In occidente c’è una forte resistenza culturale, dettata dal senso di (dis)gusto sedimentato nei secoli, ma il cambiamento climatico e l’insicurezza alimentare sollecitano a liberarsi dai pregiudizi e a trasformare le proprie abitudini
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Il Sud-est asiatico ispira l’Unione europea: insetti à la carte per un’alimentazione sostenibile. Anche se nei paesi occidentali c’è molto scetticismo, in Asia (e in alcuni paesi dell’America del sud e del continente africano) gli insetti sono considerati una prelibatezza da street food, da sgranocchiare come snack da passeggio nei mercati affollati di Bangkok o in un parco cambogiano. Si trovano anche in Laos, Vietnam e in altre zone della regione: tutti ghiotti di vermi aromatici e grilli di bambù.
In occidente c’è una forte resistenza culturale, dettata dal senso di (dis)gusto sedimentato nei secoli, ma il cambiamento climatico e l’insicurezza alimentare sollecitano a liberarsi dai pregiudizi e a trasformare le proprie abitudini. Mentre cerca di capire come diffondere modalità di produzione e consumo più sostenibili, l’Unione europea deve esplorare fonti di cibo alternative. Meno costose, meno inquinanti, più nutrienti. E con buona pace di chi teme di trovarli nascosti tra gli scaffali del supermercato, grilli, larve, locuste e altri insetti – spesso sotto forma di farine e oli – possono essere variamente impiegati nella produzione di cibi ad alto valore proteico e basso impatto ambientale.
Già nei primi anni Duemila, la Food and Agriculture Organization (Fao) aveva iniziato a studiare il consumo di insetti per considerare l’idea di inserirli all’interno della dieta soprattutto per questioni legate a salute e ambiente. «Si tratta di un alimento molto interessante da un punto di vista nutrizionale: contiene amminoacidi essenziali per l'uomo, e anche una buona parte di acidi grassi utili per avere energia» spiega Simone Mancini, docente e ricercatore presso il dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa. E poi gli allevamenti non richiedono un eccessivo impiego di risorse. «Utilizzano molto poco suolo, quasi niente, non hanno bisogno di allevamenti estensivi come altri animali. Possono essere allevati anche nei palazzi, sia in orizzontale sia in verticale».
Limitare i rifiuti
Un altro motivo per integrare gli insetti nella dieta umana (e anche animale) è che consentono di limitare la quantità di rifiuti prodotti dalla filiera alimentare. «Riescono a essere allevati in maniera molto efficiente anche sugli scarti, o sottoprodotti, di altre produzioni – spiega Mancini – Uno scarto è qualcosa che può essere ancora utilizzato per la catena alimentare. Un rifiuto, invece, deve uscirne. Gli insetti riescono a inserirsi in questa spazio in maniera tale da aumentare la percentuale e la quantità di prodotti che non diventano rifiuti».
Vent’anni dopo i primi studi della Fao, il mercato degli insetti edibili si è fatto lentamente spazio anche nell’Unione europea. «Se ne è iniziato a parlare nel 2015. Poi nel 2018 è arrivato il regolamento che riguarda il comparto alimentare umano, detto del “novel food”, ovvero alimenti ancora non diffusi su scala europea», spiega Mancini. «Da quel momento, le prime aziende si sono mosse per avviare la produzione di insetti commestibili. Attualmente nell’Unione le aziende che hanno ottenuto l’autorizzazione per la per la produzione e la commercializzazione di alimenti a base di insetti sono sei».
Mentre l’Ue emana provvedimenti per standardizzare l’entomofagia (ossia l’alimentazione a base di insetti), il dibattito pubblico si allarga. «La fake news più diffusa, legata al consumo di insetti, è che “ce li metteranno nei prodotti senza dircelo”», dice Mancini. «Questo è impossibile per due ragioni: primo, i regolamenti europei sono molto vincolanti. Non si può mettere dentro agli alimenti nessun ingrediente senza specificarlo e con gli insetti ci vuole un’autorizzazione da parte dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa). Secondo, gli insetti sono un prodotto ad alto valore aggiunto: molto nutriente, ancora costoso da produrre, molto di più che la farina di cereali. Il pane che contiene una percentuale di farina di insetti, ad esempio, diventa un prodotto che ha anche un valore proteico che prima non aveva. È un plus».
Le prospettive asiatiche
Nell’Unione europea ci si attrezza per considerare questo superfood come una risorsa per il futuro. Nel frattempo l’Asia-Pacifico è la regione a cui guardare per conoscere il mercato e le sue frontiere. Dal 19 al 22 giugno, ad esempio, si tiene a Singapore la conferenza “Insects to Feed the World”, già alla sua quinta edizione. Un forum internazionale che riunisce ricercatori e professionisti da tutto il mondo per scambiare idee nel campo degli insetti per mangimi e alimenti. Prendendo spunto dalla regione, l’occidente potrebbe guardare all’Asia come a un modello e abbandonare lo sguardo orientalista che vede gli insetti solo come un alimento esotico.
Il deterioramento ambientale, il cambiamento climatico, la crescita demografica obbligano a ripensare lo stile di vita soprattutto dei paesi ad alto reddito, che si è rivelato insostenibile da un punto di vista ambientale e sociale. D’altra parte, convincersi che la rivoluzione alimentare degli insetti sia una soluzione definitiva può essere rischioso. Forse spostare l’attenzione del mercato da un settore produttivo all’altro finisce per alimentare un concetto di sostenibilità che non esce, comunque, dal paradigma dello sfruttamento intensivo di risorse. «Sicuramente è così – continua Mancini – Quando parliamo di produzioni ad alta quantità di capitale investito, il rischio c'è sempre». Secondo lui, per non farsi fagocitare dal mercato, bisogna farsi spazio. «Lasciare il mercato alle multinazionali, significa non dare modo al comparto italiano di svilupparsi».
Se si vuole fare campagne per proteggere i prodotti italiani dalle tendenze che arrivano dall’Asia e dagli altri paesi entomofagi, lo si può fare. Ma chi teme per la sovranità alimentare, secondo Mancini, deve tenere a mente che «la cultura è ciò che vogliamo che sia», e che 500 anni fa l’italianissimo pomodoro Igp non esisteva: era viola, è arrivato dalle Americhe nel 1500 e si è iniziato a mangiarlo dal 1800 in poi. «Dipende da quando uno pone il punto zero delle tradizioni alimentari. Da questo punto di vista, mangiare insetti è una scelta politica».
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