- Un verbale e un’intercettazione confermano il ruolo svolto da Valerio Valenti quando era capo della segreteria particolare del sottosegretario, Antonio D’Alì, il potente senatore di Forza Italia, che ha messo la sua funzione a disposizione di Cosa nostra, in particolare della famiglia Messina Denaro.
- Il prefetto Valenti non ha avuto alcuna pendenza giudiziaria, ma il suo nome ricorre negli atti dell’inchiesta su D’Alì che si è conclusa con la condanna a sei anni del berlusconiano che, dallo scorso dicembre, è in carcere.
- Il governo guidato da Giorgia Meloni ha scelto proprio “il braccio destro di D’Alì” come commissario per la questione migranti
Un verbale e un’intercettazione confermano il ruolo svolto da Valerio Valenti quando era capo della segreteria particolare del sottosegretario, Antonio D’Alì, il potente senatore di Forza Italia, che ha messo la sua funzione a disposizione di Cosa nostra, in particolare della famiglia Messina Denaro.
Il prefetto Valenti non ha avuto alcuna pendenza giudiziaria, ma il suo nome ricorre negli atti dell’inchiesta su D’Alì che si è conclusa con la condanna a sei anni del berlusconiano che, dallo scorso dicembre, è in carcere.
Il governo guidato da Giorgia Meloni ha scelto proprio “il braccio destro di D’Alì” come commissario per la questione migranti dopo che, lo scorso gennaio, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi lo aveva nominato capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione.
La carriera del prefetto ha uno snodo importante quando viene nominato viceprefetto, nel 2001, l’anno del trionfo di Berlusconi che vinceva le elezioni politiche e stravinceva in Sicilia con il famoso 61 a zero.
In quell’anno Antonio D’Alì, uomo forte di Forza Italia sull’isola, diventava numero due al Viminale e sceglieva come capo della segreteria particolare proprio Valenti.
Il poliziotto ostile
Il nome di Valenti, come rivelato da Domani, ricorre in due vicende, quelle relative a due servitori dello stato non graditi al potente e colluso sottosegretario, il superpoliziotto, Giuseppe Linares, e il prefetto, Fulvio Sodano. Nel processo che ha portato alla condanna dell’ex senatore, Valenti veniva definito dalla difesa del sottosegretario "persona vicina al D'Alì".
Ci sono alcuni passaggi ancora inediti che lo chiamano in causa in queste vicende, lui ha sempre dichiarato di non avere avuto alcun ruolo nei piani del suo dante causa, il potente sottosegretario.
All’epoca Giuseppe Linares era capo della squadra mobile di Trapani, e aveva tra i nemici giurati il forzista a disposizione della mafia. Ci sono due telefonate intercorse tra Valenti e un poliziotto della mobile, Emiliano Carena, nelle quali si faceva riferimento alla vicenda. Risalgono al 2004.
In un dialogo tra i due emerge la conoscenza di un progetto per trasferire il poliziotto. Una telefonata «in cui senza alcun dubbio si palesava l'esistenza di un piano finalizzato a sollecitare il trasferimento del dott.Linares (...) Dal tenore del colloquio emergeva infatti come il D'Alì avesse chiesto un appuntamento alla dottoressa Macrì segretaria particolare del Capo della Polizia, Prefetto Giovanni De Gennaro. Valenti era andato con il D'Alì all'appuntamento», si legge.
Il braccio destro del sottosegretario suggeriva a D'Alì di non esplicitare la richiesta al capo della polizia, «non fare questo errore perché ti metti sotto scopa», diceva Valenti al telefono. Così viene ricostruita la storia nella misura di prevenzione a carico dell’ex sottosegretario.
L’amico ai servizi
Ma la conversazione proseguiva, come emerge da altri atti allegati all’inchiesta, e conferma la potenza del sottosegretario. In particolare Carena aveva chiesto di poter passare ai servizi segreti e Valenti ricordava quella promessa. «Ma tu gli hai detto del Sismi?», chiedeva il poliziotto a Valenti che rispondeva: «Io gli ho detto...ho parlato dei servizi». Carena proseguiva: «Compare...meglio...di questa occasione era giusto che glielo dicevi» e otteneva le rassicurazioni da Valenti: «Giusto compare così ci togliamo pure questo».
La conversazione si chiude con Carena che pronuncia una frase non proprio di apprezzamento per D’Alì, ma i risultati arrivano. Carena viene proprio trasferito ai servizi segreti a dimostrazione del potere di D’Alì e del ruolo di tramite e fedelissimo esercitato da Valenti.
D’Alì si muoveva anche per trasferire il prefetto di Trapani, Fulvio Sodano, diventato presto, per la sua integerrima condotta, nemico giurato dell’allora sottosegretario di Forza Italia e trasferito. Sodano difendeva la società Ericina Calcestruzzi, confiscata e in mano pubblica al contrario di D’Alì che spingeva per le ditte del territorio, care alla mafia.
«D’ Alì... aveva continuato ad esercitare “indebite interferenze” tramite il suo segretario dott. Valenti», è scritto nella misura di prevenzione speciale a carico di D’Alì, firmata dal tribunale di Trapani nel novembre 2018.
Un prete contro
Tra le migliaia di atti spunta anche il verbale di Nini Treppiedi, un sacerdote teste d’accusa contro D’Alì, e un tempo suo confessore prima di chiudere i rapporti per alcune pressioni subite. «D’Alì insieme alla moglie mi hanno riferito dell'atteggiamento di ingratitudine da parte dell'allora capo della segreteria particolare dello stesso D'Alì, al Viminale Valerio Valenti, allora vice-prefetto, che a loro dire avrebbe fatto carriera grazie al Senatore non mostrando riconoscenza (...)
In particolare il D'Alì', secondo quanto dallo stesso riferitomi, ne avrebbe agevolato la nomina a capo di gabinetto della prefettura di Firenze in limine alla chiusura della legislatura nel 2006», diceva Treppiedi che non ha mai conosciuto Valenti e che riferiva dell’ostilità della moglie di D’Alì nei confronti dell’attuale commissario per il tenore di vita troppo alto a bordo di una Bmw.
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