I risultati sono pubblicati non su Lancet, ma su Lancet Regional Health: mandi il tuo articolo, paghi 3500 euro e te lo pubblicano con un minimo processo di revisione. E infatti gli scienziati seri non la citano mai
- Lo studio esamina i dati solo fino al novembre 2020, epoca in cui la seconda ondata non era ancora scoppiata del tutto.
- Gli autori scrivono che hanno preso in esame 753 scuole medie, in ognuna delle quali sono stati fatti in media 17 tamponi. Ma, ammettono loro stessi, ci sono scuole dove hanno fatto zero tamponi e altre dove ne hanno fatti 87.
- Se trovi che la popolazione scolastica, composta per il 90 per cento da giovani che normalmente si infettano da 2 a 4 volte meno degli adulti, si contagia tanto quanto la popolazione generale, significa che il virus nelle scuole circola tantissimo.
FOTO
Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved
Alla fine, il tanto dibattuto articolo scientifico scritto dall’epidemiologa Sara Gandini e dai suoi colleghi, dal titolo Studio sul ruolo delle scuole nella seconda ondata del Sars-Cov-2 in Italia, che dimostrerebbe che le scuole non diffondono il contagio, è stato pubblicato. Sara Gandini e i suoi fan hanno celebrato con toni trionfalistici, come se avessero vinto i mondiali di calcio.
«Il 26 Marzo 2021 è un giorno storico, in cui è stato finalmente riconosciuto il valore di mesi e mesi di duro lavoro scientifico. Abbiamo pubblicato su The Lancet R-H, stiamo facendo capitare qualcosa di davvero importante per l'Italia!»
Queste celebrazioni dovrebbero indurre a qualche cautela. Perché dire che le scuole sono il luogo più sicuro in assoluto, cosa che tra l’altro va contro all’opinione scientifica prevalente, ci impedisce di metterle davvero in sicurezza, proprio ora che si stanno diffondendo nuove varianti del coronavirus, come quella inglese, più aggressive e letali, e che colpiscono anche i giovani.
I problemi dello studio
Ma lo studio di Gandini è davvero così solido? No, ha molte debolezze. Per prima cosa, è comparso su Lancet Regional Health, una rivista scientifica minore edita dallo stesso gruppo che pubblica anche Lancet, una delle riviste di scienze mediche più importanti del mondo. Ma Lancet Regional Health non è Lancet.
Lancet Regional Health è open access, cioè tu mandi il tuo articolo, paghi 3500 euro e te lo pubblicano con un minimo processo di revisione da parte di altri scienziati, il che depone per la scarsa autorevolezza della rivista, tanto scarsa che praticamente non se la fila nessuno scienziato serio, e difatti ha un impact factor pari a zero.
L’impact factor è il numero medio di volte che uno studio su una rivista viene citato da altri scienziati, e più alto è e maggiore è l’importanza della rivista.
Per pubblicare su Lancet, che invece ha un impact factor di 60, tu devi fare una scoperta fondamentale, devi produrre un lavoro scientifico a prova di bomba, devi superare lo scrutinio di altri scienziati severissimi che passano al setaccio il tuo studio, e ovviamente non devi pagare.
E’ probabile che Gandini abbia inizialmente mandato il suo paper a Lancet, ma l’hanno rifiutato e lo hanno dirottato verso la sottomarca della loro rivista.
C’erano ragioni per rifiutarlo? A Lancet sanno che la maggior parte degli scienziati sostengono, dati alla mano, che le scuole sono un luogo privilegiato per la diffusione del coronavirus, com’è ovvio attendersi, poiché dentro un’aula scolastica si assembrano 30 persone per cinque ore.
Per esempio, su Lancet hanno appena pubblicato un articolo intitolato: La riapertura delle scuole senza robuste misure di mitigazione rischia di accelerare l’epidemia.
Gli scienziati scrivono: «Sostenere che le scuole non contribuiscono alla trasmissione del virus e che il rischio di contagio da Covid per i bambini è esiguo ha fatto sì che si sia data una bassa priorità alle misure di sicurezza nelle scuole. E tuttavia le prove a sostegno di queste affermazioni hanno limiti gravi. Le chiusure delle scuole primarie e secondarie si sono associate a una sostanziale riduzione del contagio in molti paesi compresa l’Inghilterra. Al contrario, i dati dimostrano che la diffusione dell’infezione tra i bambini di età tra i 2 e i 10 anni è aumentata enormemente col diffondersi della variante inglese del virus. L’apertura delle scuole senza robuste misure di mitigazione probabilmente condurrà all’aumento del contagio in tutti gli scenari».
Poi gli scienziati stilano un elenco di raccomandazioni lungo due colonne, con 32 misure da prendere se si vogliono riaprire le scuole, che comprende: «Ridurre il numero di scolari per classe, ventilare le aule, studenti e insegnanti devono indossare mascherine, insegnare all’aperto se possibile, fare tamponi a tutti regolarmente, ecc.»
Insomma, lo studio di Gandini non è abbastanza convincente da rovesciare il consenso scientifico sulla pericolosità delle scuole. Perché?
Le falle nello studio di Gandini
Per prima cosa, lo studio della Gandini nella prima stesura aveva titolo: «Non c’è prova scientifica dell’associazione tra le scuole e la seconda ondata di SARS-CoV-2 in Italia». Ma l’hanno costretta a cambiarlo in: «Studio sul ruolo delle scuole nella seconda ondata di SARS-CoV-2 in Italia». E non è un bell’inizio.
Poi, lo studio esamina i dati solo fino al novembre 2020, epoca in cui la seconda ondata non era ancora scoppiata del tutto: e questo è una scelta che lascia molti dubbi. Inoltre, i dati del campionamento su cui si basa lo studio sono debolissimi.
Per esempio, gli autori scrivono che hanno preso in esame 753 scuole medie, in ognuna delle quali sono stati fatti in media 17 tamponi, con una deviazione standard di 21 (la deviazione standard è una misura di variabilità, più alta è e meno affidabile è la misura): cioè, ci sono scuole medie dove, ammettono loro stessi, hanno fatto zero tamponi e altre dove ne hanno fatti 87.
Ma voi vi fidereste di uno studio che vuole misurare la diffusione nelle scuole di un virus che, se infetta i giovani, li lascia nel 95 per cento dei casi asintomatici, condotto senza fare neanche un tampone in molte delle scuole? Io no. E forse neanche quelli di Lancet.
La proporzione
Infine, nel suo studio, Gandini sostiene che le scuole non sono un luogo di contagio perché il numero di contagi nella popolazione scolastica - studenti più insegnanti – è esattamente identico a quello della popolazione generale. Ma se trovi che la popolazione scolastica, composta per il 90 per cento da giovani che normalmente si infettano da 2 a 4 volte meno degli adulti, si contagia tanto quanto la popolazione generale, significa che il virus nelle scuole circola tantissimo.
Difatti Gandini scrive: «Tra gli insegnanti e i non docenti i contagi sono stati il doppio rispetto a quelli osservati nella popolazione generale». Chi li avrà contagiati? Gli studenti, è ovvio. Poi però, se uno si mette a leggere anche i materiali supplementari forniti dalla Gandini a corredo del suo studio, trova un grafico che a suo dire dimostra che i docenti non si infettano più della media della popolazione, fatto con i dati del solo Veneto e solo fino al 17 ottobre.
Perché solo il Veneto e solo fino al 17 ottobre? Boh. Ma se uno si prende la briga di fare un grafico con i dati nazionali prolungati fino a novembre, tra l’altro forniti dalla stessa Gandini, che chissà perché questi non li ha usati, ottiene una figura completamente diversa che dimostra che gli insegnanti si infettano molto più della popolazione generale! E chi li avrà infettati, ripeto? Ovviamente gli studenti. Adesso capite perché probabilmente su Lancet questo studio non l’hanno voluto?
© Riproduzione riservata