Domani può svelare la ricomposizione di una batteria criminale che le forze dell’ordine inutilmente avevano diviso con gli arresti. Si trovano tutti nella stessa comunità per «affrancamento dalla tossicodipendenza». Tutto è deciso dall’autorità giudiziaria contro il parere della procura di Roma
Ci sono un criminale romano, un narcos albanese e due picchiatori. Non è l’inizio di una barzelletta, ma di una storia che racconta i livelli di impunità della malavita nel nostro paese. In questo momento si trovano tutti e quattro in una comoda e confortevole comunità di recupero lontano da Roma. Per ricostruire questa ennesima pagina di crimine e malavita bisogna andare a Nola, in provincia di Napoli. A unire la città eterna e il comune napoletano non è solo Giordano Bruno, l’eretico che morì sul rogo per non aver abiurato, arso vivo per volere della santa inquisizione, nel 1600. Un ponte di collegamento è il crimine, quello dei narcos e dei picchiatori, che ha trovato in terra bruniana l’eldorado, la nuova vita lontana dal Lazio, da Roma e da luoghi ormai diventati ostili. Lì, in una comunità per recupero di tossicodipendenti, hanno ricominciato. Tutto in ossequio alla legge e nel rispetto della norma, ma l’incrocio nello stesso posto di antichi sodali è meritevole di attenzione.
Domani può svelare la ricomposizione di una batteria che le forze dell’ordine inutilmente avevano diviso con retate e arresti. La procura capitolina, di recente, ha chiesto il rinvio a giudizio di un medico, perché con false certificazioni avrebbe favorito alcuni criminali, a processo potrebbero finire anche un carabiniere e un uomo legato alla banda della Magliana. Sono storie che non si incrociano, ma la colonia nolana conferma quanto diffusa sia la detenzione lontana dal carcere e, addirittura, quanto sia semplice ritrovarsi in una confortevole struttura con vecchi amici. E che amici: broker della coca, picchiatori, trafficanti di stupefacenti.
Vecchi amici
Il primo ospite uscito dalla detenzione e finito in comunità, per problemi di tossicodipendenza, si chiama Kevin Di Napoli, un passato da picchiatore nella banda di Fabrizio Piscitelli, il boss ucciso il 7 agosto 2019 nel parco degli acquedotti a Roma. Di Napoli frequenta una comunità per tossicodipendenti, si chiama San Pio, in base a una decisione assunta dalla corte d’Appello di Roma. Domani si è occupato di lui perché con una foto ha rivendicato l’amicizia con Fabrizio Corona che è andato a trovarlo proprio a Nola. Nella batteria guidata da Diabolik, l’amico dell’ex paparazzo faceva il picchiatore, convinceva con le maniere forti chi non si piegava ai voleri della banda criminale. Ha una condanna per lesioni personali e diverse inchieste a carico, la principale è raccordo criminale, nella quale inizialmente rispondeva di reati aggravati dalla modalità mafiosa, caduta nei pronunciamenti dei giudici. Attualmente non c’è una sentenza definitiva, si attende la rideterminazione della pena da parte della suprema Corte.
Il broker della droga
Di Napoli è in comunità dove ha ritrovato un vecchio conoscente, un broker della droga che è stato coinvolto in diverse inchieste, l’Italia ha speso soldi, tempo ed energia prima per arrestarlo e poi per chiederne l’estradizione. Secondo i documenti che accompagnano il suo curriculum, Dorian Petoku ha una dipendenza ed è incompatibile con il carcere, decisione assunta contro il parere della procura di Roma. Petoku è stato amico di Piscitelli, tramite quest’ultimo ha conosciuto Salvatore Casamonica. Insieme sono stati coinvolti nella grande operazione, ribattezzata Brasile low cost, volevano importare sette tonnellate di cocaina in Italia riempendo i borsoni di una squadra di calcio giovanile.
La procura di Roma, pm Giovanni Musarò, e i finanzieri, guidati dall’allora comandante del gruppo antidroga, Stilian Cortese, e dal comandante del nucleo economico finanziario Marco Sorrentino, avevano portato a termine una delle inchieste più delicate degli ultimi anni grazie all’uso di agenti sotto copertura e di un infiltrato, ribattezzato il francese. Dopo anni di richieste e libertà in Albania le autorità italiane avevano ottenuto l’estradizione di Petoku, poi condannato a 12 anni e trasferito in comunità prima a Morlupo e ora a Nola, nella struttura dove ha ritrovato Di Napoli. Petoku è cugino di Arben Zogu, detto Riccardino, con buone amicizie nella ‘ndrangheta che conta, aveva diviso le ore in cella con un rampollo della famiglia Bellocco.
A lui la curva nord degli irriducibili, guidata da Piscitelli, dedicava ogni domenica uno striscione allo stadio per ricordarne ruolo e potere. Zogu fa ancora il re in Albania nonostante le indagini, Petoku si accontenta di una comunità in Italia e ha ritrovato i vecchi amici. In una foto, pubblicata sui social, ci sono Di Napoli, Petoku e un’altra conoscenza del crimine romano, Simone Ciotoli. Faceva parte della banda di Andrea Buonomo, detto il profeta, vicinissimo a Diabolik e agli albanesi. Negli ambienti criminali lo chiamano il gambero.
Era stato coinvolto anche in un’altra indagine per una storia legata a una piazza di spaccio, a botte, a un centro scommesse con la solita dose di violenza per recuperare i crediti. Non solo. Il nome gambero, che per qualche tempo è stato latitante in Spagna, è spuntato anche nella vicenda del ferimento di Davide Centi, una vittima innocente della violenza criminale, raggiunto per errore dai proiettili nel quartiere Tufello, che ha riportato conseguenze gravissime. La storia di Centi racconta perfettamente Roma, la città capitale del crimine nel silenzio generale. Ciotoli, Petoku e Di Napoli ora sono tutti insieme in comunità e sorridenti in foto. Quella dei criminali romani è veramente una vita difficile, una dipendenza e scatta il riposo in struttura.
Dalle parti di San Pio c’è un altro amico della banda Diabolik, un altro picchiatore albanese, Yuri Shelever, che si trova anche lui ristretto nella confortevole struttura nolana che ha sedi anche nel resto della Campania. La comunità opera rispettando le leggi dello stato, i provvedimenti che trasferiscono nelle strutture i criminali sono assunti dall’autorità giudiziaria che accoglie le richieste di «affrancamento dalla tossicodipendenza» depositate dai professionisti. Le forze dell'ordine passano giorni e notti per produrre informative, i magistrati chiedono le misure, i giudici le accordano e poi arriva la scoperta della dipendenza. E i boss ringraziano.
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