Biancavilla è un paese in provincia di Catania costruito con i materiali cancerogeni della cava di Monte Calvario. Un’area di 330 ettari che da 25 anni attende di essere messa in sicurezza, dopo che l’intero territorio comunale è stato dichiarato sito di interesse nazionale (Sin). Un caso unico in Italia, finito nello studio epidemiologico Sentieri per «un eccesso di mortalità per mesoteliomi, in particolare della pleura», sia negli uomini che nelle donne, e anche tra i giovani.

La lunga attesa della popolazione per la bonifica sembra essere terminata: nelle scorse settimane sono partiti i lavori, finanziati con 15 milioni di euro dal ministero dell’Ambiente.

Le preoccupazioni, tuttavia, non sono terminate: nel mirino è finito il progetto e, in particolare, il presunto rischio di dispersione nell’aria di polveri contaminate. A occuparsi del cantiere è una società con più di qualche ombra, tra processi in corso, parentele con boss di Cosa nostra e, da ultimo, oggetto del caso dossieraggio su cui indaga la procura di Milano con al centro il gruppo di spioni che fanno capo al presidente della Fiera Milano, Enrico Pazzali.

Il caso Biancavilla

Che il territorio biancavillese sia avvelenato è un dato noto. Il nome Monte Calvario fotografa le emozioni di un’intera comunità: case, piazze e strade sono state edificate, a partire almeno dagli anni Cinquanta, con gli inerti recuperati dagli scavi e pieni di quella polvere chiara, una «fibra asbestiforme», del tutto simile all’amianto. Tradotto: cancerogena. A fine anni Novanta, si diceva che per ripulire tutto sarebbero stati necessari 40 miliardi di lire.

Bisogna aspettare anni, però, perché qualcosa si muova. Nel 2015, il governo nazionale stanzia i soldi per «interventi di bonifica, messa in sicurezza permanente e ripristino ambientale dell’area di cava di monte Calvario per la fruibilità a parco». Tra progettazione, gara d’appalto e una lunga querelle nelle aule dei tribunali amministrativi, passano altri otto anni prima che si arrivi al taglio del nastro del cantiere: è l’inizio del 2023, quando a Monte Calvario arrivano anche l’ex governatore della Regione e attuale ministro della Protezione civile Nello Musumeci, il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, la prefetta Maria Carmela Librizzi e uno stuolo di onorevoli regionali.

«È questa la politica che dà il buon esempio. Dopo anni di lavoro, i cittadini di Biancavilla hanno la certezza che viene messa in sicurezza un’area che ha causato tanto dolore», dichiarava Musumeci.

A essersi aggiudicate l’appalto sono state tre imprese: Rem, Gentile Ambiente e Teseco Bonifiche. Quest’ultima, però, si tira indietro quasi subito e rinuncia. Poi tocca a Gentile Ambiente: nella primavera 2024, la ditta comunica di avere ricevuto un’interdittiva antimafia dalla prefettura di Napoli. Fuori Teseco, fuori Gentile Ambiente, ne resta soltanto una: la Rem srl.

La Rem srl

Rem (Realizzazioni e montaggi) è di proprietà della siracusana Daniela Pisasale. Ad amministrare l’azienda sono due uomini: Andrea Domenico Rendo e Giuseppe Maria Santangelo.

Tutti e tre risultano tra le persone «spiate» dalle società di investigazioni private Mercury Advisor ed Equalize, accusate dalla procura di Milano di dossieraggio.

Oltre a loro, però, nelle carte dei magistrati meneghini c’è il nome del vero patron dell’azienda: Emanuele Caruso. Nato a Paternò nel 1967, insieme al fratello più giovane Gaetano è al vertice di una holding che ha tra i suoi interessi costruzioni, cave e rifiuti. Un business che li pone tra gli imprenditori più potenti della Sicilia orientale.

Emanuele Caruso non compare più nella compagine societaria di Rem dall’estate 2020, quando è stato arrestato – insieme alla compagna Pisasale – per avere dato una mazzetta al direttore tecnico della discarica di Bellolampo, nel Palermitano. La coppia è stata condannata in primo e secondo grado, e al momento è pendente un ricorso in Cassazione. Nel 2024, invece, è arrivata l’assoluzione per la società.

Nel 2023, la Rem era finita di nuovo nei fascicoli di un’inchiesta giudiziaria, conclusasi con l’archiviazione a dicembre dello stesso anno. I magistrati accusavano i rappresentanti della società, Rendo e Santangelo, di deposito incontrollato di rifiuti nel grande impianto di compostaggio di Catania. I capannoni si trovano in un’area che in passato ospitava un macello e in cui, nel 2007, vennero uccisi il boss Angelo Santapaola e il suo braccio destro. I cadaveri, bruciati, vennero riconosciuti dalle fedi nuziali.

Le ombre sui Caruso che arrivano dal passato

Ma le ombre più pesanti per i Caruso arrivano dal passato. A fine anni Duemila, i due fratelli vengono indagati per associazione mafiosa e viene disposto, nei loro confronti, un sequestro da decine di milioni. Per i magistrati fanno parte della famiglia di Cosa nostra Santapaola-Ercolano. L’accusa, però, non regge e viene prima derubricata in concorso esterno e poi cade in tutti i gradi di giudizio: per i giudici i Caruso sono vittime di estorsione. Come lo erano stati anni prima, quando alla sbarra in un altro processo c’era stato lo zio Pippo Mirenna, boss dei Santapaola-Ercolano noto per la capacità di infiltrare la mafia catanese nei lavori pubblici.

Mirenna venne ritenuto responsabile di avere imposto il pizzo ai propri nipoti.

In ultimo Caruso e Pisasale vengono citati nella sentenza di Cassazione di un processo sugli intrecci tra mafia e massoneria nell’aggiudicazione di aste giudiziarie. In quella circostanza la coppia viene sentita dai magistrati in seguito al ritiro di un’offerta per un immobile. Le loro dichiarazioni vengono definite «false» dai giudici. «La Corte di secondo grado», si legge, «evidenzia che Caruso è un soggetto inserito in ambienti criminali». Alla richiesta di un commento, gli amministratori Rendo e Santangelo chiosano: «Trattandosi di informazioni personali, le domande andrebbero rivolte ai diretti interessati».

Le paure della popolazione

Le paure più immediate dei cittadini di Biancavilla, però, riguardano l’esecuzione di lavori estremamente delicati. A porre l’attenzione sul progetto è stata, a settembre, una consigliera comunale, sollevando perplessità sulle perforazioni previste nelle pareti della cava di Monte Calvario. I buchi nella roccia rischierebbero di sollevare polveri. Tanto che Rem avrebbe avuto difficoltà a trovare ditte specializzate pronte a occuparsi di questi lavori poiché per molti bagnare la pietra non basterebbe a evitare che gli operai respirino fibre cancerogene.

«Sono state già individuate alcune società ed è stato sottoposto al Collegio consultivo tecnico uno specifico quesito per il quale si è in attesa delle relative determinazioni, onde poter procedere alla contrattualizzazione», ribattono gli amministratori della società, raggiunti dal quotidiano Domani.

La Rem, per bocca di Rendo e Santangelo, dà anche rassicurazioni sul piano dei rischi in cantiere: «L’intero progetto, nonché le modalità operative di esecuzione, sono state definite e approvate dal ministero dell’Ambiente, dal ministero della Sanità, da Arpa e da Spresal, organi competenti alla individuazione delle misure atte a garantire la salute e sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente».

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