Con un debito che viaggia verso il miliardo di euro la società blaugrana è costretta a chiedere ai calciatori uno sconto di 122 milioni sugli stipendi e a rinviare il saldo degli emolumenti. Ma la crisi di oggi è il frutto di almeno un decennio di spese dissennate e leadership irresponsabili
- Giovedì scorso il presidente ad interim Carles Tusquets, l’uomo di Berlusconi in Spagna, ha detto che la situazione attuale del Barcellona è «pessima» e che la scorsa estate sarebbe stato meglio lasciare andare via Lionel Messi.
- Il disastro attuale parte da molto lontano e chiama in causa gli ultimi tre presidenti: Joan Laporta, Sandro Rosell e Josep Maria Bartomeu, autori di scelte diverse ma egualmente dissennate.
- Il futuro è nero e non si intravede un cambio di rotta. Fra i possibili presidenti spunta la candidatura di Laporta, di cui recentemente è stata scoperta una società offshore a Malta gestita assieme al super-agente israeliano Pini Zahavi, colui che ha pilotato il passaggio di Neymar al Paris Saint Germain.
Durante una conferenza stampa tenuta stamani il presidente del Barcellona, Joan Laporta, ha rivelato che il club blaugrana ha un debito colossale: 1,35 miliardi di euro. Abbiamo anticipato lo scorso 4 dicembre ai lettori la situazione dello sfascio barcellonista, precisando che i problemi sono non soltanto di natura economico-finanziaria. Vi riproponiamo l’articolo.
Messi parecchio male. Bisognava che qualcuno facesse un'operazione-verità sulla situazione del Barcellona, e che squarciasse il velo di non detto sulle cose note ma troppo scomode da dire. Se n'è fatto carico colui che in questo momento ha maggiore facoltà di parola nell'universo blaugrana: Carles Tusquets y Trias de Bes, presidente della commissione di gestione del club, ossia leader pro tempore. Entrato in carica a fine ottobre per guidare il club catalano verso nuove elezioni dopo le dimissioni di Josep Maria Bartomeu, lo scorso 3 dicembre Turquets è stato ospite negli studi di RAC1, la principale emittente radiofonica privata in lingua catalana. Nel corso di un intervento durato circa 35 minuti il presidente ha pronunciato parole devastanti,
Sono numerose le affermazioni di Turquets che annichiliscono il popolo barcellonista. Mettendole in fila viene fuori la seguente lista: la situazione economico-finanzaria del club è 'pessima'; il Camp Nou, tempio del barcellonismo, sta cadendo a pezzi e necessita di interventi urgenti; grazie a un accordo con la società che consente di spostare in avanti i pagamenti, a gennaio i calciatori non percepiranno la rata semestrale degli stipendi né i premi maturati durante i mesi scorsi (e va ricordato che gli stessi calciatori hanno già concesso al club uno sconto per circa 122 milioni di euro); alcune fatture lasciate in eredità dalla gestione Bartomeu non verranno pagate perché giudicate troppo onerose, e dunque se ne occuperà la prossima direzione; a chi sogna il ritorno di Neymar viene mandato a dire che questa ipotesi sarebbe realizzabile soltanto a costo zero; e infine, che la scorsa estate sarebbe stato meglio lasciare andar via Lionel Messi anziché trattenerlo contro la sua volontà.
Sarebbe bastata una sola fra queste affermazioni per abbattere l'autostima del popolo blaugrana. Tutte insieme certificano due pesanti verità: che il Barcellona è allo sfascio economico e morale, e che questo sfascio è il frutto di una decadenza in corso da oltre un decennio.
L'uomo di Berlusconi in Spagna e il suo predecessore
In fondo Turquets può permetterselo, di parlare così schietto. Non è stato eletto al vertice del Barça né cerca di essere confermato. Inoltre è un uomo di alta finanza che presta competenza e capitale di relazioni al club blaugrana sin dall'inizio della presidenza di Josep Lluís Núñez (1978), quando fu il consigliere più giovane nella storia della società barcellonista. Indicato come un pioniere dell'apertura dell'economia spagnola ai fondi d'investimento, Tusquets è soprattutto l'uomo di Silvio Berlusconi in Spagna. È infatti presidente di Banco Mediolanum, il braccio operativo spagnolo della banca del Biscione, che era in precedenza il banco de Finanzas e Inversiones (Fibanc), fondato nel 1983 dallo stesso Tusquets.
Dunque un soggetto forte e ben inserito nei circuiti economici che contano. Chiamato a gestire con minor danni possibili (soprattutto per se stesso) il disastro operato da Josep Maria Bartomeu, il presidente che ha prodotto la rottura con Lionel Messi e l'irrimediabile zavorra per i conti del club. Il conflitto col fuoriclasse argentino è noto e si è concluso nel modo peggiore per tutti. Col giocatore rimasto soltanto perché non è riuscito a liberarsi, e il presidente del tutto delegittimato unitamente all’intera direzione. Quella della frattura con Messi è la seconda, bruciante ferita inferta all'orgoglio barcellonista durante la presidenza di Bartomeu. La prima risale all'estate 2017, effetto dello scippo di Neymar operato dal Paris Saint Germain: realizzato grazie all’assegno da 222 milioni di euro messo nelle mani del calciatore brasiliano per pagare al club catalano una clausola rescissoria che pareva blindata.
Furono giorni di fibrillazione, quelli, non soltanto per Barcellona e PSG. Perché la mossa ostile del club parigino controllato dal fondo sovrano qatariota, e accolta dalla direzione di Bartomeu come fosse un comportamento da parvenu, rischiò di mandare in pezzi i rapporti far i grandi club europei, fin lì caratterizzati da un patto di non aggressione. Ma le conseguenze più gravi dell'addio di Neymar vennero dal calciomercato. Perché a quel punto il Barça di Bartomeu, che avrebbe potuto mettere a frutto l’aspetto positivo della questione utilizzando i 222 milioni provenienti da Doha per risanare le già precarie finanze, decise che doveva rilanciare. Lo chiedevano l'orgoglio ferito e i quarti di nobiltà. Sicché ecco le acquisizioni, a prezzi improponibili, di calciatori che in nessun caso hanno dimostrato di valere quelle cifre: 130 milioni di euro per Ousmane Dembelé dal Borussia Dortmund, 145 milioni di euro per Philippe Coutinho dal Liverpool, 120 milioni di euro per pagare all'Atletico Madrid la clausola rescissoria di Antoine Griezmann (un affare finanziato da un soggetto denominato XXIII Capital), 86 milioni di euro per Frenkie de Jong dall'Ajax.
Un'assenza di freni nella spesa che adesso fa viaggiare il debito verso il miliardo di euro, come affermato da Quim Domenech, giornalista della popolare trasmissione calcistica El Chiringuito, a poche ore di distanza dall'intervento di Tusquets a RAC1. Cifra forse sovrastimata, ma non molto distante dalla verità. Come del resto è dimostrato dal sempre più massiccio ricorso, nel passato recente, a operazioni di scambio di calciatori e plusvalenze come quelle fatte col Valencia (trasferimento incrociato dei portieri Neto e Cillessen) e con la Juventus (scambio doppio Matheus Pereira-Alejandro Marqués e Pjanic-Arthur). Non sarà facile rimediare a questo sfascio senza andare incontro a anni di duri sacrifici.
Rosell e l'intramontabile Laporta
Si dice che i successori ci rivalutino. E invece nella storia recente del Barcellona è proprio difficile scegliere fra successori e predecessori alla presidenza. Basta seguire la linea per capire. Prima di Bartomeu il presidente era Sandro Rosell, anche lui bruciato dalla gestione di Neymar. Con la differenza che in questo caso i problemi giungono dall'arrivo del brasiliano ex Santos in Catalogna, non dalla sua partenza. Il giro di commissioni e agenti intorno a quel trasferimento, avvenuto nell'estate del 2013, è un rompicapo mai del tutto risolto. Per quella storia Rosell è stato costretto a dimettersi nel gennaio del 2014. Purtroppo per lui non è finita lì. La vicenda gli è costata un carcerazione preventiva da record (643 giorni) e un processo che lo ha visto andare assolto a aprile 2019 per insufficienza di prove.
Rosell aveva rilevato il testimone da Joan Laporta. La cui presidenza si era conclusa nel 2010 con almeno due gravi infortuni. Il primo riguarda la vicenda dello spionaggio contro possibili avversari interni al Barcellona. Il secondo concerne le ricche consulenze (10,5 milioni di euro) che l’avvocato Laporta ha incassato dal governo dell'Uzbekistan intanto che il Barcellona del Laporta presidente veniva trasformato in balocco propagandistico del regime autocratico della famiglia Karimov, a capo dell’’Uzbekistan fino al 2016. Riguardo a quest'ultima circostanza l'ex presidente ha dovuto subire un processo, dal quale è uscito assolto, in seguito a una denuncia dell’agente di calciatori turco Bayram Tutumlu. Questi reclamava il 10% degli introiti uzbeki di Laporta per avere fatto lui da apripista con i lobbisti della famiglia Karimov.
Come se non bastasse tutto ciò, nel 2017 il curriculum di Laporta si è arricchito di un’altra vicenda. La pubblicazione dei Paradise Papers (l’inchiesta giornalistica sull’economia globale offshore) ha svelato che l’ex presidente del Barça teneva una società (successivamente sciolta) a Malta, la BMVP Limited. E la notizia non avrebbe destato scalpore più di tanto, se non fosse che fra i soci di Laporta in BMVP si trovasse anche il nome del super-agente israeliano Pini Zahavi, cioè colui che ha pilotato il trasferimento di Neymar da Barcellona a Parigi nell’estate del 2017, intascando una commissione da 12 milioni di euro. Non una gran cosa, per un ex presidente blaugrana, essere in società col regista dello scippo del brasiliano. Le rivelazioni dei media impegnati nella divulgazione dei Paradise Papers narrano che BMVP Limited avesse, fra gli oggetti sociali, “gestire una scuola virtuale che impartiscono lezioni sportive online”.
Per la cronaca: Laporta è in corsa per essere il prossimo presidente del Barcellona.
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