Il garante del movimento Beppe Grillo chiedeva una nuova leadership entro la fine del 2020. Il rinvio della decisione rafforza l’unico leader riconoscibile, Luigi Di Maio, che sfila anche a 90° minuto
- Beppe Grillo chiedeva, in una lettera ufficiale ad aprile, un nuovo capo politico «entro la fine del 2020». Il ritardo rende il Movimento 5 stelle una nave senza nocchiero nella tempesta della verifica di governo.
- C’è però chi la campagna elettorale interna la sta già facendo. Primo fra tutti, Luigi Di Maio. L’offensiva si legge fra le righe anche di un solo giorno di agenda del ministro degli Esteri, domenica 13 dicembre.
- Intanto il Movimento 5 stelle continua a perdere pezzi. Altri quattro deputati hanno abbandonato il gruppo parlamentare alla Camera questa settimana dopo il voto sulla risoluzione sul Mes e sono passati al Misto.
L’elezione della nuova leadership del Movimento 5 stelle arriverà «non prima di metà gennaio», dice Roberta Lombardi, capogruppo del M5s nel consiglio della Regione Lazio e componente del Comitato di garanzia con Vito Crimi e Giancarlo Cancelleri. Con buona pace di Beppe Grillo che chiedeva, in una lettera ufficiale ad aprile, un nuovo capo politico «entro la fine del 2020». Il ritardo rende il Movimento 5 stelle una nave senza nocchiero nella tempesta della verifica di governo. Almeno ufficialmente, perché nei fatti una leadership riconoscibile c’è ed è ancora quella di Luigi Di Maio, ex capo politico, mai del tutto ex.
Il nuovo organo collegiale
Il calendario è obbligato e a dettarlo sono i tempi tecnici. Venerdì gli attivisti hanno confermato con il voto su Rousseau la scelta di un organo collegiale: la modifica allo Statuto - che oggi prevede un unico capo politico - richiederà «due settimane di preavviso e la convocazione dell’assemblea degli iscritti attraverso il portale Rousseau», spiega Roberta Lombardi. Le candidature saranno individuali ed è ormai certo che si vada verso la scelta di cinque membri.
C’è però chi la campagna elettorale interna la sta già facendo. Primo fra tutti, Luigi Di Maio. L’offensiva si legge fra le righe anche di un solo giorno di agenda del ministro degli Esteri, domenica 13 dicembre: al mattino e al pomeriggio le “agorà digitali” con gli attivisti di Puglia e Sicilia - di fatto un tour di comizi su Zoom - e poi in tv come ospite nel programma calcistico 90° minuto. Dalla fine degli Stati generali l’ex capo politico si muove come se non si fosse mai dimesso. Interviste, interventi sui social, lettere ai giornali. Sua l’ultima parola sulla patrimoniale, sulla riforma del Mes, sulla possibilità di una crisi di governo.
«Un ritorno in prima linea? In seconda non ce l’ho mai visto, Luigi non è mai venuto meno al suo ruolo», dicono alcuni esponenti del movimento. Come a dire che non è di certo un segreto che l’ex capo politico abbia le redini del M5s, anche dopo le dimissioni. Ma mai in maniera così pubblica. Ed è chiaro il motivo: il voto su Rousseau per la leadership collegiale presto o tardi arriverà e non basterà il potere esercitato dietro le quinte per vincerlo. Ci vorrà soprattutto la popolarità fra gli iscritti, quella che non manca all’avversario più temibile, Alessandro Di Battista. Al contrario, l’ex deputato si è chiuso in un silenzio enigmatico: non ha detto una parola fuori posto nelle ultime settimane, evitando persino di commentare il voto sulla riforma del Mes, di cui è fermo oppositore.
L’emorragia parlamentare
Intanto il Movimento 5 stelle continua a perdere pezzi. Altri quattro deputati hanno abbandonato il gruppo parlamentare alla Camera questa settimana dopo il voto sulla risoluzione sul Mes e sono passati al Misto: Carlo De Girolamo, Maria Lapia, Antonio Lombardo e Fabio Berardini. Quest’ultimo, su Facebook, ha scritto che i tredici Cinquestelle che hanno votato contro le indicazioni della maggioranza sul Mes sono «stati minacciati di espulsione ed emarginati» e ha parlato di «clima tossico» all’interno del Movimento.
C’è chi assicura che ci saranno nuovi addii. Il numero dei fuoriusciti dall’inizio della legislatura è già record: il Movimento è passato da 227 deputati a 191, da 111 senatori a 92. Per un totale di oltre cinquanta parlamentari in meno fra abbandoni ed espulsioni.Questa settimana, inoltre, due deputati ex M5s, Michele Nitti e Paolo Lattanzio, già transitati al Misto, hanno annunciato l’adesione al gruppo parlamentare del Pd.
Una scelta «in continuità con un percorso di affinità in molti ambiti», specifica Lattanzio. Secondo l’ex Cinquestelle, «è endemico che ci siano degli abbandoni nel Movimento perché già dall’inizio erano presenti posizioni molto distanti sui temi sociali, economici, europei, sull’immigrazione». A dimostrazione di questo vizio di origine, aggiunge Lattanzio, «il dato emblematico è che stiano uscendo dal gruppo persone molto diverse fra di loro».
Con una lettura più maliziosa, c’è chi all’interno del Movimento fa notare che la diaspora dei parlamentari abbia molto a che fare con il limite dei mandati: «Guarda caso chi se ne va, è spesso al secondo mandato».
Il rapporto con Rousseau
Un’altra bomba orologeria all’interno del Movimento è la revisione del rapporto con la piattaforma Rousseau e l’associazione di Davide Casaleggio. Gli Stati generali, convalidati dal voto degli iscritti, hanno richiesto che si proceda a «un nuovo contratto di servizio o accordo di partnership».
In tutta risposta, il prossimo fine settimana, mentre si terrà un’appendice degli Stati generali, l’Associazione di Casaleggio organizzerà l’iniziativa “Rousseau incontra la base”. «Mi pare chiaro che la volontà di boicottare tutto sia l’unico obiettivo della piattaforma a cui sto versando 300 euro al mese, tutto ciò è inaccettabile, deprimente e deve finire al più presto, le due strade non possono più andare assieme», dice il deputato Sergio Battelli. E non è il solo a pensarla così.
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