È un concetto nato nelle antiche osterie, che oggi confonde spesso i turisti stranieri nel nostro paese. Ne abbiamo ancora bisogno? Per i ristoranti toglierlo significa un taglio consistente del fatturato. Ma esistono soluzioni più customer friendly
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Immagina un’osteria medievale del nord, in pieno inverno: fuori fa freddo, la nebbia è fitta, e quell’osteria è l’unico luogo in cui contadini e viandanti possono ripararsi dalle intemperie, scaldandosi con ciotole di vino. Il cibo — semplice — lo portano i clienti, avvolto in stoffe, poiché la povertà è diffusa. Ma c’è almeno il piacere di sedersi al caldo, davanti a una tavola apparecchiata con tovaglia pulita e stoviglie pronte. Gli osti, per offrire questa coccola, introducono una piccola spesa: il “coperto”, destinato a coprire il costo di questi servizi essenziali.
Il termine evoca letteralmente il tavolo coperto dal tovagliato, ma anche il tetto che protegge dal freddo e dal brutto tempo.
È così che nasce una tradizione, evolutasi fino a includere anche pane e acqua (oltre al servizio, che però meriterebbe un approfondimento a parte), e che è giunta, con varie trasformazioni, fino a noi.
Tradizione
Il web è pieno di articoli e discussioni su Reddit in lingua inglese dove viaggiatori esperti spiegano ai meno esperti cos’è il coperto e perché è importante controllarne la presenza sul menù prima di sedersi a mangiare. In effetti, si tratta di una tradizione unicamente italiana, che gli anglosassoni faticano a comprendere, nonostante provino ad assimilarla al loro service charge, concetto in realtà molto diverso.
Come spiegano Andrew e Emily, travel blogger inglesi di Along Dusty Roads: «Il coperto è fondamentalmente una tariffa fissa che si paga quando si mangia a un tavolo. Viene applicata dalla maggior parte dei ristoranti in Italia per persona, oltre al costo di cibo e bevande, ed è sempre indicata da qualche parte. Tuttavia, se è la tua prima volta in Italia, è comprensibile che tu non la noti o la consideri nei prezzi prima di sederti».
Non esiste una norma che definisca esattamente cosa debba comprendere il coperto o come debba essere calcolato. Per questo, resta un concetto dal perimetro incerto. Dal punto di vista legale, la legge italiana non lo vieta, purché, come stabilisce l’art. 18 del regio decreto n. 635/1940, la voce sia riportata chiaramente nel listino prezzi. Il ristoratore può quindi decidere di far pagare al cliente tutti quei servizi che ritiene accessori e non compresi nel prezzo, compresa anche la posizione e il prestigio della propria location. La scorsa estate, ad esempio, ha fatto notizia il coperto esorbitante del ristorante Il Gatto Nero di Cernobbio, sul Lago di Como, che fa pagare 15 euro per i “tavoli migliori” con vista lago, una cifra riportata esplicitamente alla voce “coperto”.
Ne abbiamo bisogno?
Oggi non è raro trovare ristoranti che fanno pagare il coperto cinque o sei euro. Con il generale aumento dei costi, il coperto pesa sempre più sullo scontrino finale, al punto che i consumatori iniziano a preferire locali con un coperto più economico o addirittura inesistente.
Dal punto di vista del ristoratore, però, rinunciare al coperto significa perdere una voce che può rappresentare fino al 10 per cento del fatturato. Una soluzione più customer-friendly potrebbe consistere nel ripensare la strategia dei costi: applicare correttamente il food cost ai piatti, aumentare la varietà e qualità del pane facendolo pagare a parte (come già accade nei ristoranti fine dining), oppure servire acqua microfiltrata con un ricarico maggiore su vini e bevande artigianali.
Marco Orienti dell’Osteria dell’Orsa, uno dei luoghi del cibo ancora meritevoli di Bologna, spiega: «Il trucco è mantenere il nostro costo del coperto basso, senza addebitarlo al cliente, magari aumentando di un pelino altre voci. Si può fare, soprattutto in un’osteria come la nostra: il massimo della perdita è quando si rompe qualche bicchiere».
Più a est, la storica enoteca Ca’ de Vèn di Ravenna segue una filosofia simile, non facendo pagare il coperto dal 1975. Maria Grazia, una delle socie, spiega: «Per me, pagare il coperto ha senso solo se c’è una tovaglia, il pane in tavola, una certa mise en place». Nel loro locale, invece, l’apparecchiatura è essenziale, con tovagliette di carta, stoviglie d’acciaio inox e calici di vetro. Niente pane in tavola, ma una piadina calda, ordinabile e pagabile a parte. Il futuro è nell’equilibrio: valorizzare i servizi senza pesare inutilmente sul cliente. In fondo, l’ospitalità non si misurerà dal coperto, ma sicuramente da quanto il cliente avrà piacere di tornare.
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