Nella prima giornata del suo 35esimo viaggio, papa Francesco sull’isola di Cipro mette in luce le contraddizioni dell’Europa, dall'immigrazione alle confessioni, non dimenticando l’insegnamento di Benedetto XVI
- È un papato mediterraneo quello che Bergoglio consolida in occasione del suo 35esimo viaggio apostolico a Cipro e in Grecia. Ma il suo è anche un cammino verso i paesi geograficamente più ai margini.
- «Un potere dei gesti e non gesti di potere», dice il pontefice all’Europa sempre più divisa tra un nazionalismo confessionale e il rifiuto all’accoglienza e integrazione, come mostra l’emergenza migranti a Cipro.
- Francesco sa che il suo compito è spegnere le divisioni, perché l’impegno tracciato dagli incontri interreligiosi, tradotto a parole nel Documento sulla fratellanza umana e l’enciclica Fratelli tutti, non sono sufficienti. E fa sua la lezione di Ratzinger
Con il trentacinquesimo viaggio dall’inizio del suo pontificato, a Cipro e in Grecia, Francesco consolida la vocazione mediterranea del suo papato. Ma il suo è anche un cammino profondamente europeo, perché il pontefice venuto dalla «fine del mondo» non può che rinsaldare le radici del vecchio continente nel luoghi dove i margini sono cedevoli, punti di sutura di una ferita che ancora sanguina.
«Il Mediterraneo, ora luogo di conflitti e tragedie umanitarie, nella sua bellezza profonda è il mare nostrum, il mare di tutti i popoli che vi si affacciano per essere collegati», ha detto Bergoglio davanti alle autorità riunite nel palazzo presidenziale di Cipro, un «cantiere aperto di pace» sulle drammatiche cifre stilate dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni: nel 2021, i morti nel Mediterraneo sono raddoppiati rispetto all’anno precedente.
Un papato mediterraneo
Non è un caso che, nel discorso alle istituzioni del governo greco-cipriota, il pontefice abbia scelto la metafora della perla: «Una perla porta alla luce la sua bellezza in circostanze difficili, nasce nell’oscurità quando l’ostrica soffre dopo aver subito una visita inattesa che ne mina l’incolumità».
Secondo il portavoce dell’esecutivo Mario Pelekanos, l’incolumità sarebbe minacciata dalle pressioni della Turchia accusata di «trarre vantaggio dalla sofferenza umana, poiché la stragrande maggioranza dei flussi di proviene da quel paese».
Con l’arrivo di oltre mille migranti irregolari al mese, il governo di Nicosia ha chiesto all’Europa di agire, minacciando di sospendere le domande di asilo verso chi entra illegalmente: «C’è un potere dei gesti che prepara la pace: non quello dei gesti di potere, delle minacce di ritorsione e delle dimostrazioni di potenza, ma quello dei gesti di distensione, dei concreti passi di dialogo», ha ricordato il papa, imputando anche all’Europa la responsabilità di un «dialogo che langue», come già aveva ricordato nell’incontro Mediterraneo, frontiera di pace tenutosi a Bari poco prima dello scoppio della pandemia: «La comunità internazionale si è fermata agli interventi militari, mentre dovrebbe costruire istituzioni che garantiscano uguali opportunità e luoghi nei quali i cittadini abbiano la possibilità di farsi carico del bene comune».
Domani alle 16 (ora italiana) il papa terrà una preghiera ecumenica con i migranti nella chiesa di santa Croce a Nicosia. Il tempio, collocato lungo la «linea verde» che divide Cipro in due, si affaccia per due terzi sulla zona settentrionale dell’isola, dove si erge la Repubblica turca di Cipro Nord, autoproclamatasi tale con l’occupazione militare del 1974.
Lungo i bordi dell’Europa
A Cipro il papa dimostra che il suo sguardo europeo non è fatto di viaggi introflessi nel cuore del continente, ma ai suoi confini. Se si escludono le partecipazioni agli incontri internazionali, nei suoi otto anni di pontificato Francesco ha prediletto i paesi europei ai margini.
La sua penultima tappa apostolica è stata la Slovacchia, ma vale anche per la Romania nel 2019, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia nel 2018, la Bosnia e l’Erzegovina nel 2015 e il Portogallo due anni dopo.
Camminare lungo i bordi dell’Europa per Francesco serve non solo a far memoria di un’identità di valori laddove è più vulnerabile, ma anche mostrarne la resilienza, messaggio in nuce nel Vangelo stesso: «La chiesa in Cipro ha queste braccia aperte: accoglie, integra, accompagna. È un messaggio importante anche per la chiesa in tutta Europa, segnata dalla crisi della fede: non serve essere impulsivi e aggressivi, nostalgici o lamentosi, ma è bene andare avanti leggendo i segni dei tempi e della crisi», ha detto rivolgendosi ai sacerdoti, religiosi e cattolici nella cattedrale maronita di Nostra signora delle grazie.
È la lezione di Bergoglio a quei paesi europei così pugnaci da incasellare il cristianesimo in una religione di stato: «Barnaba non schiaccia la fede fragile dei nuovi arrivati con atteggiamenti rigorosi, inflessibili, o con richieste troppo esigenti in merito all’osservanza dei precetti», ha detto il papa ricordando l’apostolo che secondo la tradizione evangelizzò Cipro .
L’identità di cui il pontefice si fa interprete trasforma la soglia mediterranea in un luogo di prossimità, come già ricordava due anni fa in un simposio sulla teologia nel contesto del Mediterraneo svoltosi a Napoli. «Siete una porta aperta, un porto che congiunge: Cipro, crocevia di civiltà, porta in sé la vocazione innata all’incontro», ricorda Bergoglio, richiamandosi all’intuizione di Giorgio La Pira, che aveva definito il mare nostrum un nuovo «lago di Tiberiade».
Sulle orme di Benedetto
Il viaggio di Francesco nella Repubblica di Cipro è la tappa che più risente dell’eco di Benedetto XVI. Ratzinger fu il primo papa a visitare l’isola in un momento assai delicato: nel giugno 2010, poco prima del suo arrivo, Luigi Padovese, allora presidente dei vescovi in Turchia, era stato decapitato per mano di Murat Altun al grido fondamentalista: «Ho ammazzato il grande satana! Allah Akbar!».
Nel 2016 al soglio pontificio c’era già Bergoglio quando quello stesso integralismo non aveva più colpito la porta, ma il cuore stesso d’Europa con l’omicidio in Normandia del sacerdote francese Jacques Hamel.
Francesco sa che il suo compito è ancora depotenziare le divisioni, perché il pervicace impegno tracciato dagli incontri ecumenici e dal recente viaggio in Iraq, tradotto a parole nel Documento sulla fratellanza umana e l’enciclica Fratelli tutti, non è sufficiente.
In quella ritenuta una delle sue più dense omelie, nel 2010 papa Benedetto XVI aveva trovato risposta nel simbolo cristiano per eccellenza: «Un mondo senza croce sarebbe un mondo senza speranza, un mondo in cui la tortura e la brutalità rimarrebbero sfrenati, il debole sarebbe sfruttato e l’avidità avrebbe la parola ultima». Oggi papa Francesco parte da questa chiesa, crocifissa dentro e fuori se stessa, per renderla «strumento di fraternità per il mondo».
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