Gli ospedali hanno bisogno di migliaia di professionisti e molti pronto soccorso sono chiusi. Le liste d’attesa per gli esami arrivano al 2025 e aumentano i posti letto gestiti dai privati
Le parole di Gino Strada sul sogno di gestire l’ospedale a Cariati, in provincia di Cosenza, suonano come una profezia: «È più facile aprire un ospedale a Kabul che in Calabria».
Strada non sbagliava: mancano almeno 2.500 professionisti negli ospedali, molti pronto soccorso sono chiusi e le liste d’attesa per esami diagnostici e strumentali superano il 2025 e sono chiusi o depotenziati anche consultori pubblici familiari e presidi di bassa intensità.
La Calabria, inoltre, è ai primi posti per numero di posti letto nel privato secondo i dati emersi dall’ultima edizione dell’Annuario statistico del Servizio Sanitario Nazionale (Ssn). Secondo l’ultimo report della Uil Calabria presentato a Catanzaro, la sanità pubblica della Calabria, dopo 14 anni di commissariamento, «sta peggio di prima, nonostante il budget assegnato al comparto ammonti a quasi quattro miliardi, per la precisione 3,391 miliardi».
Ospedali chiusi
Santo Gioffrè, medico in pensione ora scrittore, è stato commissario dell’Asp (Azienda sanitaria provinciale) di Reggio Calabria nel 2015, prima di scoprire e denunciare pubblicamente la mancata contabilità delle Asp e sventando il doppio pagamento di una fattura da sei milioni di euro alla clinica “Villa Aurora”, denunciando tutto in procura: «Non esistendo contabilità per un sistema distorto appositamente combinato, per anni le ditte facevano incursioni per farsi pagare più volte le fatture, creando un buco enorme». La Calabria, per Gioffrè, «è in mano alla sanità privata, non abbiamo più sanità pubblica territoriale.
La gente rinuncia a curarsi e la regione Calabria paga ogni anno milioni di euro alle regioni del nord per far curare i propri cittadini, anche per cure oncologiche, e abbiamo il paradosso che non riusciamo a uscire dal piano di rientro perché non abbiamo una contabilità stabilizzata. Sul territorio non abbiamo sanità, perché con il piano di rientro sono state bloccate anche le assunzioni».
Non ci sono medici e quelli che c’erano stanno andando in pensione, sopperiti dai 300 medici cubani che stanno lavorando all’interno dei Pronto soccorso e degli ospedali della zona. I grandi ospedali sono declassificati e gli interventi complessi, le terapie oncologiche e i farmaci sperimentali, sono ormai un retaggio.
Comitati cittadini
Mimmo Formaro, del comitato Le Lampare, si batte in consiglio comunale a Cariati, insieme ad altri colleghi dell’opposizione, per la sanità pubblica dell’area del basso Jonio cosentino. Dopo la chiusura di 18 ospedali in Calabria, il comitato aveva occupato per diversi mesi un’ala dismessa dell’ospedale Vittorio Cosentino di Cariati, per denunciare il disinvestimento pubblico nelle strutture di punto di primo intervento.
Ad oggi, grazie a quei mesi di lotta del comitato, sono iniziati i lavori anche per il pronto soccorso, anche se procedono molto a rilento e con mancate risposte da parte di Asp Cosenza sulla data della fine dei lavori. Formaro afferma che «già prima del Covid la Calabria risultava tra le ultime in Europa in termini di accesso alla sanità pubblica.
Il Covid ha smascherato il depauperamento della sanità pubblica, che qui si avverte ancora di più». Anche per lui le risorse si stanno spostando sempre più verso i privati, le strutture e i servizi chiusi non sono mai stati sostituiti: «Non si è fatto altro che svuotare il servizio sanitario pubblico». Lo confermano anche i dati dei sindacati. Per la Uil, il bilancio dei medici in fuga è altissimo: «Almeno 450 medici andranno all’estero».
La situazione è insostenibile anche per i cittadini che denunciano di non avere più servizi e a questo si aggiunge il problema della migrazione sanitaria che, in questi anni, a livello economico ha sforato la soglia dei 200 milioni di euro: il 43 per cento dei pazienti, infatti, si rivolge a strutture sanitarie di regioni non confinanti.
A partire dalla rete ospedaliera fino alla medicina territoriale, l’offerta pubblica è molto carente e, nelle aree interne, si chiudono guardie mediche, gli ospedali sono depauperati, mancano medici e infermieri, non c’è una organizzazione ospedaliera.
Mancano addirittura medici, infermieri e autisti per il numero di emergenza 112, per il quale sono stati spesi milioni per nuove vetture di soccorso, ferme nelle rimesse. Gioffrè ricorda i tempi in cui sembrava che a Gino Strada sarebbe potuta essere affidata l’emergenza della sanità calabrese: «Il ministro Speranza non ha avuto il coraggio di nominarlo commissario, l’unica vera rivoluzione poteva essere quella».
Dunque, a conti fatti, la Calabria «è dentro ad un piano di rientro senza poter uscire perché non si sono mai voluti ricostruire i bilanci per sapere chi aveva rubato e depredato un bene pubblico essenziale che hanno portato alla chiusura di tutti i servizi che avevamo, compresi consultori e luoghi in cui effettuare screening».
Le mani della mafia
All’interno della storia della sanità calabrese, non è possibile dimenticare che nel 2019 il Consiglio dei ministri aveva deliberato lo scioglimento dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria per infiltrazioni della ‘ndrangheta, affidandone la gestione ad una commissione straordinaria.
La Commissione parlamentare antimafia nel 2021 si era soffermata proprio sulla sanità in Calabria, dedicando al tema un capitolo dal quale emergeva il grado di condizionamento storicamente imposto dai clan negli anni passati: «Il settore della sanità pubblica è particolarmente esposto alle infiltrazioni e su di esso risultano particolarmente incentrate le mire delle organizzazioni ‘ndranghetiste, in considerazione delle ingenti risorse finanziarie che vi affluiscono».
Tutto si inserisce all’interno di un disegno complesso e tetro in cui fa capolino l’autonomia differenziata che, per il dottor Gioffrè, arriverà a dare il «colpo mortale, saremo declassificati e torneremo a settant’anni fa». Allo stato delle cose, per la Cgil, l’unica strada sembra quella di assumere la vertenza sulla sanità calabrese come vertenza nazionale. Pare dunque che per cercare la luce, nelle tenebre in cui è calata la realtà della sanità pubblica Calabrese, servirà ben più di una sola lampara.
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