Non molto tempo dopo che il James Webb Space Telescope (JWST) ha iniziato le sue osservazioni astronomiche, gli astrofisici hanno annunciato di aver scoperto galassie nell’universo primordiale che erano di gran lunga troppo grandi, luminose e piene di stelle per la loro età. In altre parole per dare vita a quanto osservava Webb ci voleva molto più tempo tra il Big Bang e quegli oggetti. Era come essere di fronte a un bambino nato un mese prima con sembianze da quarantenne.

Mentre i titoli di tutto il mondo affermavano che queste galassie stavano «distruggendo» la nostra comprensione del Big Bang, la verità era ed è molto più interessante e non così banale. La teoria del Big Bang è la nostra immagine generale della storia dell’universo, a partire dal suo profondo passato, quando il cosmo era molto più piccolo, più caldo e più denso di quanto non sia oggi.

Questo modello, inizialmente sviluppato all’inizio del XX secolo, è sopravvissuto a una serie di test osservativi ed è estremamente efficace nello spiegare una varietà di osservazioni cosmologiche, tra cui lo spostamento verso il rosso della luce da galassie distanti, la comparsa di radiazioni residue sotto forma di fondo cosmico a microonde, l’abbondanza di elementi leggeri e l’evoluzione di galassie e strutture più grandi. Mentre la teoria del Big Bang non può dire con certezza quali galassie appariranno dove, può parlare di probabilità.

Ad esempio, i cosmologi possono dire approssimativamente quante piccole galassie, quante galassie medie e quante galassie grandi dovrebbero apparire in un dato volume a una certa età dell’universo.

Ma fino al JWST, non avevamo accesso diretto all'osservazione delle prime fasi dell’evoluzione galattica, qualcosa per cui il telescopio era stato esplicitamente progettato. Nel 2022, gli astronomi hanno annunciato di aver trovato galassie estremamente distanti che erano sorprendentemente e stranamente grandi.

Il redshift

Avevano misurato il redshift delle galassie a un valore superiore al 16, il che implica che queste galassie esistevano solo 200 milioni o 250 milioni di anni dopo il Big Bang. Eppure erano gigantesche e sembravano completamente formate, con bracci a spirale e tutto il resto. Per conoscenza il redshift registra il fenomeno per cui la luce o un’altra radiazione elettromagnetica emessa da un oggetto in allontanamento ha una lunghezza d'onda maggiore rispetto a quella che aveva all'emissione.

Tanto più alto è il redshift dunque, tanto più è distante un oggetto. Prima del Webb i redshift più elevati superavano di poco il valore 11. Le galassie dunque, con un redshift attorno a 16 sembravano molto al di fuori delle aspettative della teoria del Big Bang; era come trovare quei quarantenni dell’esempio iniziale in un’aula di asilo. Ecco perché si è arrivati a dichiarare la morte della teoria del Big Bang. Ma cosa stava succedendo realmente?

A dire il vero coloro che hanno decretato la fine del Big Bang hanno tralasciato un dettaglio cruciale: gli astronomi hanno stimato il redshift di quelle galassie tramite una tecnica nota come fotometria, che è, anche ai nostri giorni, molto incerta.

Prima di gridare alla morte del Big Bang, come teoria, era necessario attendere una misurazione più precisa dei redshift e conseguentemente della loro età. Quando finalmente arrivarono le misurazioni più precise qualche mese dopo, quelle galassie si trasformarono da record-distruttori a semplici galassie normali.

Ad esempio, il redshift di una galassia fu rivisto da oltre 16 a solo 4,9, spostando la sua età da 240 milioni di anni dopo il Big Bang a ben oltre un miliardo di anni. È un’età più che sufficiente perché la normale teoria del Big Bang ne spieghi le dimensioni e le forme. Ma insieme a queste revisioni meno entusiasmanti sono arrivati ​​alcuni nuovi redshift di altre galassie, tra cui JADES-GS-z14-0, la galassia attualmente più distante conosciuta, con un redshift di 14,32, un valore davvero molto alto.

Questa galassia era viva e vegeta quando il cosmo aveva solo 290 milioni di anni. E i dati sembrerebbero corretti al cento per cento. Ma va anche detto che gli astronomi si aspettavano che le galassie esistessero già 290 milioni di anni dopo il Big Bang; ecco perché hanno costruito il JWST, proprio per studiare quelle galassie. E per quanto riguarda JADES-GS-z14-0 non c’è dubbio che è davvero molto giovane, in quanto sembra avere un diametro di soli 1.600 anni luce, molto piccola se si pensa che la nostra galassia, la Via Lattea, ha un diametro di 100.000 anni luce.

Ma, cosa interessante, la galassia è piuttosto luminosa e piena di stelle, non abbastanza tuttavia, per distruggere quanto teorizza la cosmologia dei nostri giorni, ma abbastanza per porre alcune domande sulle origini e lo sviluppo delle prime galassie apparse nell’universo.

La teoria del Big Bang

È molto probabile che la teoria del Big Bang non sia corretta al cento per cento e gli scienziati prima o poi dovranno ammettere che esiste questa possibilità. Ma con una grande abbondanza di prove alle spalle è molto improbabile che il Big Bang venga fatto crollare da una singola osservazione.

E vale la pena ribadire che JWST sta facendo esattamente ciò per cui è stato progettato e costruito che è poi quello di rispondere ad alcune importanti domande persistenti su come sono apparse le prime stelle e le prime galassie.

Ed è alquanto probabile che i cosmologi arriveranno a spiegare l'aspetto delle galassie come JADES-GS-z14-0 nel contesto del Big Bang senza dover apportare grandi revisioni. Ad esempio, grandi buchi neri potrebbero essere apparsi prima di queste galassie e la loro attrazione gravitazionale superpotente potrebbe aver innescato formazioni stellari in grande quantità. O forse altri meccanismi hanno fatto sì che le prime galassie fossero più ricche di stelle rispetto alle galassie odierne, rendendo le primordiali più ricche in stelle nonostante le loro piccole dimensioni.

E infine, forse, dovremo aggiungere qualche nuovo ingrediente all’universo, come, ad esempio, consentire all’energia oscura di evolversi nel tempo, per produrre questo tipo di galassie in epoche così primordiali. È dunque tutto estremamente emozionante e interessante, in quanto apre nuove le porte a nuove ipotesi, a nuove ricerche e a nuovi studi.

Il più grande iceberg della Terra

Cosa sta succedendo all’iceberg più grande al mondo? A23a, questa è la sigla che lo individua, da mesi gira su se stesso, appena a nord dell’Antartide, quando in realtà dovrebbe muoversi seguendo la corrente oceanica più potente della Terra.

Sembrava davvero un mistero irrisolvibile, ma ora gli scienziati sostengono che il grande iceberg, ampio quanto metà della Valle d’Aosta, è rimasto intrappolato in un enorme cilindro d’acqua che ruota su se stesso.

È un fenomeno che gli oceanografi chiamano "Colonna di Taylor" ed è possibile che A23a non sfuggirà al suo carceriere per numerosi anni a venire. Spiega Mark Brandon, della Open Univeristy, oceanografo polare: «Di solito si pensa agli iceberg come a qualcosa di transitorio, si pensa che velocemente si frammentano e si fondono. Spesso è così davvero, ma non questo caso. A23a è l'iceberg che si rifiuta di morire».

La longevità dell’iceberg è ben documentata. Si è liberato dalla costa antartica nel 1986, ma poi è rimasto quasi immediatamente incastrato nei fanghi del fondale del Mare di Weddell. Per tre decenni è stata una "isola di ghiaccio” statica. Non si è mossa. Solo nel 2020 si è disincagliato e una volta tornato a galleggiare ha cominciato a spostarsi verso nord, dapprima molto lentamente, poi un po’ più velocemente verso acque più calde.

All’inizio di aprile del 2024, A23a è entrato nella Corrente circumpolare antartica (ACC), un “fiume” oceanico di immense proporzioni, il quale sposta attorno al globo una quantità d'acqua cento volte superiore a quella di tutti i fiumi della Terra messi insieme. Si pensava che a quel punto la corrente lo avrebbe spinto velocemente, nonostante la sua massa da quasi mille miliardi di tonnellate, verso l’Oceano Atlantico meridionale, dove sarebbe “morto”.

E invece A23a non è andato da nessuna parte. È rimasto e rimane al suo posto appena a nord delle Isole Orcadi Meridionali, girando in senso antiorario di circa 15 gradi al giorno. E finché continuerà così, il suo decadimento e la sua eventuale fine saranno ritardati e forse di molto. Non si deve pensare tuttavia, che A23a si sia nuovamente arenato, in quanto tra la sua parte inferiore e il fondale marino ci sono almeno mille metri d’acqua.

Ciò che lo blocca è un vortice descritto per la prima volta negli anni Venti dal fisico Sir GI (Geoffrey Ingram) Taylor. Egli dimostrò come una corrente che incontra un ostacolo può, in circostanze opportune, dividersi in due flussi distinti, generando tra di essi una massa d’acqua rotante che può interessare l’intera colonna d’acqua sovrastante. In questo caso, l'ostruzione è una protuberanza larga 100 chilometri che si trova sul fondale oceanico, nota come Pirie Bank. E per pura coincidenza A23a è finito all’interno del vortice ed è ora suo prigioniero.

Spiega Mike Meredith del British Antarctic Survey: «L’oceano è pieno di sorprese e questa caratteristica dinamica è una delle più carine che si incontrano attualmente. Le colonne di Taylor possono anche formarsi nell'aria; le vedi nel movimento delle nuvole sopra le montagne. Possono essere larghe solo pochi centimetri, se si producono in un serbatoio all’interno di un laboratorio sperimentale o enormi come nel caso di A23a, dove la colonna è in grado di inglobare un gigantesco iceberg al suo interno».

Per quanto tempo il grande iceberg continuerà a comportarsi come una trottola? Difficile dare una data di “morte” perché quando Meredith posizionò una boa scientifica su una colonna Taylor che si era formata sopra un'altra protuberanza ad est di Pirie Bank, lo strumento ha continuato a galleggiare per almeno quattro anni.

Dunque la trottola A23a potrebbe rimanere in quella situazione per diversi anni ancora. Tutto ciò sottolinea agli scienziati l’importanza dello studio dei fondali oceanici. Le montagne sottomarine, i canyon e i pendii infatti, hanno una profonda influenza che va ben al di là di quanto sta succedendo all’iceberg A23a, in quanto agiscono sulla direzione e sulla miscelazione delle acque, nonché sulla distribuzione dei nutrienti che determinano l'attività biologica nell’oceano.

Ma non solo, tutto ciò ha ricadute anche sul sistema climatico: sono gli spostamenti delle masse d’acqua infatti, che aiutano a disperdere l’energia termica in tutto il pianeta. Il comportamento di A23a è stato spiegato grazie al fatto che il fondale oceanico appena a nord delle isole Orcadi Meridionali è abbastanza ben studiato. Ma per il resto dei fondali marini la situazione è ben diversa. Attualmente, solo un quarto dei fondali marini della Terra è stato mappato in modo da poter capire quale può essere la loro influenza sui grandi movimenti d’acqua del nostro pianeta.

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