Mentre la crisi climatica soffia temperature bollenti, i consumatori del futuro mettono al riparo i loro lauti pranzi con una boccata di aria refrigerata. I centri commerciali si evolvono, diventando in tutto il mondo, il luogo dove si mangia e si beve a temperature controllate e rassicuranti
Parlando di Singapore, dove si stabilì per lavoro, Tiziano Terzani disse che era «un’isola che andava ad aria condizionata». Erano gli anni Settanta, il primo apparecchio per il raffreddamento dell’aria era stato brevettato nel 1886, nel 1902 veniva messo in moto risolvendo anche il problema dell’umidità. In tutti questi anni la situazione dell’aria condizionata a Singapore, un’isola-stato con sei milioni di abitanti, si è consolidata diventando una compagna fedele della vita dei suoi abitanti.
«Qui vanno forte con l’aria condizionata»; ci racconta un bartender di origine spagnola che lavora dietro il bancone di un famoso cocktail bar d’albergo. Il raffreddamento della temperatura di 10-12 gradi permette ai dipendenti delle strutture di lusso di lavorare con divise eleganti, giacche e gilet, mentre fuori manca il respiro e i vestiti si attaccano alla pelle per l’umidità. «Singapore è bella, solo che certe volte è troppo piccola per me», racconta una ragazza seduta al banco del bar. Certo la mancanza di spazio lineare è stata compensata da quello verticale, da un sublime gioco di grattacieli, come il Marina Bay, Sands, ormai simbolo di questo puntino nel continente asiatico: tre grattacieli con casinò sormontati da una struttura orizzontale dove ci sono bar e piscine.
Questo labirinto di centri commerciali, tutti collegati tra loro, è anche un nugolo di ristoranti, bar e caffetterie, dove locals e turisti fanno la fila per accaparrarsi un sandwich o un bubble tea. Difficile vedere persone mangiare per strada: ognuno ha la sua sedia sotto l’aria condizionata che gli spetta. A differenza dell’Italia, non ci sono solo grandi marchi commerciali a tenere banco tra le fila della gastronomia dei mall, ma anche ristoranti come quello dello chef britannico Gordon Ramsey o insegne presenti sulla guida Michelin. Proprio la guida segnala sempre, tra i servizi offerti dai ristoranti del mondo, se c’è o meno l’aria condizionata. È una sorta di rassicurazione che non si mangerà sudando e sventolandosi affannosamente il viso.
L’oppio degli anni 2000
Negli Stati Uniti, dove è stata inventata, l’aria condizionata viene considerata quasi un bene di prima necessità. Las Vegas ne è l’esempio portante: una città che è un labirinto di hotel, ristoranti, sale da gioco e lounge, dove in estate si respira solo dopo aver varcato la soglia delle porte girevoli delle strutture. Anche qui ci si dà appuntamento in qualche bel ristorante, dopo aver preso due o tre rampe di scale mobili passando da un palazzone all’altro.
In America, e poi a cascata nel resto del mondo, la ristorazione nei centri commerciali, paradisi dell’air conditioning, ha affrontato un cambiamento epocale. Si è cominciato con le food hall (o food court) delle sorte di piazze al coperto con tavolini comuni dove sedersi dopo aver preso il cibo da qualche fast food.
Le potremmo paragonare quasi a delle nostrane sagre. Da qui si è passati ai destination restaurants, delle insegne di medio o alto livello che fossero in grado, da sole, di trascinare i visitatori nei più grandi centri commerciali del paese, assicurando loro un’esperienza simile a quella di un ristorante sulle vie del centro città, se non superiore. Via i vassoi lavabili, le tovagliette usa e getta e i porta tovaglioli. Dentro camerieri, posate e scritte al neon.
Clienti e pranzi ad aria condizionata
«Abbiamo di fronte un futuro in cui dipenderemo dalle prestazioni perfette e continue dell’aria condizionata come molte persone dipendono da farmaci salvavita», ha scritto di recente il Washington Post, e questo varrà anche per la ristorazione. Avere l’aria condizionata a palla nei locali significherà garantire ai clienti di poter mangiare in serenità, scegliendo anche i piatti più speziati, carichi e piccanti, oppure bevendo alcolici. E sarà imperativo per agevolare condizioni di lavoro umane ai dipendenti.
Del resto la lezione è già nota in molti paesi: per esempio a Dubai, Abu Shabi o Bangkok. Qui, dentro i numerosi centri commerciali, si gira con il giacchetto e ci si accomoda a ristoranti e bar di alto livello. Del resto nessuno compra vestiti costosi o cibi succulenti se non è a suo agio con le temperature corporee. Soprattutto se è abituato a vivere dalla mattina alla sera con l’aria condizionata a mille.
Problemi da primo mondo, sicuro, che prima o poi toccheranno anche l’Italia, che ha un approccio ancora – in parte – ingenuo con aria condizionata e centri commerciali. Abituati a vivere nelle piazze, sotto i portici, nelle strade, gli italiani usano i centri commerciali principalmente con la finalità di fare gli acquisti, ma si sono presto abituati a farne punti di ritrovo e di incontro.
Oggi sono luoghi dove ci si dà appuntamento anche solo per prendere un gelato o per guardare un film al cinema, mentre le sale di quartiere languono.
L’amore italiano per i centri commerciali
Alla fine del 2021, secondo un dato di Bussinesscoot, in Italia si contavano 1269 poli commerciali organizzati, più di 1000 centri a temperatura controllata e garantita dove vivere, incontrarsi e mangiare. E anche se i dati del 2022 indicano che dopo il Covid la crescita di questi spazi, soprattutto in termini di permanenza, sembra calare, il centro commerciale più frequentato d’Italia, Arese, fa comunque 17 milioni di passaggi all’anno. È indubbio che per chi viene, la presenza di una proposta gastronomica particolarmente accattivante, sia un plus.
Non più solo marchi storici di hamburger e patatine, ma anche le insegne più accattivanti che si trovano nei centri delle grandi città. Tenuti fuori i nomi dei piccoli artigiani o dei singoli chef, che non potrebbero mai sostenere i costi di certi affitti, l’offerta è comunque in mano da alcuni monopolisti. McDonald’s ad esempio è almeno in 25 centri commerciali italiani, La Piadineria in più di 70 insegne del genere.
Con il crescere delle temperature alle nostre latitudini, probabilmente osserveremo un cambio di passo in questa direzione. Se oggi avere uno spazio all’esterno per un ristorante è uno strumento imprescindibile di guadagno, soprattutto nelle stagioni più calde, un giorno l’imperativo sarà poter mangiare al chiuso, in un luogo delimitato e refrigerato.
Non importa quanto caldo faccia fuori. In questo i centri commerciali, le gallerie e le stazioni, raccolgono l’eredità storica dei mercati (e dei Grandi Magazzini), vero fulcro sociale ed economico delle civiltà affacciate sul Mediterraneo, ma anche dell’Asia o del sud America. Spazi chiusi, puliti, moderni ed efficienti dove per mangiare si ricorre a una tecnologia funzionale ed invasiva: una boccata d’aria fresca.
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