Roma si conferma capitale delle cosche. Dopo le ripetute inchieste dei mesi scorsi, che hanno svelato alleanze, complicità politiche e imprenditoriali di camorra e ’ndrangheta, ora una nuova operazione svela gli orizzonti finanziari della ’ndrangheta romana.

Ossia, una frode all’Iva di quasi 7 milioni di euro nel campo della commercializzazione dei prodotti petroliferi realizzata attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, ma soprattutto tramite l’aggravante del metodo mafioso.

Gli uomini del Gico della Guardia di finanza, coordinati dai magistrati antimafia capitolini, hanno svelato gli interessi della ‘ndrangheta nei depositi di benzina e gasolio della Capitale, sotto il controllo del clan Mazzaferro di Marina di Gioiosa Jonica, in provincia di Reggio Calabria. Un casato che ha fatto la storia della mafia calabrese.

Venticinque le misure cautelari disposte dal gip Elvira Tamburelli nei confronti di chi, a vario titolo, faceva parte del gruppo criminale che, per mezzo di «un’articolata struttura imprenditoriale», “comandava” il settore dei carburanti ed era riuscito a infiltrarsi nelle sacche dell’economia legale.

In carcere, più in particolare, sono finite sette persone. Tra di loro c’è anche Nicolò Sfara, classe 1994, di Locri, meglio conosciuto come il «petroliere» e molto vicino, per legami parentali, alla famiglia ‘ndranghetista.

Sfara ha stretto una solida relazione affaristica con un imprenditore romano, Alessandro Toppi (ai domiciliari), al centro dell’inchiesta i suoi rapporti con il clan Mazzaferro: nell’ordinanza si parla di «fitte trame di relazioni nel comparto petrolifero con esponenti calabresi quali Vincenzo Mazzaferro, il figlio Salvatore Mazzaferro e Nicolò Sfara, tutti da tempo operativi nella Capitale sul mercato dei prodotti petroliferi, grazie alla complicità di una pluralità di soggetti e dell’utilizzo di società cartiere e di comodo».
In altre parole la società Istituto Servizi Italia srl, al centro dell’inchiesta, ha come titolare proprio l’imprenditore Toppi con la moglie, ma è «di fatto riconducibile», scrivono gli investigatori, «al coindagato Nicolò Sfara e per esso al gruppo Mazzaferro».

Quando, nel 2019, «Toppi cede l’intero capitale sociale (della società Istituto Servizi Italia srl, ndc) a un soggetto contiguo a un clan di camorra, lasciando peraltro all’oscuro della cessione Sfara», quest’ultimo non la prende affatto bene. Per il «petroliere» si tratta di un vero e proprio «affronto», e per questo «si mostra determinato», si legge ancora nelle carte giudiziarie, «a risolvere la questione ricorrendo alla logica mafiosa della violenza». Motivo per cui l’imprenditore romano «si allontana precipitosamente dall’Italia per trovare riparo in Albania, preoccupandosi di mettere al sicuro anche moglie e figlio presso persone fidate».

Ma gli affari sul carburante si basano su «una serie di alleanze anche con soggetti contigui ad altri contesti di criminalità organizzata operativi nella Capitale e in altre regioni». Alleanze che permettono di realizzare «iniziative economico-imprenditoriali per riciclare i proventi illeciti della cosca». Gli inquirenti registrano anche «l’acquisizione della gestione di un impianto di carburanti in territorio viterbese (Montefiascone), gestito dagli indagati attraverso la società Pegasus Petroli srls, ma appunto nell’interesse e per conto del gruppo criminale di riferimento».
«Grazie compare bello, sapete che cosa vi voglio fare, un altro, un altro paragone che non è un paragone perché poi quando parlo dì queste cose mi viene, mi viene il brivido addosso. Il Gladiatore lo avete visto voi? Quando all'ultimo dice, all’ultimo poi quello che tira fuori dice io sono Marco Antonio, che ho servito l’unico vero imperatore, Marco Aurelio (…) E io gli dissi, io gli dissi a vostro nipote ho servito l’unico vero boss, senza offesa per nessuno», dice intercettato uno degli indagati dell’inchiesta.

Sta parlando col boss Rocco Mazzaferro. Il nipote a cui si fa riferimento per manifestare tutto il proprio asservimento alla famiglia mafiosa è Nicolò Sfara, “signore del petrolio” a Roma. Almeno fino al blitz di questa mattina.

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