La deposizione del collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino conferma la riconducibilità dell’omicidio di Mario Francese ai vertici di Cosa Nostra, come conseguenza degli articoli da lui pubblicati sul "Giornale di Sicilia" sugli interessi dei “corleonesi” nella diga Garcia nei quali si poneva una forte attenzione sulla figura di Totò Riina
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La riconducibilità dell’omicidio di Mario Francese al vertice di "Cosa Nostra" è desumibile anche dalle seguenti dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino nell’interrogatorio del 4 luglio 1996:
A.D.R.: Come è ormai noto all’Ufficio, per averlo più volte dichiarato, sono stato sempre molto amico di NINO ed IGNAZIO SALVO. Da loro, ed in particolare da Nino SALVO, ho appreso notizie sull’omicidio del giornalista Mario FRANCESE.
Ricordo che Nino SALVO mi disse che la responsabilità, almeno in senso morale, di quel fatto di sangue era da addebitare all’Ufficiale dei Carabinieri SUBRANNI, che aveva condotto indagini a seguito dell’omicidio del Colonnello dei Carabinieri RUSSO e del Professore COSTA, suo amico ed informatore. Che il COSTA fosse un informatore del Colonnello RUSSO, l’ho saputo dal Senatore D.C. Giuseppe CERAMI, il quale conosceva bene il COSTA perché gli procurava consensi elettorali. Il CERAMI era un uomo d’onore, ed in quanto tale me ne parlò.
Tornando all’omicidio di Mario FRANCESE, riferisco che secondo quanto appresi da Nino SALVO, il SUBRANNI avrebbe “passato” al FRANCESE importanti notizie riguardanti gli interessi dei Corleonesi ed in particolare di RIINA Salvatore, nella diga Garcia, opera monumentale realizzata intorno alla metà degli anni ‘70 in una zona della Sicilia che non so meglio indicare. Sulla base di dette notizie, il FRANCESE avrebbe quindi scritto alcuni articoli - poi pubblicati dal Giornale di Sicilia, per conto del quale lavorava - che mettevano in particolare risalto la figura del RIINA, sottoponendolo così ad eccessiva attenzione da parte degli inquirenti.
Fu per tale motivo che il RIINA, avendo rilevato che si parlava insistentemente soltanto di lui e non anche di Stefano BONTATE e di Michele GRECO, che era stato sempre molto amico dei vari proprietari del Giornale di Sicilia tra i quali, in particolare, Federico ARDIZZONE, pose in essere una serie di avvertimenti a quel Giornale, uno dei quali consistente nel danneggiamento di una villa che si trovava nei pressi della villa di Michele GRECO, in Casteldaccia. Così mi disse almeno Nino SALVO, secondo cui quel fatto sarebbe stato un preciso avvertimento a Michele GRECO.
Sempre a dire del SALVO, il giornalista Mario FRANCESE sarebbe stato ucciso perché, nonostante tutto, continuava a scrivere articoli ispirati contro di lui.
Preciso che Nino SALVO mi parlò dei Corleonesi, e non solo del RIINA, come degli autori di tali danneggiamenti e dello stesso omicidio del FRANCESE.
Preciso anche che per quanto è a mia conoscenza, sono sempre esistiti ottimi rapporti tra i proprietari del quotidiano Giornale di Sicilia ed esponenti di rilievo di Cosa Nostra. Ciò sono in grado di dire non soltanto per quanto riferitomi a proposito dell’omicidio di Mario FRANCESE da Nino SALVO, ma anche perché ricordo che nel lontano 1962, mio zio Gioacchino PENNINO, ora deceduto, ed allora rappresentante della Famiglia Mafiosa di Brancaccio, fu informato da Federico ARDIZZONE e da tale PASSANTINO, che rivestiva un importante ruolo nella redazione del Giornale di Sicilia, del fatto che fosse stato emesso nei suoi confronti un mandato di cattura. In buona sostanza fu possibile in tal modo a mio zio rendersi latitante, e so che fu ceduto al PASSANTINO, gratuitamente e comunque a prezzo di particolare favore, non so se direttamente o per il tramite di un prestanome, un appezzamento di terreno coltivato ad agrumeto sito in località Ciaculli di Palermo, terreno insistente in una zona conosciuta come “Castelluccio”.
Poichè l’Ufficio me ne fa espressa richiesta, dico che nessun regalo particolare avrebbe dovuto fare mio zio a Federico ARDIZZONE, al quale proprio in ragione del rapporto che li legava, era consentito di fatto di poter lavorare tranquillamente in una città come Palermo, ove altri Giornali, come ad esempio il quotidiano “L’Ora”, hanno subito negli anni minacce e danneggiamenti di vario genere.
Ricordo peraltro che sin da piccolo ho avuto modo di rilevare personalmente una costante frequentazione, nei locali sede del tiro a volo, di Federico ARDIZZONE, Michele GRECO e di mio zio Gioacchino PENNINO.
Ritengo di dovere sottolineare quanto riferitomi da Nino SALVO circa una sua “partecipazione” al Giornale di Sicilia. Per tale motivo il SALVO era a conoscenza delle vicende di quel quotidiano.
Ricordo anche che, sempre a proposito dell’omicidio Mario FRANCESE, Nino SALVO mi disse che Federico ARDIZZONE aveva fatto assumere la direzione del Giornale a persona non siciliana che dicevano essere “comunista”, e ciò al preciso scopo di addossare su di lui la responsabilità della pubblicazione degli articoli che mettevano in particolare risalto la figura del RIINA e dei Corleonesi in genere.
I Corleonesi però non ci cascarono, e dopo l’omicidio del FRANCESE, Federico ARDIZZONE licenziò quel direttore facendo assumere al figlio Antonio la carica formale di direttore responsabile del Giornale, e chiamando a coadiuvarlo tale PEPI ed un amico del SALVO, Giuseppe SOTTILE.
Spontaneamente il PENNINO aggiunge:
Mi sembra evidente che da sempre i vertici di Cosa Nostra si sono resi conto dell’importanza del controllo dei mezzi di informazione. A tal proposito ricordo che intorno alla metà degli anni ‘70, TERESI Girolamo, detto Mommino, si stava interessando per acquisire alcune emittenti televisive private. Non ricordo in questo momento chi me ne parlò, ma è certo che ne sentii parlare, probabilmente dallo stesso TERESI che io conoscevo personalmente. Sentii dire in particolare che il TERESI si sarebbe recato più volte in continente proprio allo scopo di avviare trattative per l’acquisizione di quelle emittenti realizzando così un progetto di BONTATE Stefano.
Il TERESI infatti era notoriamente imprenditore edile, oltre che Uomo d’onore di particolare rilievo della Famiglia di Santa Maria di Gesù, e come tale curava gli interessi in quel settore di Stefano BONTATE e del suo Gruppo.
La deposizione del Pennino, basata sul racconto fattogli da Antonino Salvo, evidenzia, dunque, che:
- l’omicidio di Mario Francese fu conseguenza degli articoli da lui pubblicati sul "Giornale di Sicilia", i quali delineavano con chiarezza gli interessi dei “corleonesi” nella diga Garcia; i suddetti articoli, fondati sulle notizie che il giornalista aveva appreso dal Subranni, mettevano in risalto la figura del Riina, sottoponendolo, così, ad una forte attenzione da parte degli inquirenti;
- per questa ragione, Salvatore Riina effettuò alcuni “avvertimenti” contro il "Giornale di Sicilia", uno dei quali consistette nel danneggiamento di una villa sita nei pressi di quella di Michele Greco, a Casteldaccia;
- gli autori dei predetti danneggiamenti e dell’omicidio di Mario Francese furono i “corleonesi”.
Le rivelazioni di Gioacchino Pennino
In merito alla credibilità soggettiva del Pennino, può sicuramente formularsi un giudizio positivo, tenuto conto della sua personalità, del suo grado di conoscenza della materia riferita, della posizione da lui precedentemente assunta all’interno dell’organizzazione criminale, delle ragioni che lo hanno indotto alla collaborazione con la giustizia, del suo disinteresse, della mancanza di qualsiasi movente calunniatorio, e delle modalità di esternazione delle sue dichiarazioni.
Come è noto, il Pennino - che esercitava la professione medica, era titolare di avviati laboratori di analisi e svolgeva attività politica all’interno della Democrazia Cristiana - fu affiliato alla "famiglia" di Brancaccio nel 1977 e rimase quindi organicamente inserito nell’organizzazione mafiosa, cui erano profondamente legati diversi componenti della sua famiglia paterna (in particolare, il padre Gaetano Pennino e lo zio Gioacchino Pennino, il quale era stato colpito da un mandato di cattura emesso il 13 aprile 1964 dal Giudice Istruttore del Tribunale di Palermo dott. Cesare Terranova, era stato condannato alla pena di quattro anni di reclusione con sentenza del 22 dicembre 1968 della Corte di Assise di Catanzaro per il reato di associazione a delinquere ed era ritenuto inserito nella cosca di Ciaculli: cfr. l’esito degli accertamenti di cui alla nota del 9 gennaio 1997 della D.I.A.). Numerosi collaboratori di giustizia hanno evidenziato il suo ruolo di referente di "Cosa Nostra" nel mondo professionale e politico. Nel 1994 Gioacchino Pennino, dopo essere stato tratto in arresto in Croazia ed estradato in Italia esclusivamente per il reato previsto dall’art. 416 c.p., accettò di rispondere anche per il delitto di associazione di tipo mafioso (precludendosi così la possibilità di essere scarcerato in breve tempo per decorrenza dei termini di custodia cautelare) ed iniziò a collaborare con la giustizia, mosso da ragioni di coscienza.
Vanno sottolineate la spontaneità e la precisione delle dichiarazioni rese dal Pennino, che non appaiono ricollegarsi ad alcuna situazione di coercizione e di condizionamento, attengono a fatti specifici, non manifestano profili illogici o contraddittori, e presentano un contenuto ricco di particolari e di riferimenti descrittivi.
Deve, inoltre, riconoscersi la piena affidabilità della fonte di riferimento indicata dal collaborante: è chiaro, infatti, che le suddette notizie in merito all’omicidio di Mario Francese erano sicuramente conosciute da Antonino Salvo in virtù del suo radicato inserimento nel sodalizio mafioso e dei suoi rapporti privilegiati con i vertici di "Cosa Nostra", e furono trasmesse al Pennino in virtù di uno stretto rapporto di amicizia e di fiducia personale (oltre che di comune appartenenza all’associazione criminale).
E’ particolarmente significativo che il Pennino abbia riferito che Salvatore Riina aveva posto in essere, a scopo intimidatorio nei confronti del "Giornale di Sicilia", il danneggiamento di una villa posta nei pressi di quella di Michele Greco, ed abbia aggiunto di avere appreso ciò da Antonino Salvo, «secondo cui quel fatto sarebbe stato un preciso avvertimento a Michele Greco».
Le suddette indicazioni si sono rivelate assolutamente esatte – essendo stato dimostrato che Michele Greco, insieme alla moglie, ed il figlio Giuseppe avevano acquistato in data 21 settembre 1978, rispettivamente, l’usufrutto e la nuda proprietà di una casa costruita su un terreno, sita nel territorio di Casteldaccia, in località Maiorana, e distante 1,1 km. dalla villa di Lucio Galluzzo (cfr. l’esito degli accertamenti della D.I.A. depositati il 17 gennaio 1997) – e sono chiaramente riconducibili ad un flusso di precise informazioni circolante all’interno di "Cosa Nostra": al riguardo, deve infatti rilevarsi che la notizia dell’attentato incendiario realizzato il 24 ottobre 1978 contro la villa del Galluzzo non era stata neppure pubblicata sul "Giornale di Sicilia" e su “L’Ora” (v. la nota dell’ 11 giugno 1998 della D.I.A. di Palermo), e che nelle susseguenti indagini non era stata mai posta in rilievo la prossimità del medesimo immobile rispetto a quello di Michele Greco (cfr. gli atti del procedimento penale contro ignoti n. 37372/78 R. G. Proc. Rep.).
Un collegamento tra l’attentato incendiario e la prossimità della villa di Michele Greco non era stato operato neppure da Lucio Galluzzo, il quale, dopo avere acquistato la propria villa, era venuto a conoscenza del fatto che nella stessa strada, a circa 90 m. di distanza, vi era la villa di Salvatore Greco, fratello di Michele Greco (cfr. il verbale di assunzione di informazioni rese dal Galluzzo al Pubblico Ministero in data 14 aprile 1998; sul punto, occorre precisare che anche Salvatore Greco e il suo nucleo familiare hanno avuto la disponibilità di ville in Via Stazzone a Casteldaccia, come emerge dagli accertamenti della D.I.A. depositati il 17 gennaio 1997). Il Galluzzo si era limitato a riferire, in modo del tutto occasionale, al collega Francesco La Licata, in una circostanza in cui quest’ultimo si era recato nella sua abitazione di Casteldaccia, “che nello stesso vialetto di accesso alla sua erano situate le ville di Greco Michele e di Greco Salvatore” (al riguardo, il La Licata ha specificato, nel verbale di assunzione di informazioni del 26 febbraio 1997: “lo stesso mi disse, quasi come un paradosso, che aveva come vicini di casa i Greco. Dal modo in cui mi venne riferito, ebbi l’impressione che il Galluzzo ne fosse venuto a conoscenza solo dopo avere acquistato la villa”).
Si trattava, dunque, di particolari che rivestivano interesse esclusivamente per coloro che, all’interno dell’organizzazione mafiosa, erano in grado di cogliere la specifica funzione intimidatoria dell’episodio, inquadrato nella emergente ed aggressiva strategia criminale dei “corleonesi”.
Numerosi riferimenti compiuti dal Pennino trovano puntuale riscontro nelle indagini espletate.
Nel capitolo IV si è avuto modo di constatare come diversi articoli pubblicati da Mario Francese sul "Giornale di Sicilia" evidenziassero gli interessi dei “corleonesi” nella diga Garcia e mettessero in risalto la figura del Riina.
Dal verbale di assunzione di informazioni rese in data 8 gennaio 1997 dal Generale Antonio Subranni (il cui contenuto essenziale è stato riportato nel capitolo IV) si desume che lo stesso ufficiale diresse le indagini sull’omicidio del colonnello Russo, le quali si indirizzarono prevalentemente sugli enormi interessi ruotanti attorno alla diga Garcia e facenti capo ai “corleonesi”; che Mario Francese era costantemente vicino agli organi investigativi e cercava continuamente un confronto con lo stesso Subranni per verificare l’esattezza delle informazioni da lui acquisite sulla diga Garcia; e che l’ufficiale tenne conto, per la redazione di una parte dei rapporti giudiziari da lui redatti, di alcuni articoli di stampa scritti da Mario Francese sui lavori della diga Garcia, trattandosi di materiale particolarmente interessante.
Il Generale Subranni è tornato sull’argomento nel verbale di sommarie informazioni testimoniali rese al Pubblico Ministero in data 22 aprile 2000, in cui ha riferito quanto segue: “quanto a Mario Francese, lui sulla diga Garcia faceva indagini personali, e giungeva a volte quasi in anticipo rispetto alle nostre conclusioni. Era, insomma, un grande cronista. Mario Francese è stato di una limpidezza morale fuori dal comune. Lui attingeva notizie da sue proprie fonti e parlava senza paura di quello che apprendeva. Aveva notizie quasi contestuali alle mie. Lui era convinto che i corleonesi avessero messo le mani sui grossi lavori della diga. Si parlava di circa 50 miliardi di lavori. Più altri miliardi per lavori connessi alla diga. E le notizie che apprendeva erano sostanzialmente concordi con quanto io appuravo. Io capivo che Francese per questo suo modo di fare correva seri pericoli, ma lui non mi dava retta quando avevo occasione di raccomandargli prudenza, in quanto non si curava della sua sicurezza. Francese aveva senz’altro capito i mutamenti all’interno di Cosa Nostra, e soprattutto l’importanza che stava assumendo la componente corleonese nell’ambito di Cosa Nostra. Forse la stessa vicinanza con me ed il colonnello Russo può averlo aiutato ad intuire l’importanza delle vicende di Cosa Nostra di quel periodo”.
Alla luce delle indicazioni fornite dal Subranni, appare quindi perfettamente logico che Salvatore Riina ed i “corleonesi” abbiano visto nell’attività del giornalista un rilevante pericolo, per l’attenzione che essa suscitava sui loro enormi interessi economici connessi alla costruzione della diga Garcia e sulla stessa figura del Riina.
Sulla base degli elementi di convincimento raccolti, il risentimento manifestato dal Riina appare come il frutto di una distorta interpretazione dei fatti, dato che, da un lato, è stata unanimemente riconosciuta l’assoluta correttezza professionale e l’indiscussa limpidezza morale di Mario Francese, e, dall’altro, non vi è prova di illeciti interventi posti in essere dagli editori del "Giornale di Sicilia" in favore di esponenti mafiosi.
La deformata visione elaborata dal Riina traeva, tuttavia, spunto da contatti che erano intercorsi effettivamente tra Federico Ardizzone e Michele Greco, in un periodo in cui non era divenuta di pubblico dominio l’appartenenza di quest’ultimo a "Cosa Nostra". Al riguardo, il giornalista Francesco La Licata, nel verbale di assunzione di informazioni del 19 febbraio 1997, ha riferito quanto segue: «Era risaputo che il Commendator Federico Ardizzone era molto amico di Michele GRECO il papa. Io stesso ho visto una foto, che esisteva certamente nell’archivio del Giornale sino a quando non si è cominciato a parlare di Michele Greco come di un mafioso, riproducente Federico Ardizzone in compagnia di Michele Greco e di una terza persona che, se non ricordo male, era il barone Cammarata. In quella foto i tre erano con dei fucili ed è pertanto possibile che si trovassero al Circolo del Tiro a Volo dell’Addaura, che ho poi saputo come un luogo frequentato appunto dall’Ardizzone, da Michele Greco e da numerosi altri notabili palermitani ed uomini d’onore. (…) Ho detto che quella foto “esisteva” presso l’archivio del Giornale perché ho ragione di ritenere che non sia più conservata. Intanto devo dire che proprio quella foto è stata ritagliata, togliendo le figure di Ardizzone e degli altri, in occasione di una pubblicazione della sola immagine di Michele Greco nel periodo della celebrazione del c.d. maxi processo o in epoca precedente, e cioè durante l’inchiesta. E’ accaduto inoltre, e più di una volta, che si siano “smarrite” le foto segnaletiche di Michele GRECO, e ciò posso dire perché sono stato io a cercarle per la pubblicazione e a non trovarle, pur sapendo che le foto erano in archivio». [...].
Poi arriva Totuccio Contorno
Significative conferme ad alcuni profili delle dichiarazioni rese dal Pennino sono stati offerti da uno dei primi esponenti mafiosi che hanno scelto di collaborare con la giustizia, Salvatore Contorno, il quale nell’interrogatorio del 2 giugno 1998 ha riferito quanto segue:
Domanda: Ha mai sentito parlare dell’omicidio del giornalista FRANCESE Mario, commesso nel gennaio del 1979?
Risposta: Nulla so dell’omicidio, anche perchè ero da poco rientrato dal soggiorno obbligato nel Veneto. Ho sentito però parlare di lui, come di un giornalista del Giornale di Sicilia che si occupava di nera, e cioè del settore della cronaca cui è sempre stata interessata Cosa Nostra.
Domanda: Cosa ha sentito dire sul conto di FRANCESE Mario, e da chi in particolare?
Risposta: Non piaceva il modo di lavorare del FRANCESE, che parlava sempre della mafia, attaccandola. Ne ho sentito parlare dal mio capo famiglia e capo mandamento Stefano BONTATE, da altri uomini d’onore della mia stessa famiglia, e da Masino SPADARO, che era sempre insieme al BONTATE. Stefano BONTATE sapeva sempre tutto in anticipo sul Giornale di Sicilia, proprio perchè lo SPADARO “abitava proprio lì e perciò portava le notizie”. C’era comunque un altro giornalista che ci portava le notizie, Pippo MONTAPERTO, che era amico di Stefano BONTATE e anche di Mimmo TERESI. Un altro che portava notizie era il dott. PASSANTINO, che era stato “raccomandato” da Michele GRECO per un terreno che aveva acquistato a Ciaculli. La “raccomandazione” di Michele GRECO era servita non solo per consentire al PASSANTINO di acquistare quel terreno situato nel territorio mafioso di Ciaculli, ma anche per non fargli pagare nulla. In tal modo, come preciso meglio in sede di verbalizzazione, è evidente che “eravamo sempre aggiornati” perchè, se le notizie le aveva Michele GRECO tramite il PASSANTINO, il GRECO le riferiva immediatamente al BONTATE, e se invece era il BONTATE ad avere le notizie, tramite i suoi canali, e cioè tramite lo SPADARO o tramite il MONTAPERTO, il BONTATE le riferiva a Michele GRECO.
In sede di verbalizzazione viene posta la seguente domanda: In che modo è a conoscenza del fatto che il PASSANTINO non pagava nulla a Michele GRECO?
Risposta: Perchè la proprietà di quel terreno era di un tale Gioacchino PENNINO, che non pagava nulla perchè “era persona che interessava al GRECO”, come lo stesso aveva fatto sapere. Neppure io ho mai pagato qualcosa a Michele GRECO per una proprietà che avevo nel suo territorio e che, essendo stata intestata ad un prestanome scelto per me da Michele GRECO, prestanome che era un parente dello stesso GRECO, Francesco FERRARA, non è mai risultata a mio nome, e mi è stata anzi “sottratta” da Vincenzo PUCCIO e dai suoi fratelli ed altri parenti, quali ad esempio LUCCHESE Giuseppe. Quella proprietà credo sia oggi intestata ancora a tale LO IACONO Giuseppe, cugino dei PUCCIO. Io non pagavo nulla perchè ero un uomo d’onore.
[...] Il Montaperto, nel verbale di assunzione di informazioni del 9 aprile 1998, ha ammesso di avere avuto rapporti con Stefano Bontate e con Girolamo Teresi, [...]. Nel medesimo verbale, il Montaperto ha precisato: «Masino SPADARO - che era allora un noto contrabbandiere ed “il Re della Kalsa”, quartiere dove appunto aveva ed ha tuttora sede il Giornale di Sicilia - ha in proprietà due appartamenti di civile abitazione proprio nello stabile ove ha sede il Giornale di Sicilia e dove hanno abitato, sino ad una diecina di anni fa, gli ARDIZZONE. Anche Masino SPADARO ha abitato con la moglie, prima di essere arrestato, in uno di quegli appartamenti e credo che alcuni suoi familiari vi abitino tuttora».
Sull’acquisto, da parte di Tommaso Spataro, degli appartamenti ubicati nello stesso stabile in cui ha sede il "Giornale di Sicilia", il Montaperto ha aggiunto che l’esponente mafioso iniziò ad abitare nell’edificio sin dal momento della sua realizzazione, ed ha fornito le seguenti spiegazioni: «Chi si occupò degli acquisti e delle vendite in quell’operazione fu l’allora Direttore amministrativo Giovan Battista PASSANTINO, ora deceduto, il quale si occupò anche dell’acquisto, da potere di una baronessa siciliana della quale adesso non ricordo il nome, dell’antica palazzina esistente ove è stato poi costruito l’edificio di Via Lincoln. Si sapeva che il PASSANTINO aveva condotto le trattative con degli intermediari, non meglio identificati perché credo non se ne sia mai parlato. E’ possibile che una mediazione sia stata imposta, e poiché il PASSANTINO aveva la possibilità di trattare in prima persona, può darsi che gli ARDIZZONE non ne abbiano saputo nulla. Non so comunque come mai lo SPADARO pensò di acquistare quegli appartamenti. Forse perché per lui, che abitava in una vecchia casa nelle immediate vicinanze, costituiva un salto di qualità».
La circostanza che sia stato il Passantino a vendere allo Spadaro l’appartamento in cui quest’ultimo abitava, è stata confermata dal Direttore del "Giornale di Sicilia", Antonio Ardizzone, il quale nel verbale di assunzione di informazioni del 25 giugno 1998 ha dichiarato: “l’immobile sede del Giornale di Sicilia fu ultimato all’incirca verso la fine dell’anno 1967 da una impresa di costruzioni di Treviso appartenente alla famiglia Pirri Ardizzone; subito dopo fu iniziata la vendita degli appartamenti realizzati e destinati a civile abitazione; preciso che il giornale occupava lo stabile fino al terzo piano escluso, piano da cui partiva una loggia che immetteva in due scale con rispettivi ascensori che accedevano ai suddetti appartamenti. La vendita degli immobili ricordo che fu curata dal direttore amministrativo dell’azienda dr. Giovan Battista Passantino. Personalmente acquistai parte dell’ottavo piano e tutto il nono piano; tra gli altri acquirenti ricordo che vi fu anche mio cugino Piero Pirri Ardizzone, il suddetto dr. Passantino, il fratello di lui Simone Passantino e circa lo Spadaro Tommaso ricordo che, per quanto a mia conoscenza, l’acquisto dell’immobile fu effettuato dalla moglie Sampino, di cui non ricordo il nome. Conosco tale circostanza, in quanto, in occasione dell’arresto dello Spadaro, effettuammo le verifiche per capire chi avesse acquistato l’appartamento. Ho conosciuto lo Spadaro Tommaso esclusivamente perché frequentavo lo stesso barbiere ubicato accanto all’attuale bar Rosa Nero adiacente allo stabile del giornale. Al di là di tale conoscenza occasionale, non ho mai avuto altri rapporti né con lo Spadaro né con i suoi familiari”.
Gli accertamenti compiuti dalla D.I.A. evidenziano la residenza di Tommaso Spadaro e dei suoi familiari nello stabile di civile abitazione sito a Palermo in Via Lincoln n. 19, che costituisce corpo unico con l’edificio in cui ha sede il "Giornale di Sicilia", avente ingresso dal n. 21 (cfr. la nota depositata il 30 aprile 1998).
La sentenza in questione è quella della Corte di Assise di Palermo, presidente Leonardo Guarnotta, contro Salvatore Riina +9.
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