- L’Estonia è il più piccolo e meno popolato dei tre paesi baltici ed è anche quello che teme più un’invasione della Russia.
- Le truppe del gruppo tattico Nato, francesi, danesi e britannici, reciteranno la parte dei buoni, in gergo la “bluefor”, mentre gli estoni saranno i cattivi, la “opfor”. In altre parole, gli estoni interpreteranno i russi.
- Da anni i paesi baltici vengono dati per persi in caso di un serio conflitto con la Russia. Ma dopo aver visto quello che i determinati volontari ucraini sono riusciti a fare con l’aiuto delle forze speciali addestrate dalla Nato, questa certezza sembra vacillare.
Questo è il primo di una serie di reportage in cui racconteremo cosa succede in Estonia, Lettonia e Lituania, i paesi europei e membri della Nato che dopo l’invasione dell’Ucraina temono di essere i prossimi.
Se la giornata è serena, mentre l’aereo discende verso l’aeroporto di Tallinn sembra quasi di poter vedere a occhio nudo la ragione per cui gli estoni hanno così timore di un’invasione. Davanti al finestrino scorre una piatta distesa di campi, boschi e piccoli laghetti che arriva fino al confine con la Russia. Non c’è un solo ostacolo naturale sulla strada di un invasore.
Aggiungete a questo il fatto che circa un terzo degli estoni parla russo e il Cremlino da anni dice minacciosamente di voler «proteggere» i loro diritti. Si capisce facilmente perché tra i baltici, gli estoni sono i più preoccupati dalla prospettiva di un’invasione. Vista dall’alto, l’Estonia sembra un paese che la Russia potrebbe ingoiare in un boccone.
Dragone audace
Le cose appaiono molto diverse una volta scesi a terra, nel mezzo di una tormenta di neve mentre si cerca di camminare in uno dei boschi che coprono metà del paese, con i piedi che affondano nel terreno fradicio che non reggerebbe il peso di un fuoristrada, figurarsi quello di un carro armato.
Ci troviamo nella grande area militare di Tapa dove il contingente internazionale della Nato e l’esercito estone stanno conducendo “Dragone audace” la più grande esercitazione militare degli ultimi anni, una manovra che hanno acquisito un nuovo significato dopo l’invasione dell’Ucraina. Con una popolazione pari a quella di Milano, le possibilità dell’Estonia di difendersi da sola sono non esistenti. Per questo il paese è membro della Nato dal 2004.
Il briefing per i giornalisti si tiene in un spiazzo innevato accanto ad una strada sterrata. Il maggiore Dimitry Kondratenko, un estone di madrelingua russa come molti dei volontari e coscritti che parteciperanno all’operazione, ci spiega come si svolgerà la giornata puntando una bacchetta metallica su una mappa militare appesa ad un treppiede.
Le truppe del gruppo tattico Nato, francesi, danesi e britannici, reciteranno la parte dei buoni, in gergo la “bluefor”, mentre gli estoni saranno i cattivi, la “opfor”. In altre parole, gli estoni interpreteranno i russi.
Oggi sono coinvolti circa 1.500 soldati Nato con decine di carri armati e blindati e poco meno di 500 volontari estoni, tutti armati alla leggera. Le forze armate estoni sono piccole, non hanno praticamente un’aviazione, né artiglieria a lungo raggio. Ma hanno ancora la leva obbligatoria, un esercito di riservisti e di volontari. Sono una nazione pronta alla “difesa totale”.
Quando sottolineo che in questa esercitazione gli estoni non solo sono pochi, ma dovranno anche vedersela con i carri armati, il comandante dei volontari, un corpulento estone sulla cinquantina di nome Sepp, con folti baffi e il volto dipinto di colori mimetici, non si scompone. «C’mon, we have the Javelin», mi risponde in inglese, riferendosi ai missili di produzione americana che in Ucraina hanno distrutto centinaia di veicoli russi.
La battaglia
Dopo il briefing partiamo per entrare nel cuore dell’operazione. Siamo un piccolo gruppo di giornalisti e di militari addetti alle pubbliche relazioni. Marina, la nostra guida estone, è al volante della jeep e sull’uniforme indossa una toppa gialla e blu con la scritta “Slava Ukraini”, “Viva l’Ucraina”.
La prima postazione che incontriamo in cima a una collinetta che domina una vasta radura fangosa è una trincea presidiata da una ventina di volontari della Lega estone di difesa armati di un cannoncino senza rinculo. Sono civili che durante il fine settimana si addestrano insieme ai militari. Il distretto militare a cui appartengono è quello del nord est, dov’è concentrata la maggioranza della popolazione russofona dell’Estonia. Quando chiedo quanti di loro provengono da Narva, una città con il 93 per cento di abitanti russi, si mettono a ridere e mi rispondono: «Tutti!».
Hanno un’età media piuttosto alta, sulla quarantina. Un paio di loro che sembrano aver superato i cinquanta hanno fisici non proprio marziali. Qualcuno parla sottovoce di «weekend warrior» e «daddy army», un esercito di soldati del finesettimana e padri di famiglia. «A volte quando un soldato senza addestramento difende il suo paese, vale come cinque invasori», commenta uno degli osservatori britannici.
Bluefor
È il momento di attraversare il “fronte” e andare a vedere cosa stanno combinando i “buoni”, la bluefor. Gli ufficiali Nato che incontriamo sono una curiosa incarnazione dei loro stereotipi nazionali. I britannici, cortesi e solenni, i danesi umani e accessibili, i francesi sicuri di sé e orgogliosi.
Sono questi ultimi i primi che incontriamo. Si tratta di una compagnia di cacciatori delle Alpi, truppe da montagna abituate a combattere nei boschi. Sono arrivati da poche settimane e hanno trascorso gli ultimi dieci giorni a dormire all’aperto per acclimatarsi.
Incontriamo il loro comandante, il capitano Guillaume, un militare compatto, con il volto magro completamente dipinto di colori mimetici. Muovendo la mano su una cartina militare ci indica l’andamento delle operazioni. «Qui c’è il nostro primo obiettivo, che ho conquistato aggirando i nemici dalla foresta. Qui c’è il prossimo obiettivo che conquisterò nello stesso modo», dice sicurezza. Un giornalista americano gli domanda a proposito dell’esercitazione: «È divertente?». «Certamente», risponde il capitano Guillaume senza un attimo di esitazione.
Mentre ci spostiamo in jeep per andare verso i britannici e i danesi, perlustriamo con gli occhi la foresta nella speranza di intravedere i cacciatori alpini muoversi tra gli alberi, ma non vediamo nulla. I francesi sanno bene che devono tenersi lontani dalle strade.
Poco dopo arriviamo su una collinetta dalla quale possiamo vedere quasi tutto il contingente britannico: decine di veicoli corazzati incolonnati su una strada fangosa: veicoli da combattimento per fanteria Warrior, enormi carri armati Challanger, veicoli comando, veicoli per ingegneri. Dal posto di guida fanno capolino le teste dei piloti, i più giovani membri dell’equipaggio, facce giovanissime di 18enni.
Tutti i presenti disapprovano lo schieramento di fronte ai nostri occhi: i veicoli incolonnati sono un bersaglio facile. Ma non ci sono altre scelte. Se i veicoli uscissero dalla strada finirebbero impantanati. Non si può fare a meno di pensare alle lunghe colonne di carri armati russi bloccati sulle strade ucraine, continuamente attaccati dai lanciamissili Javelin. Nel frattempo, uno dei Challenger ha un guasto e l’equipaggio deve saltar fuori e iniziare ad armeggiare con il motore. Viene da chiedersi chi, dopotutto, sta facendo la parte dei russi in questa esercitazione.
Il comandante del contingente danese, un 30enne alto dagli occhi azzurri e i modi alla mano aggiunge un altro tassello a questa storia. «Penso che gli estoni ci stiano trattando bene – dice mentre sulla strada passano i i giganteschi Piranha, i blindati da trasporto danesi alti quasi tre metri – Oggi vinceremo l’esercitazione, ma avessero voluto avrebbero potrebbero potuto costringerci a un pareggio».
Mentre inizia a cadere una fitta neve che il vento ci spinge quasi orizzontale negli occhi, incontriamo il colonnello britannico che comanda tutte le truppe Nato in Estonia, un ufficiale gentiluomo dai modi suadenti che ci stringe a lungo la mano mentre ci chiede i nostri nomi. Gli chiedo perché a volte le truppe Nato nei paesi baltici vengono definite tripwire e se pensa di avere abbastanza forze per fermare un’invasione russa.
Per un istante cade un gelo dovuto non soltanto alle raffiche di vento che arrivano dal baltico. Si tratta di una questione delicata, come mi ha spiegato qualche giorno prima Tony Lawrence, uno studioso inglese che vive in Estonia dal 2004 e lavora per lo Icds, il principale think tank estone specializzato in questioni di difesa e sicurezza.
«L’opinione generale degli esperti è che se la Russia fosse davvero determinata potrebbe occupare i paesi baltici senza grosse difficoltà», mi ha spiegato. «Anche le forze Nato sono ridotte: mille, mille cinquecento soldati in ognuno dei tre paesi». Ma queste forze provengono da quasi tutti i trenta paesi Nato. Se la Russia dovesse attaccare l’alleanza sarebbe coinvolta non solo teoricamente: i suoi soldati si troverebbero al fronte, finirebbero feriti o uccisi. «La presenza delle truppe Nato assicura che tutta l’alleanza abbia reali interessi in gioco». Tripwire è letteralmente il filo che fa scattare la trappola. In un certo senso, è proprio questo il ruolo delle truppe Nato del paese. Si capisce perché i militari non usino volentieri questa espressione.
Ma il colonnello britannico non si scompone e mi risponde in modo diplomatico. «Deterrenza significa aumentare il costo per il nemico di compiere un’operazione. La nostra presenza qui alza questo costo e dopo questa esercitazione, quando saremo preparati al terreno e capaci di coordinarci, questo costo salirà ancora di più». Trollare il nemico
Pochi minuti dopo ci troviamo in mezzo al primo scontro a fuoco della giornata. Mentre ci stiamo avvicinando a un ponte sentiamo un’intensa sparatoria. I danesi sono stati attaccati mentre cercavano di attraversare ora stanno inviando una pattuglia dall’altro lato per farsi un’idea di quanti nemici hanno di fronte.
La risposta la scopriamo dopo essere rientrati nelle jeep e aver percorso altri seicento metri. Dopo aver superato una serie di ostacoli che rappresentano mine e altri sbarramenti, incontriamo un giovane sergente estone. Ci spiega che il capo delle operazioni psicologiche: «Il mio compito è trollare il nemico». Al suo comando ha due jeep dotate di enormi altoparlanti con trasmettono suoni di spari e rumore di motori per far credere ai nemici di essere davanti a molti più soldati di quanti sono in realtà. «È una cosa a cui i nostri alleati non sono abituati», dice con un certo orgoglio. Da questo momento non sapremo più se i suoni di spari o motori che sentiamo sono reali o sono opera di questo ragazzo.
É ormai pomeriggio inoltrato e ci prepariamo a tornare indietro. Sulla strada incrociamo il gruppo di volontari estoni che avevamo visto al mattino. Sono a bordo del loro camion, con il cannoncino a rimorchio. Dopo aver ritardato un po’ l’avanzata della bluefor si sono ritirati in buon ordine mettendosi tutti in salvo.
Alla fine della giornata, questo è il bilancio nei vari settori dell’esercitazione. Le bluefor si sono mosse lentamente, intralciate dal terreno e dalle continue azioni di disturbo degli estoni. Hanno impiegato più o meno una giornata per fare una decina di chilometri. I volontari della domenica li hanno fatti sudare, nonostante il freddo, e sono riusciti a sganciarsi, lasciando il campo agli avversari, ma senza subire grosse perdite.
Da anni i paesi baltici vengono dati per persi in caso di un serio conflitto con la Russia. Ma dopo aver visto quello che i determinati volontari ucraini sono riusciti a fare con l’aiuto delle forze speciali addestrate dalla Nato, questa certezza sembra vacillare. Gli estoni e i loro alleati potrebbero davvero fermare un’invasione? L’unica cosa certa è che tutti sperano di non doverlo mai scoprire.
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