- Massimo Cacciari ha posto alcune domande in punto di diritto, cui si prova a rispondere. Innanzitutto, l’uso domestico del “green pass” non contrasta con il regolamento sulla certificazione Covid Ue, ricadendo nella legislazione nazionale.
- Il «rispetto della persona umana» comporta, tra le altre cose, che un obbligo vaccinale sia diretto preservare non solo lo stato di salute degli altri, ma anche di chi vi è assoggettato. La scienza attesta che il vaccino tutela la salute sia individuale sia collettiva, e ciò consente di rispettare il dettato costituzionale.
- Non può pretendersi l’assoluta assenza di rischi, che vanno bilanciati con i benefici, in base alla «migliore scienza disponibile». Si concorda con Cacciari sulla scarsa trasparenza istituzionale circa le decisioni: così il vuoto comunicativo è riempito dal caos di altre voci.
Qualche giorno fa, Massimo Cacciari ha posto alcune domande in punto di diritto su vaccini e “green pass”. Si prova qui a rispondere ai dubbi del professore, che sono forse quelli anche di altre persone. Cacciari chiede se il “green pass” nazionale non contrasti con il regolamento sulla certificazione digitale Covid dell'Unione europea (n. 2021/953), che vieta ogni forma di discriminazione.
La stessa domanda è stata rivolta alla Commissione europea da un euro-parlamentare, esponente della Lega, Antonio Maria Rinaldi, il quale ha rilevato il rischio di discriminazione insito nella norma che, in Italia, condiziona al possesso del “green pass” «l’accesso ai servizi di ristorazione al chiuso, spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportive, musei e tante altre attività culturali e ludiche» (d.l. n. 105/2021).
La Commissione ha risposto che la certificazione europea «mira a facilitare i viaggi all'interno dell'Ue», ma gli Stati membri possono «adottare un sistema di certificati Covid-19 a fini nazionali». Tuttavia, il cosiddetto uso domestico del “green pass” ricade nella disciplina di ogni paese, fatta salva la conformità «alla normativa dell'Unione in materia di protezione di dati e ai principi di efficacia, necessità e proporzionalità».
Quindi, non può invocarsi il Regolamento Ue per dimostrare l’illegittimità della norma citata.
Il rispetto della persona umana
Cacciari ha richiamato il «rispetto della persona umana», condizione per l’imposizione di trattamenti sanitari. Questa “clausola” (articolo 32 della Costituzione) va intesa, innanzitutto, nel senso che un trattamento sanitario obbligatorio, per essere costituzionalmente legittimo, deve avere come finalità la tutela della salute non solo della collettività, ma anche del soggetto sottoposto al trattamento.
La Consulta ha affermato che «il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria» (sentenza n. 307/1990): «nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri» (sentenza n. 118/1996).
Pertanto, la vaccinazione non deve comportare conseguenze negative per la salute di chi vi è obbligato, salvo quelle «normali e, pertanto, tollerabili»; inoltre, nell'ipotesi di comprovate lesioni ulteriori da vaccino, dev’essere prevista «una equa indennità» a favore del danneggiato (sentenza n. 5/2018).
L’interesse sanitario individuale e quello collettivo vanno bilanciati, in conformità ai principi indicati che, tra gli altri, garantiscono la legittimità di un obbligo vaccinale.
La clausola del «rispetto della persona umana» esclude anche l’imposizione di trattamenti sanitari con fini, ad esempio, eugenetici o di sperimentazione, rendendo così la persona strumento di ricerca scientifica o di perseguimento di interessi estranei alla stessa.
I rischi dei vaccini
Cacciari solleva anche un tema di insufficiente conoscenza degli effetti dei vaccini. Al riguardo, nel 1994 la Corte costituzionale (sentenza n. 258) aveva giudicato necessario che fossero definite con quanta più precisione le complicanze «derivabili dalla vaccinazione».
Tuttavia, «per evitare che la prescrizione indiscriminata e generalizzata di tutti gli accertamenti preventivi possibili, per tutte le complicanze ipotizzabili e nei confronti di tutte le persone» da vaccinare, rendesse «estremamente complicata e difficoltosa la concreta realizzabilità» delle somministrazioni, la Consulta aveva richiesto di «fissare standards di fattibilità», nonché «criteri selettivi in ordine alla utilità – apprezzata anche in termini statistici – di eseguire gli accertamenti in questione».
A distanza di più di vent’anni, «l’evoluzione scientifica, da un lato, ha consentito di raggiungere un livello di sicurezza vaccinale elevatissimo, non paragonabile a quello del 1994; dall’altro, ha dimostrato l’impossibilità di predire gli effetti collaterali della vaccinazione sui singoli».
Per eventuali controindicazioni va fatto, pertanto, riferimento a quanto indicato «nelle note tecniche e nelle circolari esplicative» (Corte costituzionale, sentenza n. 5/2018).
Comunque, non può pretendersi l’assoluta assenza di rischi: il decisore pubblico deve «prediligere, tra quelle possibili, la soluzione che bilancia meglio la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei benefici», con l’individuazione di «una soglia di pericolo accettabile», sulla base della «migliore scienza disponibile» (Consiglio di Stato, parere n. 2065/2017), e ferma restando la possibilità di indennizzo, come detto.
Al riguardo, va pure chiarito che i vaccini anti-Covid non sono “sperimentali”, ma soddisfano «i rigorosi standard UE su sicurezza, efficacia e qualità»: l’autorizzazione condizionata da parte dell’agenzia europea del farmaco (Ema) è «a tutti gli effetti un’autorizzazione formale» (Istituto Superiore di Sanità). Tant’è che il vaccino è già obbligatorio per i sanitari.
Lo stato di emergenza
Cacciari chiede che «vengano indicati con chiarezza i criteri in base ai quali verrà posto fine allo “stato di emergenza”, e ha ragione. Più volte su queste pagine è stato ribadito, a partire da luglio 2020, che le proroghe appaiono infondate.
Per restare in “emergenza” dovrebbe dimostrarsi che sta “emergendo” una situazione inattesa o che può avere un’evoluzione inattesa, sì da richiedere «immediatezza d'intervento», come sancito dal Codice della Protezione Civile (d.lgs. n. 1/2018).
Lo stato di emergenza non è stato di prevenzione, altrimenti l’emergenza dovrebbe essere permanente; e non è nemmeno sinonimo di urgenza, per esempio di concludere le vaccinazioni, altrimenti in Italia, ove si rincorrono sempre riforme e altro, lo stato emergenziale coinciderebbe con quello ordinario.
I vaccinati e l’infezione da Covid-19
Cacciari rileva, tra le altre cose, che i vaccinati possono infettarsi e infettare, come talora accade. Ma quest’osservazione non inficia l’obbligo di “green pass”, né quello di vaccino.
La Costituzione richiede che la libertà del singolo vada contemperata con l’interesse della collettività alla salute. Se, secondo molti scienziati, l’aggressività del Sars-Cov-2, la sua capacità di mutare e altri fattori impediscono l’azzeramento della circolazione del virus, quindi il raggiungimento dell’immunità di gregge, tuttavia sembra ormai indubbio che il vaccino riduca il rischio di morte e malattia grave, quindi di ricovero per Covid.
La riduzione delle ospedalizzazioni comporta un beneficio per tutti poiché, limitando la pressione sulle strutture sanitarie, amplia la possibilità di assistere ammalati di altre patologie. Così il dettato costituzionale è rispettato.
Trasparenza
Quanto alla necessità di trasparenza, rilevata da Cacciari, su queste pagine si è scritto più volte che la sua mancanza determina un vuoto sul piano del diritto, e non solo della comunicazione.
Una chiara e completa informazione istituzionale – cosa diversa da sintetiche conferenze stampa - dovrebbe spiegare le misure adottate sulla base dei principi giuridici di proporzionalità, necessarietà e adeguatezza, argini posti dall’ordinamento alla compressione di diritti.
Il modo per dimostrare il rispetto di tali principi, in presenza di provvedimenti che riducono libertà personali, è la trasparenza di dati e analisi, anche mediante comparazione di effetti tra misure diverse ed evidenze emerse in altri paesi.
Così può comprovarsi che le restrizioni non limitano ingiustificatamente la sfera dei singoli, ma sono proporzionate al rischio.
Altrimenti, resta carente la motivazione delle decisioni, quindi la possibilità di una loro valutazione, ex ante ed ex post.
Peraltro, quando manca una buona comunicazione istituzionale sui criteri decisionali, mediante il supporto di dati chiari e dettagliati, tale mancanza è riempita dal caos di altre voci, sui giornali e nei talk show.
Le istanze di trasparenza sono state trascurate sin dall’inizio della pandemia. Chissà se la richiesta di Cacciari riuscirà a indurre maggiore attenzione sul tema.
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