Molti si fermano a quattro: dolce, salato, acido e amaro. I più esperti in fatto di cose gourmandise sanno che ce n’è un quinto, l’umami, ma, a quanto pare, sembra essercene un sesto, il cloruro di ammonio. Parliamo dei sapori che percepiamo attraverso il gusto, ovvero l’organo di senso che ci consente di cogliere le sensazioni gusto-olfattive delle cose che mettiamo in bocca. E se tutti abbiamo una certa confidenza con i primi cinque, dovremmo impegnarci un po’ a familiarizzare con l’ultimo arrivato.

A individuarlo è stato un gruppo di ricercatori dell’ateneo USC Dornsife College of Letters, Arts and Sciences di Los Angeles, in California. La ricerca, pubblicata su Nature Communications, spiega come la lingua risponda al cloruro di ammonio attraverso lo stesso recettore proteico che segnala il gusto acido, ovvero l’OTOP1. La novità degli studi sta proprio in questo, nell’aver identificato la proteina che risponde alla stimolazione di questa molecola.

Ma cos’è il cloruro di ammonio? Conosciuto anche come sale di ammonio, nella sua forma più pura è un sale cristallino bianco, solubile in acqua, di sapore piccante ed è rintracciabile in natura nei giacimenti salini, carboniferi e nelle emanazioni vulcaniche sotto forma gassosa.

Nella sua riproduzione artificiale lo troviamo come fertilizzante nella coltivazione del riso, negli shampoo, come ingrediente per la nutrizione del lievito, nei prodotti abrasivi e come medicina per la tosse quale mucolitico.

Gli scandinavi lo conoscono

Se parliamo di cibi e di cloruro di ammonio è la stessa neuroscienziata del team di lavoro universitario della California, Emily Liman, a indirizzarci verso i paesi scandinavi. La professoressa cita infatti le salmiakki – da salmiak, parola finlandese che sta per cloruro di ammonio – caramelle alla liquirizia che diventano salate perché aromatizzate con il composto. Famose nel nord Europa già dall’inizio Novecento, hanno un gusto leggermente piccante e salato. Diffusa nei paesi del nord, ma anche nei Paesi Bassi e in quelli baltici, cambia nome a seconda della lingua, avendo quasi sempre come radice il prefisso salm o salt. Siamo quindi nell’ambito dei dolciumi, ma a quelle latitudini, non è raro trovare altri alimenti che utilizzano il cloruro di ammonio tra gli ingredienti, tipo la vodka, la cola, il gelato il pepe e anche la carne in scatola.

Nonostante l’uso di questo elemento in alcuni dolci, l’enigma di come la lingua percepisca il cloruro di ammonio è rimasto in gran parte irrisolto finché la squadra di Liman non si è avventurata nell’esplorazione. In un’intervista rilasciata al giornale online Food Ingredients First, la professoressa ha spiegato come l’ammonio sia noto alla percezione gustativa da almeno un secolo.

A essere oscuro era il suo funzionamento, ovvero il passaggio attraverso lo stesso canale ionico recettore – l’OTOP1 – che rileva gli acidi sulla lingua. Una volta che l’ammonio arriva alle papille gustative cosa succede? Difficile a dirsi perché il gruppo di scienziati ha condotto lo studio su topi da laboratorio che non hanno mostrato, in verità, di gradire granché il sapore di questo sale, mentre – sottolineano i ricercatori – gli esseri umani sono esposti a molti più gusti e sapori e tendono a sviluppare un insieme più complesso di preferenze.

Prematuro

La notizia ha avuto una diffusione enorme e l’ipotesi della scoperta di un nuovo senso del gusto ha fatto il giro del mondo, ma è la stessa Liman a frenare gli entusiasmi: «Non pretendiamo di avere prove che il gusto di ammonio sia un sesto gusto» ha dichiarato la ricercatrice a Food Ingredients First.

Qualcosa di simile era già accaduto con l’Umami, il quinto gusto, quel sapore che riconduciamo, per semplificare, al dado da brodo (il glutammato monosodico). Lo scienziato giapponese Kikunae Ikeda propose per la prima volta l’umami come gusto base all’inizio del XX secolo, ma ci sono voluti ottant’anni affinché la comunità scientifica riconoscesse ufficialmente il valore delle sue ricerche.

Vero è anche che il gusto “saporito” – che è la traduzione letterale del termine giapponese umami – ha dalla sua una maggiore facilità di comprensione. Prova ne sia il fatto che è presente anche nel latte materno, che contiene una percentuale elevatissima di glutammato, rendendolo quindi universalmente gradito, mentre l’acido – e anche l’amaro – sono due segnali di pericolo per il nostro cervello, perché in quantità eccessive significano cibi velenosi o avariati.
Rimanendo sul piano della gradevolezza, risulta, al momento, difficile pensare che il cloruro di ammonio possa essere utilizzato per amplificare il gusto salato, sostituendolo al cloruro di sodio – il normale sale da cucina.

Esplorarne, dunque, le potenzialità per creare nuovi sapori o contribuire allo sviluppo di alimenti più sani non pare essere la via maestra.

Piuttosto, spiegano i ricercatori californiani, essendo il sale d’ammonio leggermente tossico, è possibile che con l’evoluzione, l’uomo, come molti altri animali, abbia sviluppato un recettore del gusto specifico per riconoscerlo.

Entriamo così nel campo della genetica del gusto, dove quest’ultimo permette l’identificazione di sostanze nutritive o tossiche e guida le scelte alimentari. A oggi questa scienza è piuttosto avanti nello studio dei geni coinvolti nella codifica dei recettori del gusto dolce, umami e amaro, mentre meno conosciuta è la genetica del gusto acido e salato.

Già divide

Per il chimico e divulgatore scientifico Dario Bressanini la ricerca degli studiosi statunitensi appare interessante, ma l’ipotesi di un nuovo gusto ha tutta l’aria di una trovata giornalistica: «D’altronde», sottolinea Bressanini, «è lo stesso team a non parlarne. Il pregio della scoperta sta nell’aver individuato un recettore sensibile al cloruro di ammonio che sembra essere lo stesso sensibile all’acido, ma i recettori sono sempre quelli e sono in cinque zone diverse della lingua. In tutta onestà non ci vedo delle applicazioni future nel mondo del cibo. Per ora rimaniamo nel campo delle ipotesi evoluzioniste che provano a spiegare, ad esempio, perché gli uomini tendono a rifiutare l’amaro e a prediligere il dolce. Le verifiche scientifiche dicono poi che questo “sesto” gusto non sia stato apprezzato dalle cavie».

A non amare il cloruro di ammonio, sotto forma di caramelle alla liquirizia, è anche Åsa Johansson, giornalista e wine writer svedese da anni residente in Italia, che ammette, tuttavia, che la Svezia ne è ghiotta: «Si mangiano fin da piccoli e sono così diffuse», spiega Johansson, «che un decennio fa il governo tentò di ridurne il consumo, anche dietro valutazione dell’Autorità alimentare dell’Ue, l’Efsa, ritenendole nocive con un’assunzione superiore ai 50 grammi. Personalmente da quando vivo in Italia ho smesso di mangiarle e, in generale, mi sono abituata a una cucina molto meno salata di quella svedese».

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