Negli ultimi 15 anni si è sentito parlare sempre più spesso di vini lasciati maturare in fondo al mare, soprattutto spumanti ma non solo. Vini che grazie a particolari condizioni di pressione, temperatura, luce e moto ondoso sviluppano caratteristiche uniche, non replicabili sulla terra ferma. Una tecnica affascinante e costosa, che ha creato una nicchia di mercato in costante crescita e che è oggi arrivata anche in Francia, dove si produce il più famoso degli spumanti: lo Champagne
Era il 2010 quando per la prima volta ho letto di un vino la cui maturazione si era svolta in acqua. Pochi giorni prima un enotecario e produttore ligure, Pierluigi Lugano, aveva portato a termine le non semplici operazioni per tirare fuori dall’acqua le prime 6.500 bottiglie del suo nuovo progetto, Abissi. Un vino spumante del 2008 che era rimasto per ben 18 mesi al largo delle coste di Portofino, a 70 metri di profondità e all’interno di apposite gabbie ancorate al fondale. Da allora, pur rimanendo di nicchia, quello dei “vini subacquei” è fenomeno che si è ingrandito, in Italia e non solo.
Nel ravennate Tenuta del Paguro propone diversi vini la cui maturazione avviene nel Mar Adriatico. Lo stesso in Toscana, in Maremma, dove la cantina Bacci porta avanti da tempo un progetto relativo a un vino rosso, Talamo a Mare. In Sardegna la grande cantina cooperativa Santa Maria La Palma ha prodotto Akènta, uno spumante extra dry a base di vermentino che rimane in acqua per almeno 8 mesi. Sempre in Liguria è nata una società di consulenza, Jamin, specializzata proprio nella ricerca e nello sviluppo di tecniche di maturazione subacquea per vini e distillati.
Di questa particolare tecnica si è recentemente occupato il wine writer inglese David Kermode. Su Club Oenologique si è chiesto se e quanto questa rappresenti il futuro, anche alla luce dei recenti investimenti di alcune cantine produttrici di Champagne. La Cuvée Abyss di Leclerc Briant trascorre per esempio dai 10 ai 15 mesi sul fondo del mare, a seconda dell'annata, vicino all'isola di Ouessant, al largo della costa della Bretagna. Un’altra importante maison, Drappier, nel 2020 ha immerso sempre al largo delle coste bretoni circa 3.500 bottiglie di quello che ha poi chiamato Immersion, uno Champagne Brut Nature da sole uve di pinot nero. Una tendenza, ha scritto Kermode, le cui origini risalgono al 2010, quando a sud dell’Arcipelago delle Isole Åland, tra Svezia e Finlandia, furono ritrovate all’interno di un relitto affondato tra il 1825 e 1830 ben 150 bottiglie di Champagne prodotto da Veuve Clicquot.
Uno spumante che a distanza di quasi due secoli, lasciato in fondo al mare, si è dimostrato essere ancora frizzante, ancora buono. «Esiste una chiara correlazione tra la pressione ambientale durante l'élevage (il periodo di maturazione sui lieviti di uno Champagne) e la presunta longevità di uno spumante», ha affermato a Club Oenologique Simon Field, esperto di vino e in particolare di Champagne. «Sotto la pressione dell’acqua il lento lavoro di autolisi dei lieviti diventa più mirato e, di conseguenza, il vino ha più definizione e carattere». Sott’acqua questa aumenta di 1 bar ogni 10 metri di profondità, pertanto tra i 50 e i 60 metri la pressione all’esterno di una bottiglia di Champagne sommersa è sostanzialmente uguale a quella all’interno. Anche la temperatura dell'acqua fa parte del fascino di questa tecnica: è costante e simile a quella che si trova nelle migliori cantine di gesso di Épernay o di Reims. Si tratta inoltre di ambiente senza alcuna luce, soprattutto ambiente caratterizzato da un ingrediente più affascinante di altri: quel movimento del mare che Hervé Jestin, enologo di Leclerc Briant, paragona alla "dinamizzazione permanente". Un moto che permette ai vini di sviluppare una tessitura gustativa di maggiore armonia.
«Ci sono stati esperimenti di successo anche con vini fermi in Spagna, Cile, California e sull'isola greca di Santorini, dove la cantina Gaia ha creato il suo Thalassitis Submerged Assyrtiko», ha scritto David Kermode. Un vino, quest’ultimo, che sott’acqua sviluppa note di idrocarburi che altrimenti non avrebbe, non dopo una maturazione tradizionale in cantina. Da una parte è quindi indubbio che l’influenza del mare sia in grado di restituire vini se non migliori certamente diversi, oltre al grande fascino che questa tecnica esprime in termini di marketing e di comunicazione. Emerge però la sensazione si tratti di nicchia per quanto in crescita destinata a rimanere tale soprattutto per i costi di produzione e quindi quelli, sempre piuttosto alti, di questi vini.
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