La celebrazione dei tre militanti del Msi è molto più che un ricordo. Il 7 gennaio di ogni anno si misura la forza delle varie sigle fasciste. Sotto gli occhi della polizia, che è lì per garantire l’ordine pubblico
Il 7 gennaio non è solo il giorno in cui si commemorano tre giovani ragazzi uccisi 46 anni fa. Ciò che si ripete ad Acca Larentia è molto di più della celebrazione della vita e della morte di tre militanti del Movimento sociale italiano: è una conta tra partiti, gruppi e gruppetti neofascisti, è un vedere chi sta con chi, è un annusare gli umori dei camerati per capire simpatie e antipatie, accordi e disaccordi. E si ripete uguale, ogni anno: un “presente” e un braccio teso davanti agli agenti dei poliziotti della digos che presidiano l’ex sede del Msi in una traversa di via Tuscolana dove furono uccisi Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni. Una ormai conosciutissima liturgia fascista che non dà nessun fastidio a uomini e donne delle forze dell’ordine. Così come l’enorme croce celtica che campeggia davanti l’ingresso della sezione, tranquillamente visibile dalle mappe satellitari. Tutti sanno tutto, nessuno muove un dito. Non da oggi, da anni.
Liturgia neofascista
Sul mattonato di fronte l’ex sede dell’Msi, dalle prime luci dell’alba del 7 gennaio, ogni anno si rincorrono rappresentanti istituzionali prima, e capi e capetti del neofascismo capitolino, fino al partecipatissimo gran finale della tarda serata. Oltre alla presenza dei partiti istituzionali come Fratelli d’Italia, sfilano le sigle più note, da CasaPound a Forza nuova, o i gruppi più piccoli, come i reduci di Avanguardia nazionale, delle volte insieme, delle volte divisi. La giornata si apre con un saluto delle istituzioni, da cui in passato non è mancata nemmeno l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni: nel 2009, da ministra della Gioventù del governo Berlusconi, si presentò con Giuliano Castellino, negli anni divenuto leader di Forza nuova a Roma, condannato per l’assalto alla sede della Cgil del 2021.
Quest’anno alla cerimonia istituzionale hanno partecipato il presidente della regione Lazio Francesco Rocca insieme all’assessore alla Cultura del comune di Roma Miguel Gotor. Dopo di loro è arrivato il vicepresidente della Camera, il sempre presente Fabio Rampelli. Nome storico della destra capitolina, non ha mai saltato una commemorazione. I giovani di Fratelli d’Italia però quest’anno non si sono fatti vedere: hanno ricordato l’eccidio nella ben lontana Villa Glori, nel ricco e centrale quartiere dei Parioli. Hanno sfilato in una silenziosa fiaccolata lì, forse per evitare strumentalizzazioni e non mischiarsi con il resto del neofascismo capitolino.
L’appalto del “presente”
Perché l’organizzazione del “presente” è stata spesso in mano a quel mondo della fascisteria romana invischiata con la criminalità. Vicinanza che ha fatto finire la commemorazione del 7 gennaio anche nelle informative delle forze dell’ordine o dei servizi segreti. Per anni lo storico custode della sede di Acca Larentia è stato Carlo Giannotta, morto nel 2019. In una conversazione del 2014, riportata negli atti dell’inchiesta “BanglaTour”, parla a un altro camerata proponendo di partecipare alla manifestazione insieme a Forza nuova e CasaPound. Il problema? Non lasciare il monopolio della piazza a «Giulianino» Castellino e a quelli di Militia di Maurizio Boccacci, ex di Avanguardia nazionale, noto antisemita, condannato nel 2015 per la ricostituzione del partito fascista. O, per tornare più indietro nel tempo, non mancano le note del Sisde di inizio anni ‘80 sui Nuclei armati rivoluzionari di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, i due autori della strage di Bologna del 2 agosto 1980.
L’intelligence riportava «l’inizio di un mese di vigilanza anticomunista per i camerati uccisi in via Acca Larentia» o le telefonate delle rivendicazioni delle bombe a mano lanciate contro ragazzi di sinistra nei giorni precedenti al primo anniversario. Erano altri anni.
Ma dietro il ricordo dei tre giovani militanti di estrema destra uccisi nel 1978 si è sempre mosso dell’altro: la ricerca dell’egemonia tra i gruppi del neofascismo capitolino. Che non si sono mai nascosti, né agli occhi dell’opinione pubblica, né a quelli della digos, che ha sempre assistito alla manifestazione. In cui negli anni non sono mancati episodi di intolleranza nei confronti di quei giornalisti che si presentano per documentare l’immancabile saluto romano, tra croci celtiche e canti del Ventennio. Un rituale identitario che si ripete costantemente uguale a sé stesso. Anche oggi, quando chi ha sempre partecipato al “presente” per i morti di Acca Larentia siede a Palazzo Chigi.
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