- Un nuovo farmaco antivirale, il molnupiravir, si è dimostrato efficace nella terapia del Covid-19 e la Merck, azienda produttrice del farmaco, ha chiesto alla Fda (l’agenzia americana di valutazione e autorizzazione dei farmaci) l’autorizzazione per la sua commercializzazione.
- La richiesta si basa su uno studio clinico di fase III, uno studio cioè in cui si confrontano i risultati nei soggetti che hanno assunto il farmaco con quelli di coloro ai quali è invece stato somministrato un placebo.
- Il molnupiravir ha buone probabilità di trovare un suo spazio nel trattamento dei soggetti con sintomi lievi di malattia, ma non nei pazienti ospedalizzati per i quadri respiratori più gravi. È uno spiraglio di ottimismo sul futuro per tutti noi, ma non un’alternativa al vaccino.
È di questi giorni l’annuncio che un nuovo farmaco antivirale, il molnupiravir, si è dimostrato efficace nella terapia del Covid-19 e che la Merck, azienda produttrice del farmaco, ha chiesto alla Fda (l’agenzia americana di valutazione e autorizzazione dei farmaci) l’autorizzazione per la sua commercializzazione.
Si tratta senza dubbio di una buona notizia ed è probabile che il molnupiravir andrà a integrare e a rafforzare l’armamentario farmacologico, ancora piuttosto scarso, di cui disponiamo per la lotta contro Sars-CoV-2. Per valutare la reale portata di questa novità dovremo però attendere ancora i risultati definitivi degli studi in corso, visto che l’annuncio ha preceduto, come spesso accade, la pubblicazione dei dati scientifici su cui si basa. Vediamo intanto cosa si sa a tutt’oggi.
Lo studio
La richiesta di autorizzazione alla distribuzione in commercio del molnupiravir si basa su uno studio clinico di fase III, uno studio cioè in cui si confrontano i risultati nei soggetti che hanno assunto il farmaco con quelli di coloro ai quali è invece stato somministrato un placebo. Sono stati arruolati soggetti con un Covid di grado lieve-moderato (cioè senza polmonite o con polmonite lieve) che non necessitavano di ricovero in ospedale, ma che avevano maggior rischio di sviluppare malattia grave (per età avanzata, obesità, diabete, cardiopatia e altro).
Infine, il trattamento con il farmaco, per bocca e della durata di cinque giorni, è stato iniziato al massimo entro cinque giorni dal primo tampone positivo. Quest’ultimo punto accomuna molnupiravir agli altri farmaci antivirali, quali il remdesivir e gli anticorpi monoclonali, la cui efficacia si manifesta solo nella fase iniziale di replicazione del virus, ma non nella seconda fase, quando il virus ha già scatenato la pericolosa risposta infiammatoria dell’organismo.
Lo studio sul molnupiravir è stato interrotto anzitempo, dopo che erano stati arruolati 775 pazienti (circa la metà di quelli inizialmente previsti) perché a una analisi intermedia dei dati risultava una manifesta superiorità del farmaco sul placebo. Infatti, a quattro settimane di distanza dal trattamento era stato ospedalizzato il 7,3 per cento dei soggetti trattati col farmaco contro il 14,1 per cento di quelli trattati con placebo.
Inoltre non c’era stato alcun morto nel primo gruppo contro otto decessi nel secondo. Tra gli aspetti positivi va annoverato anche il fatto che il molnupiravir sembra funzionare in modo altrettanto buono su tutte le principali varianti del virus ad oggi conosciute (Gamma, Delta e Mu).
I limiti
Veniamo ora ai limiti delle attuali conoscenze sul farmaco. Il primo è che, come già detto, lo studio non è ancora stato pubblicato e quindi non ha ancora passato il vaglio della comunità scientifica internazionale per quanto riguarda la sua qualità metodologica.
Il secondo è che lo studio non ha preso in considerazione lo stato vaccinale dei pazienti ed è quindi impossibile dire se il molnupiravir funzioni altrettanto bene sia tra i non vaccinati sia tra i già vaccinati. In terzo luogo, non è dato sapere quale sia il tempo massimo dall’infezione entro il quale sia ragionevole attendersi che il trattamento sia efficace (tre giorni, cinque giorni, di più?).
Infine, anche se non sembrano essere emersi effetti collaterali di rilievo, 775 pazienti sono decisamente troppo pochi per affermare che si tratti di un farmaco sicuro (ricordo a questo proposito che la frequenza delle trombosi dei seni venosi nei pazienti vaccinati con AstraZeneca è di circa un caso ogni 100mila vaccinazioni).
Quest’ultimo punto merita particolare attenzione, considerando che Merck ha già in corso un nuovo studio per valutare l’efficacia di molnupiravir nella profilassi del Covid-19 tra le persone esposte a un potenziale contagio, ma non ancora infette. Un po’ come per i vaccini, prima di trattare i sani bisogna essere certi che i rischi siano decisamente bassi.
Non è un’alternativa al vaccino
Per quanto si sa, l’azienda produttrice chiederà alla Fda un’autorizzazione di emergenza (Eua), cioè una autorizzazione al commercio che può essere data in situazioni di particolare urgenza (e la pandemia di Covid-19 di sicuro lo è), in assenza di altri trattamenti chiaramente efficaci (ci sarebbero gli anticorpi monoclonali che però devono essere somministrati per via endovenosa, cosa difficile fuori dall’ospedale) e in presenza di una documentazione clinica suggestiva di efficacia, anche se non conclusiva, almeno rispetto ai parametri utilizzati nel normale processo autorizzativo.
In conclusione, il molnupiravir, di cui Merck conta di poter produrre 10 milioni di dosi entro fine 2021 (a un prezzo ancora non noto) ha buone probabilità di trovare un suo spazio nel trattamento dei soggetti con sintomi lievi di malattia, ma non nei pazienti ospedalizzati per i quadri respiratori più gravi. È uno spiraglio di ottimismo sul futuro per tutti noi, ma non un’alternativa alla vaccinazione che resta a tutt’oggi, e di gran lunga, la più efficace difesa contro l’infezione da Sars-CoV-2 e le sue complicazioni.
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