Amina (nome di fantasia ndr) oggi si sente al sicuro. Sono passati due anni da quando è riuscita a scappare dalla condizione di schiavitù sessuale cui era costretta, ma nonostante questo per mesi ha avuto la sensazione di essere ancora in pericolo. Si è sentita braccata da quegli uomini che, all’età di 17 anni, l’han fatta venire in Italia e poi l’han messa in vendita. È stato dopo una telefonata notturna e una fuga in un luogo sicuro che Amina si è salvata. Ed è stata la rete italiana antitratta a ridarle una vita, la stessa che oggi rischia di collassare.

Il ministero delle Pari Opportunità che ha in carico il Piano nazionale antitratta, infatti, sta accumulando molti ritardi nei pagamenti dei progetti che si occupano di far funzionare il meccanismo. «In questi anni – dice Alberto Mossino, coordinatore dell’associazione Piam di Asti – il lavoro degli enti antitratta è stato un importante elemento di contrasto alle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. L’importante lavoro degli enti antitratta, però, non riceve un riconoscimento adeguato e i pagamenti arrivano anche con un anno di ritardo».

Fino a qualche giorno fa su 18milioni, 12 non erano stati pagati. «Abbiamo minacciato di chiudere i servizi e di bloccare il sistema. Non solo perché gli operatori non ricevevano lo stipendio da mesi – spiegano dal Piam – ma anche perché non c’erano più soldi per garantire l’accoglienza delle vittime». Di fronte alla minaccia di chiudere i battenti, il ministero ha pagato le prime tranche a spizzichi e bocconi. «Le difficoltà economiche portano gli enti antitratta a operare in grave sofferenza – dice ancora Mossino – e quindi a indebolirsi ed essere meno incisivi, nonostante i risultati ottenuti finora».

In questi anni sono state portate a termine molte indagini contro gli sfruttatori proprio grazie alla collaborazione delle vittime accolte nei progetti antitratta. «A oggi, ad esempio, la presenza dei trafficanti nigeriani in Italia si è molto ridotta e si è spostata in altri paesi europei come Francia, Germania e Belgio – dicono dall’associazione – Questo perché l'Italia ha un sistema antitratta ben strutturato e non è più una "comfort zone" per le reti criminali. Ritardare i pagamenti ai progetti e indebolire la rete, dunque, è un regalo ai trafficanti, gli stessi che il governo dice di voler acciuffare in tutto il “globo terraqueo”».

La rete antitratta

Nel 2023 sono state prese in carico dalla rete antitratta 1.666 persone ma, senza finanziamenti adeguati, nel 2024 potrebbero essere anche meno. Secondo il rapporto del Greta, il gruppo di esperti sulla lotta contro la tratta di esseri umani creato all’interno del Consiglio d’Europa, in Italia i numeri reali delle vittime di tratta sono sottostimati. Le denunce sono poche, le richieste di aiuto sono sempre di meno, l’organizzazione delle reti criminali è sempre più capillare.

Il Greta conferma il dato del Piam e cioè che l’Italia, attraverso i flussi migratori, è sia destinazione finale delle vittime di tratta ma è anche tappa intermedia, prima di arrivare al luogo in cui è prevista “la consegna”. Perché i traffici sono organizzati e mirati fin dai luoghi originari di partenza: Nigeria, Bangladesh, Ucraina. «Nell’ultimo anno – racconta Mossino – sono aumentate le donne con bambini piccoli. Fino a qualche anno fa chi aveva figli veniva “scartata” a fronte di giovani donne senza legami familiari». Ma anche i meccanismi malvagi subiscono trasformazioni. E le donne con bimbi sono diventate ugualmente prede, magari anche più ambite dal momento che i figli sono usati come strumento di minaccia e ricatto.

Durante il 2023 sono arrivate molte richieste d’aiuto anche tramite WhatsApp, cosa che precedentemente non era avvenuto con frequenza. E molte delle richieste d’aiuto non riguardavano solo l’ambito sessuale ma anche il grave sfruttamento lavorativo.

Addirittura, c’è stato un rovesciamento dei rapporti rispetto al 2022: le segnalazioni riguardanti lo sfruttamento sessuale sono state il 32,3 per cento, mentre quelle riguardanti lo sfruttamento sul lavoro sono state il 58,1 per cento. «La rete antitratta si occupa anche del contrasto al grave sfruttamento e del caporalato – conclude Mossino – un problema che abbiamo visto essere molto pressante in Italia. Il non ricevere finanziamenti adeguati e puntuali costringe gli enti del terzo settore a sospendere il pagamento degli stipendi dei propri dipendenti e, quindi, a non garantire il funzionamento del sistema antitratta. Ovunque».

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