Negli ultimi trent’anni, il calcio polacco ha portato solo tre volte una propria squadra ai gironi di Champions League. Storia di una squadra che nella sua storia ha avuto due presidenti e due giocatori nei campi di concentramento nazisti
Fede, martirio e resistenza. Se un pugno di parole potesse riassumere la storia polacca, queste tre ne farebbero sicuramente parte. Lì dove religione e politica s’intrecciano, per diventare una cosa sola nel cuore di un popolo che per tradizione è consapevole di come difendere le proprie radici significhi difendere la propria esistenza, sopravvivere per non scomparire.
Un mantra che narra le vicende centenarie del Raków, la squadra di calcio di Częstochowa, conosciuta come capitale della corona di Polonia e, soprattutto, per il santuario di Jasna Gora, dove è custodita la famosa Vergine Nera, un’icona medievale di Madonna col Bambino che attira quattro milioni di pellegrini ogni anno.
È fede anche quella con cui i tifosi del club rossoblù, fresco campione di Polonia, sperano che la squadra scriva un nuovo capitolo della propria storia, qualificandosi ai gironi di Champions League: l’ultimo ostacolo da domani è rappresentato dai danesi del Copenaghen.
Il Raków, nelle ultime tre stagioni, ha vinto due supercoppe, due coppe di Polonia e il campionato (l’Ekstraklasa) e questa è la sua terza partecipazione consecutiva alle coppe europee. Ha sempre perso gli spareggi di Conference League, ma la crescita di questo club, che si ispira all’Atalanta come modello gestionale, tecnico e sportivo, non si fermerà comunque, come non si è fermata in momenti ben più difficili.
La storia
Fondato nel 1921 (altre fonti dicono 1920) ha conosciuto fallimenti e rinascite, risorgendo dalle proprie ceneri. Nel 1925 come squadra del Partito socialista polacco e di un consorzio delle acciaierie locali non si registra alla federcalcio, ripartendo due anni dopo come Club sportivo degli operai, radici che non lo aiuteranno durante l’occupazione tedesca.
Costretto a sciogliersi, due presidenti e due giocatori finiranno nei campi di concentramento, mentre Józef Trauc, nella hall of fame del club, fu sorpreso dai tedeschi mentre cercava di ricreare clandestinamente la squadra: le ferite riportate al ginocchio, nonostante due interventi chirurgici, lo resero disabile per la vita. Tutta la comunità ha pagato un prezzo altissimo all’occupazione nazista. Częstochowa era uno dei centri storici della presenza ebraica nell’Europa dell’Est sin dal XVIII secolo. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale vivevano in città 28.500 ebrei, su una popolazione di 135.000 abitanti. Le truppe tedesche entrarono in città domenica 3 settembre 1939. Le due sinagoghe monumentali furono distrutte e l’intera popolazione ebraica fu rinchiusa nel ghetto, sfruttata con il lavoro coatto e massacrata nel campo di sterminio di Treblinka.
All’arrivo delle truppe sovietiche – il 17 gennaio 1945 – solo 1.500 erano sopravvissuti, per la maggior parte emigrarono.
Il club riparte allora grazie a Władysław Pachołek, Józef Baranowski, Jan Łoboda e Franciszek Ślęzak, sostenuto finanziariamente dalla Huta Częstochowa, consorzio agroindustriale locale, come Associazione sportiva Stal Raków con le sezioni di boxe, scacchi, tennis da tavolo e pallavolo maschile, alle quali, nel tempo, si aggiungeranno quelle di basket femminile, basket maschile, atletica leggera e pallamano femminile. Il calcio, invece, deve attendere il 1949 e su iniziativa di Marian Zdunkiewicz venne creato il comitato sociale per la costruzione dello stadio, completato il 22 luglio 1955. Il Raków arriva per la prima volta nella serie A polacca nel 1994, ma una successione di retrocessioni lo manderanno presto in quarta serie.
Il rilancio
Quando sembrava ormai destinato all’anonimato, ecco l’accelerata improvvisa e decisiva. Nel 2015 il club è acquistato da Michał Świerczewski, nato e cresciuto a Częstochowa, appassionato di calcio e considerato uno degli uomini più ricchi d’Europa grazie a X-Kom, catena di negozi di apparecchi elettronici leader in Polonia. Questi affida i giocatori alle cure di Marek Papszun, grande conoscitore delle serie inferiori, con il quale costruisce una squadra capace di tornare in Ekstraklasa nel 2019, venticinque anni dopo la prima storica promozione, per poi vincere cinque trofei nel giro di tre stagioni con altrettante qualificazioni alle coppe europee.
Dopo la vittoria del campionato, al posto di Papszun sulla panchina rossoblù si è seduto Dawid Szwarga, fedele e preparato assistente in questi anni d’oro.
Il resto è frutto di un’organizzazione moderna, della separazione aziendale dei ruoli in società, di uno scouting attento e di una politica economica votata alla sostenibilità, grazie alle plusvalenze – se si può ancora usare questa parola –, mentre sono già in cantiere il nuovo stadio da 15mila spettatori, al posto dell’attuale impianto municipale che ne contiene 5.550, e l’Academy per il settore giovanile. Il direttore sportivo, Pawel Tomczyk, ha dichiarato che uno dei modelli seguiti è quello dell’Atalanta di Percassi.
Certo non sarà facile per il Raków di Częstochowa, attualmente quinto in campionato, a meno tre dal Legia Varsavia, con due vittorie, un pareggio e una sconfitta, perché si sa, vincere è difficile, ma confermarsi ancora di più. Una partenza accidentata a causa delle energie buttate senza risparmio nei preliminari di Champions League, un traguardo, quello dei gironi, che dista solamente due partite.
Più di un tifoso, a dispetto di una crescita aziendale prim’ancora che sportiva, si affiderà alla Vergine Nera. Si dice che sia stata dipinta da San Luca e che quello sia il vero volto della Madonna. Sfregiata da un hussita nel XV secolo, la Vergine sanguinò divenendo il simbolo di un’intera nazione, tanto che i re polacchi le rendevano omaggio dopo ogni incoronazione. Terra di miracoli, Częstochowa.
Ha attraversato la storia tra guerre, occupazioni e martirii, senza perdere la fede. Świerczewski dice: «Non ho mai avuto talento per lo sport, ma ho compensato i miei deficit con la forza del carattere. Amo gareggiare ma ancora di più vincere». Vincere per continuare a credere nei miracoli, sportivi.
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