaliere, dopo aver scontato ai servizi sociali la condanna per frode fiscale, tornerà al Senato, eletto con oltre il 50 per cento dei voti nel collegio uninominale di Monza.
- Da una parte siederà lui, tra le file della maggioranza di centrodestra, e dall’altra, all’opposizione, i magistrati in pensione schierati ed eletti dal Movimento cinque stelle, Federico Cafiero de Raho e Roberto Scarpinato, che troveranno in aula una seconda vita professionale.
Nel nuovo parlamento, uscito dalle urne, si materializza uno scontro che per oltre due decenni si è consumato nel paese tra il potere esecutivo e quello giudiziario, quando al governo c’era Silvio Berlusconi. L’ex cavaliere, dopo aver scontato ai servizi sociali la condanna per frode fiscale, tornerà al Senato, eletto con oltre il 50 per cento dei voti nel collegio uninominale di Monza.
Da una parte siederà lui, tra le file della maggioranza di centrodestra, e dall’altra, all’opposizione, i magistrati in pensione schierati ed eletti dal Movimento 5 stelle, Federico Cafiero de Raho e Roberto Scarpinato, che troveranno in aula una seconda vita professionale.
Il caso Sistemi criminali
Così quello che succedeva nel paese vent’anni fa, potrebbe tornare a succedere in aula. Il leader di Forza Italia, al Senato, incrocerà direttamente Roberto Scarpinato, il pubblico ministero siciliano che negli anni Novanta firmò la prima indagine, ribattezzata “Sistemi criminali” che si occupava del ruolo di massoneria deviata, mafia ed eversione nera nella stagione delle stragi di Cosa Nostra.
Quell’inchiesta, archiviata su richiesta del pm, indagava anche sulla nascita di Forza Italia, sulla vicinanza mafiosa al movimento nascente e anche sul ruolo di Marcello Dell’Utri, il fido amico di Berlusconi che poi sarà condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. In quella richiesta, pur d’archiviazione, si trovano ragioni ipotizzate sulla fine della strategia stragista.
«Se ciò sia avvenuto anche per effetto della prosecuzione e dell’esito della “trattativa” è ipotesi logicamente plausibile, ma non sufficientemente provata e, in ogni caso, esulante dallo specifico oggetto del presente procedimento, così come ne è esulante l’incidenza che possa avervi avuto l’evoluzione dei rapporti di Cosa Nostra con altri soggetti, i quali si sono impegnati all’interno di nuove formazioni politiche dopo il tramonto della prospettiva secessionista (è il caso – ad esempio – dell’onorevole Marcello Dell’Utri, risultato prima in contatto con vari personaggi impegnati nel progetto meridionalista, e poi protagonista della nascita di Forza Italia)», si legge nell’atto.
Di fatto, “Sistemi criminali” è stata il preludio dell’inchiesta sulla presunta Trattativa Stato-mafia, coordinata da altri magistrati anni dopo, che è finita in appello dopo un lungo iter processuale con l’assoluzione degli imputati, tra i quali anche lo stesso ex senatore Dell’Utri.
De Raho a Montecitorio
Alla Camera dei deputati, invece, ci sarà De Raho, già coordinatore della direzione distrettuale antimafia di Napoli, e successivamente capo della procura nazionale antimafia fino al febbraio di quest’anno.
Proprio De Raho guidava l’antimafia partenopea quando il coordinatore di Forza Italia, Nicola Cosentino, nel 2009, venne raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, respinta dalla camera di appartenenza. De Raho aprì l’inchiesta che travolse l’ex sottosegretario all’Economia del governo Berlusconi e l’allora primo ministro reagì sparando a zero sui magistrati.
«Ho assicurazione personale dagli interessati che si tratta di operazioni legate alla politica, e non a quella realtà. Sono bene al corrente di che cosa possa fare certa magistratura e quindi attendo i processi», disse Berlusconi quando vennero pubblicate le accuse di un collaboratore di giustizia, Gaetano Vassallo, contro Cosentino. A distanza di anni i processi si sono celebrati e Cosentino è stato condannato a dieci anni, in secondo grado, per concorso esterno in associazione camorristica.
De Raho e Scarpinato potrebbero avere un ruolo nella commissione bicamerale d’inchiesta sulle mafie. Più nota come commissione Antimafia, è un organo parlamentare che unisce 25 senatori e 25 deputati e dal 1962 viene istituita con legge all’inizio di ogni legislatura.
Ha il compito di verificare l’attuazione della normativa antimafia, la congruità delle nuove norme, di vigilare anche sui rapporti tra mafia e politica e agisce con gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria a indagini ed esami in merito al fenomeno mafioso.
Le indagini e gli incroci
Proprio lo scontro parlamentare, però, potrebbe generare un cortocircuito tra il passato giudiziario di De Raho e quello di Berlusconi sul fronte opposto.
Nel gennaio di quest’anno, infatti, l’allora procuratore nazionale antimafia ha parlato a Repubblica delle inchieste in corso sulle stragi degli anni Novanta. «Procediamo con cautela. Bisogna evitare nuovi depistaggi alla Scarantino, per arrivare a una ricostruzione organica ogni conquista è elemento che va vagliato dai vari uffici - Palermo, Catania, Caltanissetta, Reggio Calabria, Firenze - coinvolti nelle indagini. In più è passato molto tempo. Che le dichiarazioni dei pentiti vanno vagliate con ancora più attenzione e certi accertamenti costano più fatica. Ma si possono e si devono fare e i risultati stanno arrivando», ha detto De Raho.
L’incipit dell’intervista ha questo tenore: «Arriverà un nuovo pezzo di verità sulle stragi. Di questo ne sono convinto. Stiamo lavorando da anni per questo». Un annuncio che è un auspicio ma si tratta di una indicazione molto forte, perché il procuratore nazionale antimafia ha come primo compito quello di coordinare il lavoro d’inchiesta delle varie procure distrettuali e ha accesso a fascicoli e notizie riservate.
Dunque, all’epoca dell’intervista De Raho era l’unico magistrato in Italia a poter avere, nell’esercizio delle sue funzioni, un quadro completo sulle indagini in corso sulle stragi e a poter anticipare con cognizione di causa l’arrivo un «nuovo pezzo di verità».
Queste verità, però, da gennaio ad oggi non sono ancora arrivate e non sono note alla pubblica opinione. Di certo c’è che nel 2021, come raccontato da Domani, alla procura nazionale antimafia di via Giulia a Roma si svolte diversi riunioni, con un via vai di procuratori delle distrettuali coinvolte nelle indagini.
Le indagini sulle stragi
Quelli di Caltanissetta competenti per territorio su Capaci e via D'Amelio, quelli di Palermo investiti della trattativa Stato-mafia, quelli di Reggio Calabria che hanno già portato a giudizio il siciliano Giuseppe Graviano e il calabrese Rocco Santo Filippone ottenendone la condanna in Corte di Assise. E poi c’è un’altra procura che indaga sui mandanti esterni delle stragi. E tra gli indagati c’è proprio Silvio Berlusconi.
Dell’Utri e Berlusconi sono indagati per concorso in strage dalla procura di Firenze. L’indagine approfondisce il ruolo di soggetti esterni nella campagna stragista, condotta dalla mafia siciliana nel 1993 con gli attentati a Firenze, Roma e Milano. L’accusa è sempre stata respinta dagli interessati e per gli avvocati che li assistono «è un’infamante ricostruzione».
Questa non è la prima indagine che riguarda Berlusconi e Dell’Utri per quella stagione di sangue e bombe, ma le indagini precedenti sono finite tutte con l’archiviazione. Erano “Alfa” e “Beta” a Caltanissetta e “Autore 1” e “Autore 2” a Firenze, sigle per coprire l’identità degli indagati. Ancora prima, a Palermo, erano stati anche “M” e “MM”, in compagnia di un certo “MMM“ che come occupazione temporanea aveva quella di stalliere, a tempo pieno invece faceva il mafioso della famiglia di Porta Nuova e ad Arcore badava ai “cavalli”. Si trattava del boss Vittorio Mangano, poi diventato noto alle cronache come lo stalliere di Arcore.
Silvio Berlusconi, da imprenditore, fino a metà degli anni Settanta, lo ha ospitato nella sua villa di Arcore, e successivamente lo bollerà come eroe perché in grado di non violare il patto di silenzio al quale era votato. Proprio quel Mangano che il giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia e non solo, definiva «testa di ponte dell’organizzazione mafiosa nel nord Italia».
La fine delle indagini
Torniamo all’inchiesta fiorentina. Domani ha rivelato che la nuova indagine ha una data di scadenza: dicembre 2022. Entro la fine dell’anno, quindi, i pubblici ministeri dovranno decidere se archiviare tutto per la quarta volta o inviare l’avviso di chiusura delle indagini preliminari agli indagato.
L’inchiesta è stata aperta dall’allora procuratore capo della repubblica di Firenze Giuseppe Creazzo - oggi sostituto procuratore nella procura minorile di Reggio Calabria - dal sostituto Luca Turco e dal procuratore aggiunto Luca Tescaroli. L’inchiesta è stata avviata nel 2017 e parte dagli obliqui messaggi lanciati dal carcere dal boss Giuseppe Graviano, nei colloqui registrati da microspie con il suo compagno d’aria Umberto Adinolfi.
Graviano è un criminale incallito che vuole uscire dal carcere e sa benissimo che ogni sua parola viene intercettata. Non è un pentito e non è un imputato qualunque, è un mafioso, anzi è il mafioso che più di ogni altro - insieme a Totò Riina e Matteo Messina Denaro - quelle stragi le ha volute.
È un prestigiatore, capace di mischiare il vero e il falso. Secondo quanto confidato da Graviano, ci sarebbe stato un accordo economico tra lui e Berlusconi, che sarebbe stato il presupposto per la convergenza d’interessi nella stagione stragista del 1993.
La verità che Graviano ha consegnato ai magistrati di Firenze nel 2021 è che esista «una carta», cioè una scrittura privata tra lui e Berlusconi, che risalirebbe agli anni Settanta, quando Berlusconi non era ancora sceso in politica. Il documento stabilirebbe una quota di partenza di venti miliardi di lire raccolti tra le famiglie mafiose di Palermo guidate dal nonno di Graviano, per farle diventare finanziatrici nelle sue attività immobiliari.
Questa ipotesi, che ha dato il via all’indagine, troverebbe altri riscontri in dichiarazioni e in alcuni documenti in possesso degli inquirenti, ancora coperti da segreto. Basterà per mettere la loro firma sull’avviso di conclusione delle indagini, preludio della richiesta di rinvio a giudizio?
I due nemici
Il dato politico, tuttavia, è che l’indagine rischia di essere l’ennesimo problema giudiziario di Berlusconi, che per estensione potrebbe creare difficoltà anche ai suoi alleati del centrodestra. Soprattutto visto che l’ex premier troverà in parlamento due magistrati che hanno sempre indagato sui rapporti tra politica e mafia, e in particolare conoscono bene le carte – note e non note – sulle stragi del 1993 nelle quali il suo nome è al vaglio degli inquirenti.
Da sempre vicino alla corrente di sinistra di Magistratura democratica, Roberto Scarpinato infatti è sempre stato considerato dai colleghi tra i magistrati più preparati dal punto di vista storico-culturale sul fenomeno mafioso, tanto da assere soprannominato “il filosofo”.
La sua carriera, tutta svolta in Sicilia, è stata caratterizzata non solo dall’indagine “Sistemi criminali”, ma anche dalle inchieste che hanno tentato di far luce sulle stragi del 1992 e 1993.
Non solo: quando era alla guida della procura generale di Palermo ha preso parte alle riunioni di coordinamento della procura nazionale antimafia sui mandanti esterni delle stragi, che sono state il preludio delle indagini in corso anche oggi, tra le quali quella in cui compare anche il nome di Berlusconi.
Ambizioni politiche
Cafiero de Raho, invece, è il terzo procuratore antimafia eletto subito dopo il suo pensionamento dagli uffici di via Giulia. Prima di lui, il Pd ha candidato e fatto eleggere al Senato (e poi alla presidenza di palazzo Madama) Piero Grasso, non riconfermato in questa legislatura, mentre nel 2019 ha eletto nel collegio sud al parlamento europeo Franco Roberti.
L’ambizione, anche in politica, di de Raho era nota in ambienti giudiziari. I suoi frequenti contatti con la politica provengono dalla sua storia nella magistratura associata. De Raho è stato legato alla corrente centrista di Unità per la Costituzione, la stessa di cui è stato capocorrente e deus ex machina l’ex magistrato Luca Palamara.
È stato proprio Palamara, con le sue dichiarazioni proprio in audizione davanti alla commissione parlamentare Antimafia, a dire che de Raho sarebbe stato nominato dal Consiglio superiore della magistratura prima al vertice della procura di Napoli e poi alla Dna grazie anche all’influenza del potente ex ministro dell’Interno del Pd, Marco Minniti.
I suoi contatti con la politica sono proseguiti anche dopo il pensionamento, sempre nell’area del centrosinistra ma con ottimi rapporti anche nel mondo Cinque stelle. Ad appena un mese dall’addio alla Dna, il neosindaco di Napoli frutto dell’accordo tra Pd e M5s, Gaetano Manfredi, ha nominato de Raho membro del consiglio d’amministrazione del teatro Mercadante del capoluogo partenopeo.
Un incarico di questo tipo, seppur contiguo alla politica, non ha fatto scalpore quanto la sua candidatura al Senato. A stupire una parte del mondo togato è stato il tempismo con cui è avvenuta: appena sette mesi dopo la fine di un incarico delicato come quello alla Dna, con tutto il bagaglio di conoscenze riservate che questo significa.
Oggi che Berlusconi, de Raho e Scarpinato si ritroveranno insieme in parlamento, l’interrogativo è se la legislatura che sta per cominciare darà vita all’ennesimo cortocircuito tra politica e magistratura, questa volta direttamente da dentro il palazzo.
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